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Bob Dylan a Roma, non pensateci due volte

Duca Gioielli

Lunedì 29 giugno, con inizio alle ore 21, le Terme di Caracalla faranno da affascinante scenario al concerto che Bob Dylan terrà a Roma insieme alla sua band. Questa ennesima tappa del never ending tour, in due ore di show, ripercorrerà attraverso una ventina di brani oltre cinquant’anni di una carriera inarrivabile.

Michelangelo da Duluth

Michelangelo è nato a Duluth, Minnesota, il 24 maggio del 1941. Il cantautore, il menestrello, lo scrittore, il poeta – non si può essere che d’accordo – ma soprattutto lo scultore. Sì, perché il modo con il quale Dylan ha composto e compone le sue canzoni somiglia fortemente alla maniera in cui si crea una statua che rimarrà nei secoli dei secoli come testimonianza eloquente del genio umano.

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Come il Buonarroti forgiava la materia togliendo l’inutile per lasciare solo l’essenziale, così mr. Zimmerman ha eliminato le parole superflue e ha trovato quelle giuste, le ha assemblate e ha dato loro una forma ora armoniosa e suggestiva, ora appuntita e incisiva. Colpi sapienti di scalpello, prima e dopo, sopra e sotto, in polvere l’inutile e ai posteri i capolavori.

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Un’alzata di spalle e un mezzo sorriso burbero

Mr. Dylan ha amato la tradizione e l’ha aggiornata, ha creato avanguardie e le ha poi accantonate quando il fantasma del “già detto” o del conformismo iniziava a infestarle. Tenace, testardo, spigoloso, ribelle, anticonvenzionale, Michelangelo da Duluth ha ingaggiato leggendari duelli con il suo stesso pubblico, che lo idolatrava (con la chitarra acustica e l’armonica a bocca) e che lo detestava (insieme a una rock band).

Da Woody Guthrie a Frank Sinatra, dalla Band a Tom Petty, da Johnny Cash a Mark Knopfler, insieme a Joan Baez e Emmylou Harris, fra il minimalismo del folk, il realismo del country, le lamentazioni del blues e le promesse del rock, mr. Dylan ha compiuto e prosegue il suo viaggio senza farsi intrappolare dai cliché e ogni volta, con un’alzata di spalle e un mezzo sorriso burbero, si rimette in cammino lungo i binari guardando alle esitazioni dell’umanità e ai misteri del firmamento.

Quando pensi di conoscerlo, ti spiazza un’altra volta; quando pensi di abbandonarlo e relegarlo al suo (e al tuo) passato, lo incontri di nuovo; quando pensi che ti prenderà a cazzotti, ti stringe la mano con cortesia. E viceversa.

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Dylan e i nostri tempi

Rischiando un’accusa di blasfemia, qualcuno potrebbe azzardarsi a dire che il signor Zimmerman, nell’ultimo decennio e forse anche prima, ha offerto ai microfoni e alle platee una versione rivisitata della voce di Donald Duck, aggirandosi sui palchi di tutto il pianeta come un killer spietato la cui unica missione fosse quella di ammazzare i suoi stessi brani.

Cosa che, peraltro, potrebbe configurarsi essa stessa come blasfemia, considerata l’eccelsa qualità delle canzoni di cui stiamo parlando.

Storia vecchia, questa. L’artista è lui e quelle sono le sue canzoni. Ergo, ci fa quello gli pare, si riserva persino il diritto di rovinarle. Ma davvero è un suo diritto? Ma non stiamo parlando di una valanga di brani che hanno segnato le esistenze di milioni di persone? E, allora, siamo sicuri che appartengano solo ed esclusivamente a lui?

Lasciando le risposte a chi ci legge, resta un fatto incontrovertibile: Dylan non ha perduto il suo carisma, vederlo sopra un palco, magari in posizione defilata a pestare tasti su un organo da quattro soldi, cambia la qualità dell’atmosfera e suggerisce rispetto.

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Non perché ha un passato scintillante dietro alle spalle, non perché la sua esistenza è già marchiata dalla leggenda più che dalla storia, ma perché semplicemente non c’è nessuno come lui, il vecchio filosofo schivo e spigoloso che porta in giro per il mondo, non solo lo splendore e la gloria dei tempi andati, ma anche le conquiste e le sconfitte, i dubbi, le speranze e le certezze, gli azzardi, le contraddizioni e i conflitti della nostra epoca.

In nome di tutto questo – che è reale e tangibile – si può rinfoderare il ferro corto del sarcasmo e evitare di ridacchiare se, dopo tre minuti di canzone, qualcuno al vostro fianco vi darà di gomito chiedendovi: “ma questa è ‘Simple Twist of Fate’?”.

Non pensateci due volte

Alle Terme di Caracalla, Michelangelo da Duluth, Minnesota, porterà in scena oltre cinquant’anni di musica e di strada, regalerà visioni di ieri e di oggi, anche attraverso lo sguardo di Woody Guthrie e Frank Sinatra, scruterà di nuovo il cielo e la terra e, poi, con un’alzata di spalle e un mezzo sorriso burbero, si rimetterà di nuovo in cammino.

Non pensateci due volte, va tutto bene. Ne vale sempre la pena. I biglietti per lo spettacolo possono essere acquistati cliccando qui.

Giovanni Berti

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