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Bruce Springsteen, un fiume di musica sulla Capitale

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Sabato 16 luglio il Circo Massimo farà da affascinante e inimitabile cornice all’attesissimo concerto romano di Bruce Springsteen e della sua E Street Band. Lo show, che sarà preceduto dall’esibizione dei Counting Crows, sarà l’ultima delle tre date italiane del “The River Tour”, che da quando è partito lo scorso gennaio da Pittsburgh sta registrando ovunque platee stracolme e grande entusiasmo.

Lasciando da parte le polemiche relative all’elevato costo dei biglietti e le questioni riguardanti il bagarinaggio on line – polemiche e questioni che sono esplose tanto negli USA quanto in Europa – qui ci concentriamo solo su musica e parole e cerchiamo di spiegare cosa riserverà il concerto agli spettatori romani ed internazionali che il 16 luglio confluiranno al Circo Massimo.

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Com’è noto, questa nuova avventura live di Bruce Springsteen – che compirà 67 anni il prossimo 23 settembre – segue la pubblicazione di “The Ties That Bind”, il preziosissimo cofanetto (4 cd e 3 dvd) che celebra i trentacinque anni di “The River”, il suo quinto album, il doppio disco che il boss diede alle stampe e ai posteri nell’anno di grazia 1980.

Arrivato dopo il romantico e tenace desiderio di fuga di “Born to Run” (1975) e la splendida alchimia di cupo realismo e melodioso idealismo che connota “Darkness on the Edge of Town” (1978), “The River” è il prodotto – magnifico e complesso – della maturità umana e artistica dell’allora trentenne Springsteen.

Nello show romano, come in ogni concerto di questo tour, tutte le venti canzoni di “The River”, precedute dalla scoppiettante Meet Me in the City (a suo tempo lasciata fuori dal disco), verranno proposte nell’ordine esatto in cui compaiono sull’album e saranno seguite da una raffica di hits, da un generoso compendio della carriera più che quarantennale del nostro eroe di Asbury Park, New Jersey.

Ma di cosa parla e come suona “The River”? Cosa deve aspettarsi il pubblico del Circo Massimo da questa rigorosa rilettura live di uno degli album più intensi e importanti della storia del rock?

Una prima risposta ce la darà lo stesso Springsteen dal palco: “volevo che il disco contenesse divertimento, balli, risate, battute, politica, sesso, buon cameratismo, amore, fede, notti solitarie e, ovviamente, lacrime. E ho pensato che se fossi riuscito a fare un disco abbastanza grande da contenere queste cose, mi sarei avvicinato di più alle risposte e alla casa che stavo cercando di trovare”.

bruce springsteen 2THE RIVER, disco 1, lato A: i legami che ci vincolano.

Per questa splendida escursione lungo il fiume si parte parlando subito d’amore con colori e tonalità differenti. Mentre le scariche elettriche e il deciso assolo di sax di The Ties That Bind mettono immediatamente le carte in tavola (“è una lunga autostrada nera, con una sottile linea bianca che collega il tuo cuore al mio / ora corriamo ma faremo in tempo ad affrontare i legami che ci vincolano”), invece, anche nel ritmo, Sherry Darling offre una prospettiva assai più leggera e scanzonata (“tua madre sta sbraitando nel sedile posteriore, dille di scendere e di muovere quei grossi piedi… ho qualche birra e la strada è libera, e ho te, piccola, e tu hai me”).

Gli atroci e martellanti dubbi di Jackson Cage (“ci sono notti in cui sogno un mondo migliore, ma mi sveglio così demoralizzato / ti vedo così stanca e confusa che mi chiedo se valga la pena per me o per te aspettare di vedere un po’ di sole senza sapere se quel giorno verrà mai”) si stemperano e si risolvono nella ritrovata, rinforzata, consapevolezza di Two Hearts (“ora credo che, in definitiva, due cuori siano meglio di uno“), che nel finale (nella sua versione live) ingloba una piccola porzione del classico della Motown “It Takes Two”.

Independence Day è la perla che conclude il lato A del disco uno. Springsteen insiste nel presentarla come la sua prima canzone sulle relazioni padri-figli, “il genere di pezzo che scrivi quando sei giovane e per la prima volta comprendi l’umanità dei tuoi genitori. E sei scioccato dal fatto che avevano sogni e desideri perché hai sempre pensato che gli adulti facessero solo e continuamente compromessi. Tu sei giovane e non ne hai fatti ancora”.
Autobiografico, morbido e sofferto, con un assolo di sax che stringe il cuore, il brano mostra una profondità espressiva davvero ragguardevole: “dimmi addio, è il Giorno dell’Indipendenza / papà, ora so le cose che volevi e non sapevi dire / dimmi solo addio, ti prego, è il Giorno dell’Indipendenza / ti giuro che non ho mai pensato di portare via tutte queste cose”.

bruce springsteen 4THE RIVER, disco 1, lato B: giù al fiume.

