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Primavera, riapre il chioschetto di Ponte Milvio

Duca Gioielli

chioschetto120.jpgLe temperature iniziano ad aumentare, le giornate sono sempre più lunghe e come ogni tradizione che si rispetti, la pietra miliare dell’aperitivo romano ha riaperto i battenti al pubblico. L’ormai epico chioschetto verde ai piedi della torretta Valadier di Ponte Milvio ha ritirato fuori tavoli e sedie, tutto è pronto, si ricomincia. Ricominciano i pomeriggi e le serate in cui sciami di ragazzi si sparpagliano tra i tavoli, sui motorini, sul parapetto del ponte e tra un drink e l’altro passano le ore a fare l’aperitivo che ormai spesso e volentieri si dilunga per tutto il resto della serata.

E pensare che in realtà quel chioschetto, prima di avere il successo che ha avuto, era probabilmente una baracca per il rimessaggio del legno richiesta da un tale Mogliani nel 1898 per “esercitarvi l’industria di barbiere”. La richiesta non fu accolta ma effettivamente Mogliani non ebbe una cattiva idea se si pensa che Ponte Milvio allora era un punto di sosta molto trafficato dato che costituiva l’unico accesso alla città dalla via Flaminia.

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Il chiosco, che a quanto dicono i documenti, era un locale avviato già nel 1936, stabile nella sua posizione, resistette anche alla tremenda alluvione del ’37. Nel ’46 Giulio Martini acquistò il chiosco e nel ‘90 pensò bene di sistemarlo per i mondiali di calcio.

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Nel 1992 Emma Pallotta, l’attuale proprietaria, acquistò il locale e nel ’97 decise di affidarne la gestione ai due nipoti Fabrizio e David, allora ventenni o poco più, che siamo andati a trovare in occasione della riapertura del chiosco e dai quali ci siamo fatti raccontare la storia di questo grande e inaspettato trionfo.

Quando la zia gli propone la gestione del chiosco, sia Fabrizio che David già conoscono le dinamiche della movida romana. Organizzavano serate nei locali e nelle discoteche della capitale e fu semplice per loro, una volta aperto il chiosco, attirare oltre che gli amici una più ampia clientela; una clientela già assorbita lavorando nelle pubbliche relazioni e ciò gli facilitò le cose.

“Allora, racconta Fabrizio a VignaClaraBlog.it, alle 11 di sera, quando il ristorante Pallotta chiudeva, nella piazza non c’erano più luci, era talmente buia e deserta che ogni sera accendevamo delle fiaccole e segnalavamo il percorso per farci vedere”. Chi l’avrebbe mai detto che ora invece delle fiaccole, ad illuminare ci sono le luci lampeggianti della polizia che blocca il traffico.

Vanto a diritto dei due fratelli è quello di aver portato il mojito a Roma Nord; “all’inizio, dicono ridendo, ci chiedevano, ma che ci hai messo qua dentro, la lattuga?” . Non a caso la specialità del chiosco è proprio questa e col tempo anche chi ha scambiato la menta con la lattuga ha imparato ad apprezzare.
In poco tempo la piazza, da placida e buia che era, è diventata rumorosa e piena di luci. Le luci dei tantissimi locali che sull’onda del successo del chioschetto hanno aperto lungo tutta l’area e il perimetro di Ponte Milvio. Locali che con il supporto di funghi riscaldanti e tendoni rimangono aperti tutto l’anno.

Allora perché il chioschetto si riserva l’esclusività di aprire solo nella stagione calda da aprile a ottobre?

Le ragioni sono semplici: “l’idea del chiosco era più quella di uno stabilimento balneare che quella di un qualsiasi bar di città, che sia quindi un tipo di locale in sintonia con le temperature. Inoltre essendo collocato cosi vicino al fiume, l’umidità è tanta e la temperatura è quasi di 5 gradi più bassa rispetto a dove si trova la chiesa; aggiungere quindi supporti per l’inverno cambierebbe troppo radicalmente la fisionomia e l’idea con cui è nato il chiosco”.

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L’affiorare dei numerosi locali nella piazza, il nuovo concetto di aperitivo imbandito come fosse una cena, non preoccupano più di tanto in termini di concorrenza. Il chiosco infatti, essendo stato il primo dei tanti, gioca una partita vinta già tempo fa, ed è infatti sulla linea della tradizione e della semplicità che intende continuare il suo percorso.

A questo proposito è stato imposto ai due gestori di rinnovare la struttura e renderla un edificio stabile. Ma tale rinnovamento vorrebbe dire cambiare totalmente l’anima e soprattutto il corpo del chiosco, vorrebbe dire buttar giù un pezzo di storia, vorrebbe dire abbandonare l’idea che ha scatenato tanto successo.

Per fortuna c’è chi si è preso a cuore il problema. Si sta quindi cercando di trovare soluzioni per rinnovare la struttura pur lasciandola comunque nel suo abito di chiosco, di piccolo chiosco verde che nel suo angoletto sopra il Tevere ha cambiato il volto di una piazza per non dire di un quartiere.

Anna Garbarino

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