In scena fino al 13 aprile al Teatro Olimpico, “Beatles Submarine” è uno spettacolo godibilissimo che ripercorre per quasi 80 minuti la fantasmagorica leggenda del quartetto di Liverpool. Sul palco, i Fab Five – ossia Neri Marcorè insieme ai quattro componenti della Banda Osiris – danno vita ad un concerto bizzarro e ad una narrazione fedele e surreale, ad un viaggio psichedelico e sorprendente attraverso l’universo luminoso e stupefacente di John, Paul, George & Ringo.
se la leggenda diventa realtà vince la leggenda
Parole e musica per un’avventura senza eguali che schizza via leggera dalle profondità degli abissi fino alle costellazioni più lontane. Dal Cavern Club fino alla leggenda senza ritorno. La storia dei Beatles è stata raccontata, analizzata e sezionata in milioni di modi e in ogni angolo del globo. Esegeti, interpreti, scrittori e scribacchini l’hanno portata sotto le luci dei riflettori, ora con devozione sconfinata ora con il malcelato intento di vivere di luce riflessa. In tutti i casi, la realtà è diventata leggenda e quando questo accade, come diceva John Wayne a Jimmy Stewart ne “L’uomo che uccise Liberty Valance”, vince la leggenda.
E, intorno ai quattro capelloni di Liverpool, le leggende sono cresciute e si sono moltiplicate come i germogli di bambù sotto i cieli del Sichuan.
Per raccontare la storia – e, quindi inevitabilmente, la leggenda – Giorgio Gallione, l’autore e il regista di “Beatles Submarine”, sceglie una prospettiva diversa e originale, una strada non percorsa in precedenza.
Ecco che, allora, il timone passa a Neri Marcorè e ai quattro della Banda Osiris. Un incipit da creazione del mondo e, poi, la narrazione attraverso le parole e la musica. I fatti, le date, i luoghi, gli episodi-chiave ci sono tutti, ma sono rimescolati, disarticolati, riletti. Il viaggio non procede in linea retta lungo un sentiero già tracciato, né ha la velleità di piazzare punti esclamativi o di ribadire verità ascoltate fino allo sfinimento.
La rotta del “Beatles Submarine”, lungi dal perseguire un approdo facile e scontato, contempla diversi registri e varie destinazioni, è impostata sulle coordinate dell’omaggio stralunato e ironico, scansando le trappole dell’apologia e le insidie del revival.
brillante, ironico, psichedelico
Lo spettacolo è brillante, colorato, divertente, sgangherato. Parla del destino, dei suoi regali e dei suoi fardelli. I Beatles si affacciano al mondo e il mondo, rappresentato indegnamente da un discografico a dir poco incompetente, sembra non volerli. Ma è solo questione di tempo, gli eventi si sono già messi in moto e l’anno successivo i quattro ragazzi inchiodano davanti alla tivvù 75 milioni di persone.
Dove ci sono i Beatles, crolla la criminalità. Quando i Beatles iniziano un concerto, la musica viene coperta dalle urla isteriche delle fans. Quello che i Beatles dicono, viene amplificato fino all’inverosimile, elevato all’ennesima potenza. La folle e sconcertante Beatles-mania è una valanga che sembra inarrestabile e infinita.
Ma tutti i sogni, anche quelli più grandi, hanno una data di scadenza e il destino vuole sempre qualcosa in cambio. Lo scioglimento, dopo una valanga di capolavori e più di mille esibizioni, è nell’aria, in agguato come un killer sotto il sole, ineludibile. E, anni dopo, Mark Chapman si porterà i suoi deliri, una copia di “Double Fantasy” e una pistola sotto il Dakota Building…
I Fab Five del Teatro Olimpico ripercorrono tutte le tappe della storia che si è mescolata con la leggenda; le canzoni – da “Lucy in the sky with diamonds” a “Across the universe”, da “Hey Jude” a “All my loving” – scandiscono la narrazione in modo fluido, leggero e accattivante.
Mirabile ed irresistibile la ricostruzione della nascita del testo di “Yesterday”, in origine “Scrambled Eggs”. I pezzi sono rimasticati, “ironizzati”, trasformati; la musica – che è l’abbiccì della musica popolare contemporanea – è trasportata altrove, in una dimensione onirica e psichedelica, per poi ritornare laddove è sempre stata, cioè nelle nostre esistenze.
Se è vero che tutti i sogni, anche quelli più grandi, finiscono e che il destino pretende sempre qualcosa indietro, è altrettanto vero che quando un sogno muore, esplodendo come una stella, fa nascere infiniti sogni negli uomini e nelle donne che hanno l’ardire di viaggiare nell’universo.
applausi e ancora applausi
Applausi, quindi, e ancora applausi per il talento di Neri Marcoré e per i quattro della banda Osiris – Carlo Macrì, Gianluigi Carlone, Roberto Carlone e Sandro Berti -, un quintetto d’eccezione in grado di far rivivere e trasmettere un sogno eccezionale che ancora pervade le anime di tutti noi che, nonostante tutto, continuiamo ad aver fede in questi tempi caotici e desolati.
Giovanni Berti
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