Home ATTUALITÀ Quindici anni senza Sergio Endrigo, poeta che cantava l’amore struggente

Quindici anni senza Sergio Endrigo, poeta che cantava l’amore struggente

Sergio-Endrigo
Duca Gioielli

Sono passati quindici anni dalla morte di Sergio Endrigo, il cantautore italiano deceduto a 72 anni dopo una vita dedicata interamente alla musica e con gli ultimi venti vissuti a Roma Nord, nel cuore del quartiere Vigna Clara.

La passione per la musica gli fu trasmessa dal padre Romeo, scalpellino, pittore, scultore e tenore autodidatta di grande successo che muore quando il figlio, secondogenito, ha solo 6 anni.

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Mio nonno mi aveva dato un quaderno con tutti gli articoli di giornale riguardanti l’attività di mio padre come tenore … me ne ricordo uno in particolare … diceva che finalmente c’era un tenore che non esagerava con gli “ooooooh” e gli “aaaaaah”; credo che quell’articolo abbia avuto una grande influenza su di me. Non ho mai amato i gigioni e il “birignao”. Devo dire però che praticamente io non ho potuto conoscere mio padre, perché dai tre ai sei anni fui ospite dei miei zii a Trieste, e lui morì quando proprio quando io avevo sei anni.” – raccontava spesso il cantautore agli amici nel ricordare i suoi primi anni di vita.

Abitavo con mia madre Claudia in una soffitta al quarto piano; sotto casa nostra c’era un’osteria e ogni tanto lei mi incaricava di andarvi a comprare un po’ di vino …. A mezzogiorno c’erano operai e manovali che mangiavano salumi avvolti nella carta oleata e per intrattenerli venivo sollevato di peso, mi mettevo in piedi su un tavolo e cantavo “La donna è mobile””.

Papà, un artista per caso: Endrigo raccontato dalla figlia

Oggi invece, a raccontare di suo padre alla redazione di VignaClaraBlog.it in occasione del quindicennale della sua morte è Claudia, sua unica figlia e anche l’unica ad avergli dedicato una biografia, Sergio Endrigo, mio padre. Artista per caso, pubblicata da Feltrinelli nel 2017.

Sergio Endrigo con la figlia Claudia

Nato a Pola, allora capoluogo dell’Istria, nel 1933, dopo un’adolescenza trascorsa al fianco della madre rimasta sola troppo presto, a quattordici anni Sergio acquista la sua prima chitarra scambiando una collezione di francobolli con qualche soldo donato da un maresciallo dei carabinieri per il quale la madre lavorava.

“Mio padre scelse la chitarra perché a quattordici anni era lo strumento più “facile”, più economica rispetto al pianoforte, più semplice da trasportare, e più adatta per accompagnare la voce, avrebbe fatto di tutto pur di coltivare il suo sogno, non poteva rinunciare alla musica…” ci racconta Claudia.

Madame Guitar, compagna di vita

“Tra le mie braccia hai visto il mondo
ho amato e cantato insieme a te
Madame Guitar perdonami se dopo tanto e tanto tempo ti accarezzo ancora male e senza fantasia
ma non è colpa mia
Ognuno ama come può per sempre o in un momento…”

Così cantava Endrigo nel ’77 in Madame Guitar, la canzone dedicata proprio alla sua chitarra, preziosa compagna di vita, custodita gelosamente anche durante gli anni del collegio a Brindisi dove solo un suo fidato compagno aveva il permesso di toccarla.

 “Mio papà viveva per la musica, dopo circa due anni trascorsi a Brindisi in un collegio per profughi istriani nel 1950 tornò a Venezia; con i suoi amici si divertiva a interpretare le canzoni americane dell’epoca: Bing Crosby, Frank Sinatra e soprattutto Johnny Mathis, che amava incondizionatamente. Una volta durante un’esibizione uno spettatore gli strappò di mano il microfono credendo cantasse in playback tanto la sua voce era simile a quella di Mathis. Erano gli anni della musica nei night-club; continuava a suonare la chitarra anche se non aveva mai studiato musica, e proprio con questo strumento iniziò a comporre i suoi pezzi” – continua Claudia, che porta il nome di sua nonna.

Per Endrigo ogni occasione era buona per cantare, come quando durante la stagione lavorativa all’Hotel Excelsior, canticchiava da solo in ascensore o nella toilette sperando che qualche produttore americano di passaggio lo sentisse e lo portasse ad Hollywood.

Lo stesso anno, il ’52, in cui il cantautore durante un concorso per dilettanti al teatro Malibran si esibì con September Song ma venne battuto, come raccontava lui stesso ironicamente, da “uno che cantava Pasquale ‘nnammurato”.

