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Al Teatro Olimpico i più grandi successi dei Pink Floyd

ArsBiomedica

pinkfloyd.jpgAll’interno intervista a Ron Geesin, il compositore che collaborò con i Pink Floyd – Il Teatro Olimpico di Piazza Gentile da Fabriano ospiterà venerdì 18 maggio, con inizio alle ore 21, l’esecuzione integrale, in prima assoluta a Roma, della suite “Atom Heart Mother”, nella sua versione originale per Orchestra e Coro, che per l’occasione saranno diretti dal maestro Piero Gallo. Ad integrazione dello show, che si annuncia imperdibile non solo per i fans di Waters e Gilmour, la tribute band dei Pink Floyd Legend proporrà molti brani tratti dalla discografia del gruppo britannico che ha cambiato la storia del rock.

LO SHOW IN PROGRAMMA AL TEATRO OLIMPICO

Effetti speciali suggestivi, come i raggi laser, il maiale volante di “Animals” e l’aereo che si schianta di “On The Run” (e di “The Wall”), faranno da corollario e completamento a questo spettacolo unico che offrirà quasi due ore di grande musica e che includerà nel suo ricco ed accattivante programma l’esecuzione integrale della suite “Atom Heart Mother”, il sorprendente brano della svolta dei Pink Floyd, il poema sinfonico che ha segnato il deciso allontanamento dalla psichedelia di “Ummagumma” e che ha condotto il gruppo verso un progressive rock decisamente più maturo rispetto alla produzione precedente.

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La parte corale ed orchestrale di “Atom Heart Mother” fu composta e diretta dall’allora giovane compositore sperimentale Ron Geesin e la suite, che richiede quasi ventiquattro minuti per la sua esecuzione, si articola in sei parti, tra di loro collegate senza soluzione di continuità: “Father’s Shout”, “Breast Milky”, “Mother Fore”, “Funky Dung”, “Mind Your Throats Please” e “Remergence”.

Gli aggettivi e le definizioni non sono sufficienti per poter descrivere adeguatamente le caratteristiche proprie di questa gemma inimitabile della storia della musica, che al Teatro Olimpico verrà eseguita nella versione originale presente sull’omonimo disco pubblicato il 10 ottobre 1970 : sinistra, suggestiva, claustrofobica, armoniosa, angosciante, struggente, magnifica, destabilizzante, rigorosa, articolata ma con una struttura sorprendentemente semplice; essa a tratti (al principio ed alla fine) conserva le sonorità western ed epiche che ne costituirono lo spunto iniziale (si sentono anche i nitriti dei cavalli mandati in battaglia), profilandosi come il brano nel quale i Pink Floyd trovarono la propria identità e la propria missione.

Oltre a questa rarissima esecuzione, una primizia per il pubblico capitolino, troveranno ampio spazio nell’arco della serata molti fra i pezzi che hanno consacrato i Pink Floyd nell’Olimpo della musica rock e non solo: tra i classici, infatti, ascolteremo, per esempio, “Shine On You Crazy Diamond”, “Time”, “Wish You Were Here” e “The Great Gig In The Sky”.

Sul palco, come all’interno della suite, la musica classica e la musica rock si amalgameranno magicamente nell’ambito di uno show vario ed articolato nel corso del quale troveranno posto il violoncello di Dante Cianferra ed il maestro Piero Gallo, che dirigerà l’Orchestra e il Coro Mavra, oltre al Coro Thesaurus; mentre il gruppo dei Pink Floyd Legend riproporrà con grande impatto le canzoni storiche della band britannica, regalando significative testimonianze dell’intera discografia floydiana dalle prime produzioni di Syd Barrett fino all’epoca successiva all’abbandono di Roger Waters.

I Pink Floyd Legend sono composti da Fabio Castaldi (basso, voce e gong), Andrea Fillo (chitarra e voce), Alberto Maiozzi (batteria) e Simone Temporali (tastiera e voci); la band nasce nel 2005 ed ognuno dei quattro membri ricopre il ruolo del proprio corrispettivo nei Pink Floyd.

