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Via di Quarto Peperino: quarta per nome, prima per degrado

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viaquartopeperino120.jpgIl territorio del XX Municipio non è, purtroppo, solo lo storico Ponte Milvio od il solitario Malborghetto, l’isola felice di Isola Farnese o le oscure selve del Parco di Veio dove organizzare gite domenicali ed escursioni naturalistiche. Magari fosse solo questo. Provate infatti ad usare google-map sorvolando via di Grottarossa in direzione della Flaminia; dopo l’Ospedale S.Andrea noterete un lungo rettilineo circondato da ampi prati. Si tratta di Via di Quarto Peperino.

Uno stradone che taglia in due una vasta area collinare. Nel vostro volo vi accorgerete che, in direzione Nord, quasi a contatto con il GRA, c’è qualcosa che assomiglia ad una vecchia fabbrica o ad una discarica.

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Bene, ora lasciate pure google-map, vi ci portiamo noi.

I prati che circondano Via di Quarto Peperino non hanno recinzioni né cartelli che indicano una proprietà privata; anzi un’area parcheggio di recente realizzazione e una trascurata pista ciclabile in asfalto farebbero pensare a proprietà pubbliche destinate al verde.
Ma su quei prati abbiamo trovato solo un centinaio di pecore e un airone-guardabuoi appollaiato sul groppone di una di queste: una immagine bucolica che ci ha riportato alla mente le tele di Telemaco Signorini.

L’area di sinistra, che ben si presta per un pic-nic domenicale, è un’ampia collina sulla cui sommità svettano alcuni grandi e maestosi pini; la disposizione di quegli alberi ricorda un po’ Monte delle Grotte, sulla Via Flaminia (leggi qui), e fa pensare ad un sito archeologico.

Oltrepassato il rado boschetto ci dirigiamo verso il Raccordo Anulare passando attraverso i “resti” di quello che fu un grande vigneto: pali in cemento divelti e vecchi cavi di acciaio contorti. E subito dopo il vigneto cominciano i guai.

Tra gli arbusti che lentamente ma inesorabilmente si vanno diffondendo abbiamo trovato materiali di scarto, manufatti in cemento, polistirolo e poi i resti di un paio di baracche con il loro corollario di rifiuti.
Anche se le baracche sono state abbattute danno l’idea di essere state abitate in tempi recenti: all’interno vecchi materassi, teli di plastica, posate e stoviglie.

Qualche mese fa proprio nel boschetto che costeggia Via Edward Salk è stato sgomberato e abbattuto un insediamento abusivo nascosto tra gli alberi.
Ci addentriamo nella vegetazione, e ci accorgiamo che il terreno è sconnesso, costituito da tante montagnole dove fuoriescono pezzi di cemento e laterizi; il segno inconfondibile che quel posto è stato usato come una discarica che la vegetazione lentamente sta ricoprendo.

Sbuchiamo dai rovi e ci troviamo sull’orlo di una ripida scarpata: sotto di noi un’incredibile scenario di degrado.

Due grandi capannoni con il tetto in eternit e le porte spalancate. Si tratta di una vecchia cava o di un deposito di materiali edili, anche se quello che vediamo è una vera e propria discarica.

Tutto intorno, in un caos indescrivibile, materiali di ogni tipo accatastati in maniera disordinata; ai margini alcuni vecchi containers con le porte sfondate e qualche metro più in là il folle traffico del Raccordo Anulare.

Non è chiaro se si tratti di una proprietà privata o più semplicemente di un’area dismessa: sappiamo solo che siamo all’interno del Parco di Veio e a qualche centinaio di metri da Labaro.
Tutto farebbe pensare che quelle vecchie strutture siano abbandonate da anni eppure alcuni inconfondibili segni, come tavoli, seggiole, bottiglie di vino e una porta di legno chiusa, fanno pensare che qualcuno ancora utilizza quei capannoni fatiscenti.

Ci chiediamo anche se sia possibile e soprattutto se sia permesso mantenere all’interno di un’area protetta un qualcosa di simile: una domanda che gireremo all’Ente Parco di Veio.

Amareggiati da tanto scempio ambientale torniamo sui nostri passi. Comincia a fare buio ed incontriamo nuovamente il gregge di pecore che lentamente dirige verso alcune baracche ai piedi della collina.

Ritroviamo il punto di partenza: la pista ciclabile, invasa dalle erbacce, e l’area parcheggio con gli accessi sbarrati. Ambedue, in questo scenario, appaiono come l’ennesima opera inutile.
E la domanda, in puro stile Lubrano, ci sorge spontanea: quando e chi l’ha realizzata, e quanto sarà costata ai contribuenti?

Francesco Gargaglia
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