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I rospi dell’Insugherata

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insugherata.jpgCosa accadrà nel 2015 quando l’Italia, in base ad una direttiva europea, dovrà presentare i corsi d’acqua, torrenti e fiumi, in buone condizioni? Ce lo chiediamo ogni volta che scavalchiamo il fosso dell’Acqua Traversa per entrare nell’Insugherata. Da quando è possibile accedere dall’ingresso di via Panattoni per raggiungere la parte centrale della Riserva bisogna arrampicarsi su quel tronco caduto che al di sotto raccoglie una gran quantità di rifiuti: bottiglie, contenitori e taniche di plastica.

Prima che tornasse la pioggia, approfittando di una bella giornata di sole siamo andati a fare un lungo giro nell’Insugherata; certo la primavera è ancora lontana e gli alberi rimangono spogli ma qualche timido segnale si incomincia ad intravedere come le ginestre che hanno assunto un bel colore verde brillante.

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Nella valle un gregge di pecore sosta pigramente al sole ricordandoci che questo lembo di territorio, strozzato tra Cassia e Trionfale, un tempo era la bella campagna romana.

Scavalcando il fosso, sulla sabbia, intravediamo le orme di volpi (forse) e cinghiali: i cinghiali da tempo affollano numerosi la Riserva creando dei veri e propri camminamenti tra la vegetazione e le canne; sentieri che vanno poi a morire in grandi pozze fangose dove i suidi amano rotolarsi.

Inizialmente costeggiamo il fosso dell’Insugherata per poi salire sulla collina dove nel terreno si è creata una grande frattura; lungo il sentiero che porta alla sommità notiamo frammenti di laterizi, conchiglie fossili e perfino un grosso pezzo di marmo levigato (ci limitiamo a fotografarlo lasciandolo al suo posto consci dei terribili divieti).

Dall’alto della collina che sovrasta la zona umida proviene incessante il canto dei rospi.
Il rospo comune (bufo-bufo) è uno dei tanti abitanti di queste acque stagnanti ricche di biodiversità; un esemplare adulto può raggiungere anche i 20 centimetri di lunghezza. Di colore marrone tendente al rossiccio è il più grande degli anfibi italiani.

A causa del suo aspetto decisamente poco piacevole (in realtà noi li troviamo deliziosi!) il povero rospo nei secoli è stato perseguitato senza tregua; si pensava un tempo che il suo corpo tozzo e bitorzoluto celasse una strega mentre la saliva si credeva provocasse la cecità.

Nella realtà il rospo, e gli agricoltori conoscono bene la sua utilità, è uno sterminatore di insetti nocivi e di lumache.
Nel periodo della riproduzione effettua lunghi spostamenti per raggiungere l’acqua e in questo modo si espone a numerosi pericoli.

Un individuo, purtroppo morto, lo troviamo infatti sulla sabbia dove transitano alcune macchine agricole (a giudicare dalle dimensioni dovrebbe trattarsi di una femmina).

Poco distante, dove inizia la zona paludosa, nell’acqua scorgiamo anche una fitta rete di tubi aggrovigliati; a prima vista sembrano radici ma nelle realtà sono i cordoni gelatinosi ripieni di uova che ogni esemplare depone in numero di 3-5.000. Da ogni uovo nascerà una larva che si svilupperà in due, tre mesi.

Lasciamo i nostri rospi per tornare al fosso dove i salici, ricoperti solo da un lato di muschio, ci indicano con precisione la direzione del Nord (controllata con il SUUNTO che portiamo al polso!); qualcuno, a proposito del fosso, è convinto che le sue sponde nascondano delle “sabbie mobili”.

Di sabbie mobili in realtà non c’è traccia ma il letto dei fossi è ricoperto di una melma molto molle dove è possibile sprofondare anche per 50-70 centimetri.

Quando si va nella Riserva è bene portare infatti oltre alla macchina fotografica ed un binocolo anche un robusto bastone; non serve per difendersi (che nella Riserva pericoli non ce ne sono) ma per aiutarsi nel guadare il fosso, nel saggiare la consistenza del terreno o per smuovere delicatamente un pezzo di corteccia che nasconde chissà quale forma vivente.

Prima di lasciare la Riserva fotografiamo i castelli di sabbia che qualche bambino ha realizzato vicino al ruscello; è il segno tangibile che questa area verde assediata dalla città è uno degli ultimi luoghi magici di Roma Nord.

Francesco Gargaglia

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