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Là, sulla Camilluccia, un giardino alla memoria

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Duca Gioielli

Amici non piangete, è soltanto sonno arretrato” è il famoso epitaffio che campeggia sulla lapide di Walter Chiari. Magari al Cimitero di Guerra Francese a Roma non tutti avranno avuto in vita la stessa ironia ma l’atmosfera che vi si respira è tutt’altro che funerea.

Il camposanto immerso nel verde del Parco di Monte Mario e ubicato sulla Camilluccia all’incrocio con via Colli della Farnesina, è un’oasi sospesa sulla Capitale.

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Dite la verità, quanti di voi sapevano di questo meraviglioso terrazzino da cui, guardando oltre le cime degli alberi che lo avvolgono e lo nascondono, si può scorgere Roma in tutta la sua estensione?

Ma perchè guardare oltre quando ci si può immergere in contemplazione dimenticando tutto il resto. Qui regnano pace, natura, silenzio (ed è ovvio, considerando dove siamo), ma senza quella cappa opprimente che caratterizza i luoghi di dolore.

Un giardino alla memoria

Sembra un parco, un giardino alla memoria. Ti guardi intorno e non vedi parenti in lacrime, nè ceri o lumini sui bordi dei fornetti. Non ci sono venditori di fiori all’ingresso, nè cortei funebri che viaggiano lentamente verso il modulo assegnato.

E sebbene si tratti di un luogo “definitivo”, una visita qui la si vorrebbe il meno momentanea possibile. Senza esagerare però.

Intanto è bene tenere a mente gli orari d’ingresso, visto che alle 16 terminano le visite e rischiate che se non vi vedono vi chiudono il cancello alle spalle. L’area è aperta tutti i giorni dalle 8, sabato e domenica esclusi.

Vi si arriva attraverso la Riserva Naturale di Monte Mario oppure, in modo più semplice ma meno suggestivo, per via dei Casali di Santo Spirito, accessibile da largo Ottorino Respighi costeggiando per un tratto il muro di cinta dell’ospedale Villa Sacra Famiglia sulla sinistra e più avanti lasciandosi Villa Vittoria sulla destra.

La stretta stradina termina con la grata d’ingresso ai lati della quale campeggiano le scritte ” Cimetière Militaire Français” sul pilone in marmo a destra e “Campagne d’Italie 1943-1944” su quello a sinistra.

Il cimitero fu istituito per decreto reale nel 1945 e costruito dal governo italiano per rendere omaggio ai militari francesi che combatterono contro le truppe nazifasciste.

E ogni anno, l’11 novembre, vi si svolge una cerimonia di commemorazione alla presenza dell’ambasciatore francese.

Colori, profumi, silenzi

Ciò che salta subito all’occhio è la differenza tra prima e dopo il cancello, come se questo fosse la porta d’accesso a un altro mondo. E in effetti lo è.

Ma non stiamo parlando del passaggio dalla terra al regno dei cieli, quanto piuttosto dell’incuria in cui versa la strada fino all’entrata del cimitero, tra vegetazione trascurata e  manto stradale crepato, e la paradisiaca – è il caso di dirlo – visione di ciò che c’è al di là, tra cespuglietti potati di fino ed erbetta profumata e tagliata a filo come i capelli di un generale pluridecorato appena uscito dal barbiere.

Colori (o meglio, il verde in tutte le sue gradazioni), profumi, silenzi: è questo che resta impresso.

Come tessere di un gioco…

L’area è strutturata a spirale di forma ellittica. La strada più esterna è percorribile anche in automobile, ma vale solo per il personale di servizio, mentre quelle più interne conducono alle tombe.

C’è pace tra gli ulivi. Sembra di stare in un parco o in una villa nobiliare, non fosse per le tombe perfettamente allineate come tessere di un gioco da tavolo.

Solo che ogni tessera nasconde ciò che resta di un soldato. Molti sono “inconnu”, sconosciuti.

La distesa di lapidi può ricordare quelle di Arlington e Omaha Beach, fatte le debite proporzioni. Ma c’è una rigida divisione per confessioni: cristiani da una parte, musulmani dall’altra.

Tutte le effigi hanno come corollario la scrittamort pour la France“, anche quelle contrassegnate dalla mezzaluna islamica. “Morto per la Francia”, sì, ma al posto dei francesi.

La maggior parte dei caduti, infatti, erano “goumier”, ovvero militari marocchini arruolati dall’esercito transalpino, il quale vi fece ricorso per mezzo secolo e in vari scenari prima dell’indipendenza del paese maghrebino.

Come a dire che le colonie servivano prima di tutto a vincere le guerre. I nomi di tutti i soldati sepolti qui sono riassunti anche in un memoriale sempre all’interno del cimitero.

In tutto furono 125 mila i combattenti francesi sbarcati a Napoli nel novembre 1943 e impegnati nella Campagna d’Italia. Di questi ne furono uccisi circa 7 mila.

A Monte Mario ne riposano 1888, altri 4345 sono seppelliti in Molise, e i restanti furono coloro rimpatriati in Francia su richiesta dei familiari.

Come lo schiavo morente

Il centro della spirale è il piazzale nel quale sorge il sacrario, un imponente altare in marmo bianco costeggiato da due grandi scalinate e dominato dalla bandiera francese (nel cimitero c’è anche una seconda bandiera che si trova alla fine del vialetto che parte da dietro il sacrario).

Nella pietra è scolpita un’effige dell’artista Lucien Fenaux che rappresenta, disteso in posizione orizzontale, un uomo nudo agonizzante.

Che non sarà bello come lo “Schiavo morente” di Michelangelo esposto al Louvre ma, insomma, il suo significato ce l’ha lo stesso, specie in virtù del nesso con il luogo in cui ci si trova.

E sì che schiavi, in un certo senso, lo sono stati pure questi uomini morti in guerra. Schiavi  in molti casi della madrepatria acquisita, certo, ma anche della follia dell’uomo.

Sono stati pedine di un gioco più grande e ne celebriamo l’onore, ma l’utilità della loro morte avrà durata fino al giorno in cui altri uomini decideranno che la lezione della Seconda guerra mondiale non vale più.

E guardando a oggi, quel giorno non sembra poi così lontano.

Valerio Di Marco

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