Di ben altro tenore sono le successive quattro canzoni. Hungry Heart è uno dei momenti rituali dei concerti di Springsteen, con il pubblico che canta la prima strofa e il ritornello e il boss che si lancia fra gli spettatori per il tradizionale crowd surfing che, alla fine, lo riporta sul palco. Se si guardasse solo al testo (un tizio pianta moglie e figli) sarebbe tutto molto drammatico, ma l’allegria pop che sprigiona la musica mette decisamente in secondo piano i versi.

Mentre, poi, Out in the Street è un gioioso inno alla vita che sboccia un momento dopo che si è finito di lavorare (impossibile non fare “oh-oh-oh-oh-oh”) invece la strillatissima Crush on You (la Fender fa scintille!) è un’ironica apologia della cotta e dell’innamoramento: “il mio cervello si prende una vacanza per lasciare più spazio al mio cuore / per un bacio, cara, giuro che darei tutto / perché tu sei una ragione di vita in tutto e per tutto“.

C’è sempre qualcuno che ti interrompe sul più bello, c’è sempre qualcuno che ti dice quello che puoi o non puoi fare: le chitarre si affilano e s’incrociano, le voci di Bruce e Little Steven si attraggono e si respingono per You Can Look (but you better not touch), un’umoristica lamentela, un delizioso sberleffo nei confronti di chi si sente investito di cotanta autorità: “ragazzo, puoi guardare, ma è meglio che non tocchi!”.

Dopo tanta leggerezza, nei due pezzi che concludono il lato B del disco uno si cambia decisamente registro. Nella vita, nonostante la sua durezza e dopo le amarezze e le delusioni, esiste una seconda chance, ci dice la bellissima I Wanna Marry You. La canzone, che nei concerti è introdotta dalle note e dai versi suadenti di “Here She Comes Walkin'”, non solo è una dichiarazione d’amore per una ragazza che lavora e che da sola deve tirar su due figli in questo mondo caotico, ma è anche la proposta concreta di un progetto di vita comune: “non voglio tarparti le ali, dolcezza / ma arriva il momento in cui due persone dovrebbero pensare a queste cose / avere una casa e una famiglia, affrontare le loro responsabilità…dire che avvererò i tuoi sogni sarebbe sbagliato, ma forse posso aiutarti ad averne“.

Un amore nato al liceo e i tuffi giù al fiume. L’intenzione vaga di sfuggire al destino di tuo padre, poi la notizia che Mary è rimasta incinta. Il matrimonio riparatore e la crisi economica che si mette di mezzo a far precipitare le cose: la title-track The River è un film struggente, un racconto pieno di amarezza e rimpianti per un’unione che, schiantandosi contro la durezza dell’esistenza, si sfalda completamente.

L’armonica a bocca distilla lacrime e recriminazioni, le parole sono come pugnali: “ultimamente non c’è stato molto lavoro a causa della crisi / tutte quelle cose che sembravano così importanti sono svanite nel nulla / e io mi comporto come se non ricordassi e Mary come se non gliene importasse nulla“.
Poi, il passato torna e aggrava ulteriormente la situazione: “ora questi ricordi mi perseguitano / mi ossessionano come una maledizione / un sogno che non si avvera è una menzogna o è qualcosa di peggio?”.

bruce springsteen 3THE RIVER, disco 2, lato A: scomparire nell’oscurità.

Impreziosita e drammatizzata dalle note del pianoforte, la cupissima Point Blank (“vai ancora a letto pregando che domani andrà tutto bene? Ma i domani sono sempre meno, uno dopo l’altro / ti svegli e stai morendo e non sai nemmeno per cosa“) dimostra la capacità di Springsteen di raccontare la storia anche dal punto di vista femminile, mettendo a fuoco le promesse mancate e le menzogne (altrui) che portano l’esistenza di una giovane donna ad un punto morto.

La batteria impone un tempo sincopato, una spruzzatina d’organo, una schitarrata, poi entra tutto il gruppo: arriva la scintillante Cadillac Ranch, un rock and roll trascinante che nella versione live di questo tour assume anche una sfumatura country grazie al violino di Soozie Tyrell.

Mentre I’m a Rocker scolpisce a chiare lettere la carta d’identità di Springsteen (“sono un rocker e lo sono tutti i giorni“), invece la successiva Fade Away è l’implorazione disperata di chi non riesce a credere che la sua ragazza lo stia lasciando: “non mi voglio spegnere, dimmi cosa posso fare, cosa posso dire, perché non mi voglio spegnere“, dice il ritornello. E alzi la mano chi non si è mai trovato ad implorare nella stessa situazione.