I tempi dei nightclub

Gli anni di Tenco, Gaber, Jannacci e gli altri

Tra la fine degli anni ’50 e i primissimi anni ’60 Endrigo si trasferisce a Milano stanco dei nightclub: “Provo la carta discografica come cantante oppure emigro in Australia, in Canada, vado a lavorare, cambio tutto” disse poco prima di firmare un contratto come artista con la Ricordi. Sono gli anni della sala d’incisione condivisa con Paoli, Tenco, Gaber, Jannacci, Bindi.

C’era un nutrito scambio di idee tra tutti noi. Dopo aver firmato il contratto, Nanni Ricordi mi chiese a bruciapelo se scrivevo canzoni e io gli risposi di no. Poi sono tornato a casa, ho preso la chitarra ed ho scritto Bolle Di Sapone, la mia prima canzone in assoluto e subito dopo I Tuoi Vent’AnniLa Brava Gente e Chiedi Al Tuo Cuore. Questi quattro pezzi uscirono tutti con la firma Calibi-Toang perché io non ero ancora iscritto alla SIAE. Calibi era lo pseudonimo di Mariano Rapetti, il padre di Mogol, mentre Toang era lo pseudonimo di Renato Angiolini, un musicista che lavorava per la Ricordi.” – raccontava il cantautore.

Io che amo solo te

Nel 1962 Endrigo approda a Roma. Con 650mila copie vendute in poche settimane e il passaggio a RCA il successo arriva con Io che amo solo te, brano suadente che lo renderà famoso anche all’estero portandolo ad esibirsi in giro per il mondo.

“Sono stati anni importantissimi per la carriera di mio padre, che nonostante tutto è rimasta la persona riservata e schiva che era”.

Io che amo solo te, poesia allo stato puro e definita dal compianto Ennio Moricone “la canzone perfetta”, è stata cantata anche da artisti di calibro quali Mina, Fiorella Mannoia, Enzo Jannacci, fino ad una recente delicata rielaborazione di Chiara Civello con Chico Buarque (uno dei più noti autori e interpreti della musica popolare brasiliana) in un bellissimo duetto, un’elegante interpretazione che anche Endrigo da lassù avrà sicuramente apprezzato.

I successi a Sanremo poi i gravi problemi di udito 

Nel ’66 debutta a Sanremo  – saranno nove in tutto le edizioni a cui parteciperà – con Adesso Sì, l’anno dopo con Dove Credi Di Andare e nel 1968 sale sul primo gradino del podio con Canzone Per Te, proposta con Roberto Carlos.  Arriva secondo l’anno dopo con Lontano Dagli Occhi e terzo nel ’70 con L’Arca Di Noè.

Sergio Endrigo con Roberto Carlos, Sanremo 1968

“Dei primi anni a Sanremo ho pochi ricordi perché ero molto piccola, ricordo che ci portava con lui e lo seguivamo nelle serate, poi purtroppo è arrivato il periodo più buio. Mio padre ha iniziato ad avere seri problemi di udito, sospetto che soffrisse di acufeni, ma credo fosse una reazione psicosomatica. Quando faceva le prove non aveva alcun problema, poi saliva sul palco e aveva difficoltà… quella dell’ultimo Sanremo fu un’esperienza dolorosissima, cantava Canzone Italiana, quella sera andò tutto storto …”

Alla fine Endrigo perse completamente l’udito a un orecchio, ma non ha mai rinunciato alla musica: “Purtroppo negli anni mio padre non ha ricevuto la giusta considerazione e il successo che avrebbe meritato, tra gli anni ’80 fino al 2000 ha inciso ancora, anche dischi che purtroppo però non sono stati promossi e distribuiti”.

Vent’anni vissuti a Vigna Clara 

Sono gli stessi anni in cui Endrigo con la sua famiglia si trasferisce a Roma Nord trascorrendo gli ultimi vent’anni nel cuore di Vigna Clara. “Mio papà amava profondamente questa zona, viveva il quartiere, gli piaceva passeggiare, andare al mercato scoperto di Ponte Milvio; gli piacevano le piccole realtà e non si è mai vantato del suo successo, vissuto sempre con candore e ingenuità. Ricordo quando andava dal suo macellaio di fiducia o dal barbiere e gli confidava di ricevere richieste di autografo, se ne vergognava quasi…”.

 Sergio Endrigo è morto il 7 settembre del 2005 per un tumore che in sei mesi lo ha portato via. Il Comune di Roma ospitò i suoi funerali in Campidoglio, rendendo così giusto omaggio a uno dei maggiori cantautori italiani.
Papà si è spento davanti ai miei occhi ma spero di poterlo raccontare ancora, perché nulla di lui vada perduto o dimenticato”.

Ludovica Panzerotto

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