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Stefano Vincenzi, da Roma Nord a Costantinopoli

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Galvanica Bruni

Popoli antichi, spietati ma devoti ai loro principi, guerrieri che hanno contribuito a creare la nostra civiltà, ma che la storia ha spesso dimenticato. A loro la penna di Stefano Vincenzi, uomo di finanza e di storia, ha donato volti e voci, prima con Verso Costantinopoli, oggi con La Porpora e il Sangue. Il suo secondo romanzo storico è stato presentato sabato 7 novembre al Tennis Club Parioli.

Stefano Vincenzi è responsabile della Funzione Consulenza Legale e Relazioni Internazionali di Mediobanca e professore di Diritto del Mercato Finanziario all’Università Europea di Roma. È nato e cresciuto ai Parioli, ma da molti anni vive a Roma Nord con la sua famiglia.

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Lo avevamo conosciuto nel 2009, quando presentò il suo primo romanzo storico dal titolo Verso Costantinopoli, nella libreria Pallotta. Il successo di quel libro, la passione per la storia e la tenacia che lo contraddistingue, hanno portato Vincenzi a scriverne il seguito: La Porpora e il Sangue.

E noi lo abbiamo incontrato di nuovo nel raffinato salotto del TC Parioli, gremito di persone e di coppe, dove ci siamo fatti trasportare in epoche antiche e dimenticate, tra battaglie e amori segreti, violenze e atti di profonda fedeltà.

Oltre all’autore, dopo il saluto del presidente del circolo, Maurizio Romeo, sono intervenuti Annamaria Greco, giornalista del Il Giornale, e Luigi Russo, professore di Storia Medievale all’Università Europea di Roma.

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“Tutti hanno un hobby”, racconta Vincenzi. “Io sono appassionato di storia e amo scrivere. Alla fine del liceo, decisi che avrei scritto romanzo di storia. Poi, mi sono laureato in Giurisprudenza e mi sono ritrovato a Mediobanca, ma non ho mai rinunciato a quel sogno.
Solo che ho impiegato 25 anni a scrivere il primo e 6 per il secondo, spero di essere più veloce con il terzo, perché dopo vorrei scrivere un giallo di finanza”.

Epoche oscurate dalla storia

La Porpora e il Sangue è ambientato nella metà del X secolo avanti Cristo, durante lo scontro tra i Sassoni e i Bizantini che difendevano i Temi italiani fedeli all’Impero Romano d’Oriente. Ma lo scenario del romanzo segue i protagonisti dalla Germania a Roma, alla Sardegna, fino a Costantinopoli.

“Ho studiato la storia del Medioevo in modo confuso e non convincente, era tutta incentrata in Italia e in Francia e si concludeva con la caduta Costantinopoli nel 1453. Poi, iniziava il Rinascimento. Ma come si era arrivati fin lì? Questo era un lato oscuro che mi ha sempre intrigato e appassionato, forse i due aspetti erano collegati, anche se nessuno lo spiegava. Forse l’agonia e la caduta di Costantinopoli hanno alimentato il Rinascimento, come un sasso gettato sul fuoco che fa saltare scintille, che possono dar fuoco a sterpaglie secche.
Mi hanno raccontato la storia degli amanuensi, non ho mai potuto credere che la cultura classica e la civiltà potessero essere salvati e tramandate dagli operosi benedettini, anche se avessero scritto come furie”.

Da questo nodo storico oscuro, eppure fondamentale, è iniziata la ricerca di Vincenzi e la sua lettura critica della storia.

“Mi sono reso conto che la storia la scrivono sempre i vincitori, o la tramandano, salvo la così detta rivalutazione, secoli e secoli dopo. Pensate a Nerone, o a Ottaviano buono e Antonio cattivo, Diocleziano cattivo e Costantino buono. I Franchi buoni e i Longobardi cattivi, quasi non si parla dei Sassoni prima della loro conversione e la rinascita dell’Impero Romano d’Occidente – detto sacro – incoronato dai buoni ed elogiato dalla storiografia cristiana, l’unica esistente in occidente, mentre i bizantini diventavano sempre di più brutti e più cattivi.
Il concetto di buoni e cattivi si potrebbe declinare fino ai giorni nostri e forse diventa vero perché il vincitore è il buono, gestisce la storia e permea le nostre categorie etiche e culturali. Se credete che la verità non sia un concetto assoluto”.

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Storia, ma pur sempre un romanzo

La ricostruzione storica è precisa e dettagliata, ma resta un romanzo d’avventura. Così, tra le mura di città ricoperte d’oro e valli insanguinate, seguiamo i volti e i sentimenti di uomini e donne che hanno fatto parte della nostra storia.

“I personaggi principali – spiega Vincenzi – sono Ottone I, giovane imperatore venuto dalla Sassonia, e Niceforo II, il basilueus di Costantinopoli, che guarda verso oriente per riconquistare i territori cristiani occupati dagli infedeli. Intorno a quest’ultimo, si muovono l’intrigante basilissa Teofane, madre dei principi porfirogenti, e il misterioso Jhoannes, veterano di cento battaglie che veglia sulla loro vita. Affianco a loro, compaiono re e regine, principi e principesse, cavalieri e guerrieri d’oriente e d’occidente che amano, odiano e combattono in un contesto fedele alla storia, per quanto può esserlo un romanzo che immagina anche le ragioni di chi non ha vinto in guerra e in amore. “

“Sono personaggi che vivono e pensano secondo l’etica dell’epoca. Questo per me è importante. Se li giudicherete solo secondo i nostri principi, vorrà dire che non vi ho trasmesso integralmente il pensiero sottostante al racconto”.

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I valori dei Bizantini

Sotto il racconto, ci sono i valori che permeano i comportamenti di quei popoli e che Vincenzi tiene a spiegare.

“Sono valori che li legano alla fede, che li spingono in guerra e che guidano i loro sentimenti. La fede dei bizantini è vera e profonda, muove e genera decisioni chiave in tutta la storia di Costantinopoli e a tutti i livelli sociali, resiste fino all’estremo sacrificio personale e collettivo; la guerra non è combattuta da predoni che cercano tesori, schiavi o domini, per poi giustificarsi con la fede, i bizantini combattono per la fede, combattono non per imporre ma per difendere l’Oicumene cristiano; non sono icone ieratiche, non sono subdoli e crudeli, sono diversi da come li hanno raccontati: uccidono e tradiscono, ma sanno anche amare, essere generosi e compiere azioni grandiose.
Come quasi tutti i popoli. Si sono anche combattuti tra loro in feroci guerre civili, ma non hanno mai tradito l’Impero e l’Oicumene, lottando fino all’estremo sacrificio”.

Quel che resta

Cosa resta oggi di questo mondo lontano e scomparso? Glielo chiediamo.

“Se noi esistiamo come civiltà occidentale, non lo dobbiamo ai cavalieri franchi o ai monaci amanuensi, ma ad una grande civiltà che ha combattuto senza arrendersi, permettendoci di essere quelli che siamo culturalmente, finché non è stata prima tradita e poi distrutta, ma non si è mai arresa. Ci resta un bagliore, come quello di un sole lontano che alla fine è esploso, si è disintegrato, ma la cui luce arriva ancora”.

La Porpora e il Sangue è un romanzo coinvolgente, dal ritmo incalzante e capace di trascinare tra i meandri della storia bizantina esperti e neofiti. Per saperne di più si può visitare la relativa pagina facebook oppure il sito web dell’autore.

Adelaide Cao

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