Da più di cinquant’anni esiste un crocevia esistenziale che collega Miano, la zona nord di Napoli compresa fra Scampia e Secondigliano, e il profondo sud degli Stati Uniti; un territorio dello spirito e della carne nel quale convivono l’amore, Nostro Signore, l’inquietudine, le contraddizioni e la malinconia, dove gli assoli free jazz di John Coltrane si incontrano e si fondono con le esplosioni sonore di James Brown e le acrobazie senza rete di Miles Davis.
Quel luogo è ancora presidiato saldamente da Gaetano Senese, Sua Maestà James, il santo patrono del groove, come san Gaetano Thiene è il santo protettore del suo quartiere d’origine. Nero a metà, 76 anni compiuti lo scorso gennaio, un bagaglio inestimabile di musica e parole sulle spalle, Senese si è presentato martedì 29 giugno alla Cavea dell’Auditorium “Ennio Morricone”.
Insieme a lui c’erano i sodali vecchi e nuovi di Napoli Centrale: il prodigioso Rino Calabritto al basso, il metronomo Fredy Malfi alla batteria e la new entry Lorenzo Campese, preciso nei suoi ricami e nel suo servizio al piano e alle tastiere.
Senese e Napoli Centrale hanno regalato al pubblico un concerto essenziale di novanta minuti, nel quale hanno trovato posto le gemme del passato, i brani del nuovo album “James is Back” e una lunga e pregevole improvvisazione di gruppo.
Senza fronzoli, senza sprecare mezza parola, concentrato e fluido, attento nel richiedere un volume più alto per il suo tastierista, alternando voce, sax e clarinetto, Senese è tornato per davvero e con la propria personalissima anima partenopea ha somministrato a tutti la sua formidabile alchimia di blues e jazz, fusion e rock con spruzzate di progressive.
Così, oltre alla martellante title-track dell’ultimo lavoro, abbiamo ascoltato classici come “Acquaiò l’acqua è fresca”, “È ‘na bella jurnata” e “Napule t’é scetà”, in una variazione di toni e sensazioni che ha spaziato fra un abbraccio morbido e avvolgente, l’incanto rosso fuoco di un tramonto sul mare e l’impossibilità di restarsene fermi e seduti.
Non è mancato, poi, un omaggio molto intenso a Pino Daniele, una perla datata 1979 che non smette di rovistare con amore e delicatezza nei punti più sensibili dell’anima. Con il suo testo essenziale e le sue note struggenti, “Chi tene ‘o mare” ha conquistato senza riserve i cuori di tutti i presenti: “chi tene ‘o mare / cammina ca vocca salata / chi tene ‘o mare / ‘o sape ca è fesso e cuntento / chi tene ‘o mare ‘o ssaje / nun tene niente”.
In scaletta anche alcune canzoni del recente “‘O Sanghe”, pubblicato nel 2016, brani del calibro de “Il mondo cambierà” e la title-track, che dimostrano ancora una volta che i riflessi artistici di Senese sono tutt’altro che offuscati e che lui – il santo patrono del groove – è ancora, gentilmente e prepotentemente, sulla propria strada.
Giovanni Berti
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