Uniti da una comune passione per il gruppo che ha segnato la storia del rock, i componenti dei Pink Floyd Legend sono particolarmente attenti ad ottenere una riproposizione dei brani fedele all’originale (provare per credere: la band si esibirà venerdì 13 aprile al Jailbreak Live Club di via Tiburtina, 870 proponendo, insieme ad un quartetto d’archi, l’esecuzione integrale di “The Final Cut”, l’ultimo album dei Pink Floyd che vede la partecipazione di Roger Waters e che fu pubblicato nel 1983).

A COLLOQUIO CON RON GEESIN

Compositore geniale ed innovativo, Ron Geesin, 68 anni compiuti lo scorso dicembre, ha contribuito in modo determinante alla fisionomia ed al successo di “Atom Heart Mother”, scrivendone da solo la partitura per orchestra e coro e consentendo ai Pink Floyd di approdare ad un sound più maturo e ad una visione più consapevole.

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Tramite il maestro Piero Gallo, che con la sua Associazione Mavra ha organizzato questo evento e al quale Geesin ha fornito tutto il materiale musicale originale, abbiamo avuto l’onore e la possibilità di rivolgere qualche domanda al compositore britannico.

Signor Geesin,”Atom Heart Mother” può essere considerata come una sinfonia del XX secolo? Forse “sinfonia” è una parola troppo importante: “poema sinfonico” potrebbe essere una definizione migliore e, poi, perché non chiamarla semplicemente suite? Fondamentalmente, “Atom Heart Mother” è un dialogo tra stili musicali differenti che talvolta collidono e si contrappongono, e talvolta si fondono insieme. La suite potrebbe persino essere concepita come se si stesse assistendo ad un balletto o ad una piece teatrale.

Senza entrare troppo nei dettagli tecnici, qual è la struttura musicale dei sei movimenti di cui questa suite si compone? Innanzitutto, la verità è che i sei “movimenti” sono una creazione artificiale resa necessaria dalla circostanza che il produttore (Pink Floyd Music Publishers) voleva ricavare il più possibile dai diritti d’autore in America (ndr: in quel periodo si percepivano le royalties in base al numero di tracce presenti sul disco e con questo sistema i brani dell’intero album risultarono dodici e non cinque, considerato che anche “Alan’s Psychedelic Breakfast”, a sua volta, venne suddivisa in tre parti).
Quando analizzai (spezzettai) il rough-mix (ndr: il missaggio di massima) dell’accompagnamento ascoltando il nastro originale che i Pink Floyd mi avevano dato cosicché mi facessi un’idea del lavoro, identificai sedici sezioni (contrassegnandole dalla A alla Q, escludendo la O).

Sì, è una struttura molto semplice! C’è un’introduzione definita (dissonante); il primo tema (quasi grandioso); il secondo tema (dichiarazioni liriche dalla chitarra e poi dal violoncello); la ripetizione del primo tema; la prima sezione in cui interviene il coro (Osservazione dal Cielo!!!); “funky” rock e la seconda sezione in cui interviene il coro (Osservazione dalla Terra!!!); un’escursione nell’elettronica (Osservazione dal Sottosuolo!!!); il ritorno al secondo tema (dichiarazioni liriche, etc.); la variazione finale sul primo tema (stessi accordi ma melodia completamente differente) e il finale (accenno di discordanza, poi fine!). E’ davvero una struttura molto semplice!

Quanto è stato importante il suo ruolo in questo lavoro dei Pink Floyd? Secondo me, si è trattato di una vera e propria collaborazione tra me ed i Pink Floyd: il gruppo mi ha fornito il contesto di base attraverso un nastro d’accompagnamento ed io ho scritto e vi ho inserito tutte le melodie e gli arrangiamenti per gli ottoni, il coro ed il violoncello. Dunque, a livello compositivo, i ruoli sono stati paritari, mentre, da un punto di vista commerciale, nel senso della diffusione planetaria della suite, il ruolo dei Pink Floyd è equivalente al 100%.

Cosa significò questo disco per lei e per i Pink Floyd? I commenti critici e qualche volta chiaramente sprezzanti di ciascun membro dei Pink Floyd sono ampiamente documentati, qualche volta mal riportati da alcuni giornalisti che si occupano di musica popolare in modo dilettantesco, qualche volta provenienti direttamente da ciascun componente del gruppo e documentati nei libri e nei video: ma resta il fatto che “Atom Heart Mother” è sempre il lato 1 del loro primo disco d’oro nel Regno Unito!
Io ho sempre considerato il mio contributo come un buon esempio di “crafting” (letteralmente: costruzione, ndr), ossia l’arte di aggiungere e di innestare nuovo materiale su una struttura esistente allo scopo di realizzare una forma completamente nuova.
A causa della scelta da parte del sistema educativo francese di studiare questo lavoro per il Baccalauréat (ndr: il Baccalaureato del Conservatorio di Parigi) e per i crescenti inviti provenienti da tutta Europa, è solo di recente che ho raggiunto il risultato di poter ragionare sulla struttura della suite e, quindi, di essere in grado di rispondere alla sua seconda domanda.