Notturna, dilatata e struggente, Stolen Car conclude il lato A del secondo disco. Springsteen la introduce come la prima canzone che scrisse sui rapporti fra uomini e donne, interessato com’era a comprendere quelle sensazioni di paura e di insicurezza che accompagnano la fine di un legame e che sono ben condensate nella strofa finale: “guido un’auto rubata in una notte oscura / e dico a me stesso che andrà tutto bene / ma corro nella notte e viaggio col timore di sparire nell’oscurità“.

bruce springsteen 5THE RIVER, disco 2, lato B: tu hai il mio cuore, la mia anima.

Le scosse telluriche e l’estremo divertimento di Ramrod sfociano nella bellezza inarrivabile di The Price You Pay, un magnifico racconto di cinque minuti e mezzo su come il passato resti sempre in agguato nell’ombra dell’esistenza di ciascuno. Le scelte sbagliate, le esitazioni e i treni perduti tornano a condizionare il presente e a determinare il futuro. Del resto anche Mosè dovette pagare un prezzo assai elevato per i suoi dubbi: “ricordi la storia della terra promessa? Come quel tizio attraversò il deserto e non poté entrare nella terra prescelta? Rimase sulla riva del fiume a scontare il prezzo che si paga“.

Ci perdonerete, ma è praticamente impossibile descrivere la magnificenza di Drive All Night, una lunga, intensa dichiarazione d’amore (“giuro che guiderò tutta la notte solo per comprarti un paio di scarpe e assaporare le tue dolci carezze“) che sfocia in un assolo di sax senza uguali e si conclude con una dolcissima litania (“attraverso il vento, sotto la pioggia, la neve, il vento, la pioggia, tu hai il mio cuore, la mia anima“) che va sempre più in crescendo.

Un uomo guida nella notte, non c’è nessuno per strada. Ad un certo punto l’uomo vede un’auto incidentata. Sangue e vetri rotti sono ovunque, un uomo è stesso a terra e gli chiede aiuto. Finalmente arriva un’ambulanza, il ferito viene portato all’ospedale. Tornato a casa, l’uomo rabbrividisce pensando “a una fidanzata o una giovane moglie / e a un poliziotto della stradale che bussa nel cuore della notte per dirti che il tuo amore è morto fra i rottami dell’autostrada“.

Il crudo, cinematografico, realismo di Wreck on the Highway conclude l’escursione al fiume con un uomo che si immedesima in un altro uomo, con una persona che ha la netta sensazione che il destino dell’altro poteva essere il suo.

Allora, il crudo realismo che connota questo magnifico pezzo si trasforma, nell’ultima strofa, in un’immagine di una tenerezza infinita: “a volte rimango seduto nell’oscurità / e osservo il mio amore che dorme / poi mi metto a letto e la stringo forte / e resto lì sdraiato nel cuore della notte pensando ai rottami dell’autostrada“.

Bruce Springsteen 6E, dopo “THE RIVER”, ancora un fiume di musica

Terminata l’esecuzione integrale e rigorosa di “The River”, dopo aver compreso ancora una volta che Springsteen mantiene sempre tutte le sue promesse, ascolteremo molti altri pezzi (tredici, quattordici, quindici?) tratti da una discografia straordinaria che spazia dal 1973 ai giorni nostri.

Dando un’occhiata alle scalette dei concerti precedenti, non mancheranno Badlands, Dancing in the Dark e Born to Run, risponderanno all’appello Rosalita, The Rising e Thunder Road e poi.. be’… poi con Springsteen non si può mai sapere: ricordate “New York City Serenade” tre anni fa a Capannelle?

Giovanni Berti

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3 COMMENTI

  1. Attenzione: contrariamente a quanto accaduto negli USA (l’articolo risale a quel periodo), nei concerti europei “The River” non viene eseguito per intero e in sequenza, ma ne viene proposto ogni volta un numero variabile e significativo di brani (Out in the Street, Hungry Heart e The River non mancano mai).
    Cordialmente
    La Redazione

  2. Gentile sor Chisciotte,
    in tutto il tour europeo “The River” è stato proposto in sequenza e nella sua interezza solo nella seconda data parigina e (penso) solo perché il concerto aveva luogo in un palasport e non in uno stadio.
    Senza voler entrare nella mente di Springsteen, ma tenendo conto delle dichiarazioni di Little Steven, si ritiene che le tante ballate del disco “possano non funzionare” in uno spazio ampio e aperto.
    Ma il Nostro ci ha abituati a sorprenderci e, quindi, staremo a vedere e a sentire…
    Cordialmente
    La Redazione

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