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    La nuova borsa nera, figlia della pandemia

    benzinai
    Galvanica Bruni

    L’augurio e la speranza di una buona stampa è quella di non offendere, né urtare la suscettibilità.

    Non sempre ci si riesce, qualsiasi cosa si scriva c’è sempre il rischio che nasca come d’incanto il comitato dei “vattelapesca” pronto a difender l’onore di chiunque e chicchessia “travolti” magari da un articolo che potrebbe aver messo alla berlina frasi o atteggiamenti dei citati – appunto – chiunque e chicchessia.

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    Per cui, ragionando sul fatto che VignaClaraBlog.it tutto fa, tranne che tirar fuori dal cilindro fake news, nessuno si senta offeso se oggi parleremo di borsa nera. Che ha rappresentato – la borsa nera – una delle pagine più brutte del nostro Paese in tempo di guerra, per cui la similitudine fra ieri e oggi potrebbe pure apparire azzardata.

    Ma riscontrare, per esempio, che il prezzo della benzina è di colpo salito non appena gli italiani hanno riacceso i motori delle auto, crea certo una stonatura con la consapevolezza di quanto lo stesso prezzo fosse sceso ai minimi storici nel momento in cui i domicili coatti la facevano da padroni.

    Cantavamo sui balconi e un litro di carburante costava meno d’un caffè. Chi la sa lunga potrebbe rispondere con un laconico “dipende dalla domanda e dall’offerta”, chi ha un lume di ragione dovrebbe rispondere, in maniera garbata, “non prendetemi peri fondelli”.

    L’Italia riapre i battenti, e mentre una nuova caccia all’untore è stata scatenata (prima erano quelli che praticavano footing, ora tocca a quelli della movida), salgono i prezzi, come se la chiusura dettata dalla quarantena la dovessero pagare i cittadini.

    Così colazione e cappuccino aumentano di venti centesimi senza colpo ferire, dal barbiere quel paio di euro in più vengono caricati sul primo taglio di capelli post-lockdown, e aumentano pure i costi degli stop a muro, perché a guardar bene la sala da pranzo – due mesi di fila a fissare lo spazio vitale d’una casa – ci si è resi conto che “sì, li una mensola ci starebbe proprio bene”. E allora andiamo dal ferramenta, che un pò di bricolage non guasta.

    Insomma, mentre c’è chi la cassa integrazione la sta vivendo in un limbo che potremmo definire “Aspettando Godot” e i possessori di partita Iva aspettano ancora i 600 euro del mese di marzo, sale pure il costo di una stozza di pizza e avanza nel contempo l’amletico interrogativo: “Ma i mancati ricavi dettati dalla chiusura per pandemia, li devo pagare io?“. Sì, nessuno si senta offeso. Questa, a casa mia, si chiama borsa nera.

    Massimiliano Morelli

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