ATOM HEART MOTHER: LA GENESI DI UN CAPOLAVORO

Verso la fine del 1969 i Pink Floyd iniziarono a lavorare a questo progetto, originariamente indicato come “Untitled Epic”, come brano da provare in vista del loro imminente tour. David Gilmour, che l’anno precedente aveva sostituito in pianta stabile Syd Barrett, elaborò il tema principale intitolandolo “Theme From An Imaginary Western”, dato che esso gli rammentava la colonna sonora de “I Magnifici Sette”.

Successivamente, il contributo di diverse persone, inclusi tutti i componenti della band, fece sì che il brano venne diviso in cinque parti tra di loro collegate e “The Amazing Pudding” – tale era il suo titolo a questo stadio del processo creativo – venne eseguito un paio di volte all’inizio del 1970, essendo però ancora sprovvisto delle parti riservate all’orchestra e al coro.

Fu dopo l’inserimento di altri segmenti musicali che si avvertì l’esigenza di includere l’orchestra e il coro allo scopo di rendere il pezzo più corposo. Proprio a questo punto, verso la primavera del 1970, entrò in scena l’allora giovanissimo compositore britannico Ron Geesin, che, all’età di 26 anni, scrisse da solo la partitura completa.

La casa discografica EMI mise a disposizione del compositore d’avanguardia la Abbey Road Pops Orchestra, un gruppo di musicisti esperti, ma pagati ad ore, che comprendeva un violoncello, tre trombe, tre corni, tre tromboni, una tuba, due violini e due suonatori di legni. Inoltre, alle registrazioni, che si svolsero a Londra nei mitici Abbey Road Studios, parteciparono anche le ventidue voci del coro diretto da John Aldiss.
La circostanza per la quale i musicisti fossero pagati ad ore rappresentò un serio problema perché, di conseguenza, le cose dovettero essere fatte con una certa fretta: infatti, nel corso delle sessions in studio si creò ben presto un clima difficile da sostenere e le ultime fasi furono supervisionate da John Aldiss, che sostituì uno stremato Geesin.
Nonostante tutte le difficoltà, il brano fu terminato verso giugno, definitivamente mixato a luglio ed eseguito dal vivo tra il 1970 e il 1972.

RARISSIME ESECUZIONI DELLA SUITE

A distanza di più di trentacinque anni, la suite, nella sua versione originale e definitiva che tanto deve al talento e alle idee innovative di Ron Geesin, venne di nuovo eseguita dal vivo nell’ambito del Chelsea Festival di Londra: nel giugno del 2008, all’evento tenutosi nella centralissima Cadogan Hall, parteciparono, oltre al Coro Canticum e all’Orchestra del London College of Music, lo stesso Ron Geesin, la violoncellista Caroline Dale, la band italiana dei MUN e David Gilmour.

Nell’ottobre dello stesso anno il brano fu nuovamente proposto a Firenze, presso la Galleria degli Uffizi, in una versione per trio, con Ron Geesin al pianoforte, Caroline Dale al violoncello e Federico Maremmi dei MUN alla chitarra acustica e Lap Steel.

Nel 2009, il brano tornò di nuovo a Firenze, alla Fortezza da Basso, ove quasi tremila spettatori assistettero al concerto dei MUN che, accompagnati dall’Orchestra diretta dal maestro Edoardo Rosadini e supportati dal Coro Euridice di Bologna, eseguirono la suite con il contributo di Max Gazzè.

BIGLIETTI

I biglietti per poter assistere allo spettacolo “La Musica dei Pink Floyd a Teatro” sono già in vendita al botteghino e sul sito internet del teatro nonchè presso molte rivendite autorizzate; i prezzi vanno dai 16,50 ai 27,50 euro, il tagliando ridotto costa 11 euro.

Giovanni Berti
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