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Il Tevere ed i fossi di Roma Nord

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I meteorologi e i climatologi prevedono per la fine di Novembre un lungo periodo di piogge con un abbassamento drastico delle temperature minime. Sembra che le masse d’aria provenienti dall’Atlantico contengano una elevata percentuale di vapore acqueo: e questo significa pioggia in abbondanza. Le piogge delle passate settimane hanno provocato nel nord e sud dell’Italia gravissimi danni e la morte di alcune persone tra cui un bambino di appena due anni.

Questi gravi eventi ripropongono ogni volta il problema dell’incuria del nostro territorio e della gestione, in alcuni casi, criminale dei bacini idrografici.

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Non esiste studio che non attribuisca all’uomo la responsabilità di questi eventi; se è vero che il riscaldamento globale del pianeta ha profondamente modificato il clima (oggi a lunghi periodi di siccità si alternano precipitazioni così violente che nel giro di alcune ore provocano la caduta di quantità di pioggia pari a quelle di giorni o settimane dando vita alle cosiddette flash-flood, le bombe d’acqua) è altrettanto vero che il nostro paese subisce una cementificazione che non ha eguale in nessun altro paese del mondo.

Avverte Fulco Pratesi in un articolo sul Corriere della Sera: ogni giorno in Italia con il cemento si ricopre una superficie pari a 20 ettari. E sempre Gian Antonio Stella sul Corriere lancia un allarme: in quindici anni sono stati divorati 3,5 milioni di ettari, una superficie pari a quella di Lazio e Abruzzo.

Ma quali sono le principali cause delle alluvioni? Ce lo spiega Giuseppe Bolzoni in uno studio sul “rischio idrogeologico”:
“La canalizzazione dei fiumi aumenta la velocità della corrente accumulando a valle enormi masse di acqua in tempi molto brevi; ostacoli naturali quali i piloni dei ponti o le strozzature degli argini ostacolano il deflusso delle acque; il disboscamento e la regimentazione delle acque in montagna provocano un rapido deflusso verso valle delle piogge; la violenza delle correnti causa una forte erosione dei suoli trascinando verso valle sassi e sabbia”.

Tutti gli esperti sono concordi nell’affermare che l’esondazione (sinonimo di straripamento) di un fiume è un fenomeno naturale: quando l’acqua esce dagli argini invade la golena che se è libera da ostacoli artificiali svolge l’importante funzione di invaso di emergenza.
In molte regioni si è edificato invece proprio sulle golene dove sono nate grandi aree industriali; alla prima alluvione i capannoni sono stati spazzati via incrementando la quantità di detriti trasportati dalle acque. E sono proprio i detriti a creare, sotto la luce dei ponti, quel micidiale effetto tappo che può avere conseguenze disastrose.

Nella nostra città è il Tevere a destare maggiori preoccupazioni: un suo straripamento provocherebbe gravissimi danni specie nella zona di Ponte Milvio e della Magliana dove gli argini sono più bassi.
Fortunatamente a monte di Roma, nel corso degli anni, sono state realizzate numerose opere idrauliche che hanno il compito di regolare la portata dei singoli eventi.

La funzione principale la svolge la diga di Corbara costruita negli anni dal 1959 al 1963 che con il suo serbatoio di 190 milioni di metri cubi ha la capacità di “laminare le piene del Tevere riducendo l’entità dei colmi a Roma” (P. Bersani): la frequenza delle piene si è infatti ridotta di un terzo dal 1963 al 2000.

Tale diminuzione oltre alla regolazione del serbatoio di Corbara è da imputarsi anche agli altri serbatoi presenti sull’area del bacino (fiumi Salto e Turano in particolare).

Altre dighe nel tempo sono state costruite a monte di Roma (Castel Giubileo e Nazzano) anche se è da rilevare come non sempre le golene siano state lasciate libere: emblematico è il caso della lottizzazione effettuata tra la fine degli anni 80 e il 1994 a Monterotondo dove una ventina di ettari compresi tra il Tevere e la ferrovia sono stati destinati ad abitazioni civili e capannoni industriali.

Nel 1999 il magistrato Maria Cordova ha chiesto il rinvio a giudizio per una settantina tra imprenditori, tecnici, funzionari ed ex-amministratori del Comune. Quella zona a detta dei periti era da conservarsi intatta altrimenti ci sarebbe stato un “grave ed ineliminabile pericolo per la pubblica incolumità e per la salvaguardia di Roma la cui sicurezza dipende in buona parte dalle esondazioni”.

A Roma Nord insistono invece tre fossi di modesta portata: il Rio Cremera della Valchetta che si origina nell’area di Formello e sfocia nel Tevere all’altezza di Labaro, il fosso della Crescenza e il fosso dell’Acqua Traversa, anch’esso affluente di destra del Tevere.

Nonostante in una sola giornata siano caduti a Roma ben 35 mm di pioggia, i fossi, dopo un contenuto innalzamento, sono tornati alla loro portata.
Sebbene il regime delle loro acque sia per lo più modesto il fatto di non risentire eccessivamente del flash-flood potrebbe significare che i fossi ricevono dal terreno solo le acque piovane e che non ci siano collettori a incrementare la portata: inoltre la presenza di ampie fasce di terreno coltivato, boschi e prati facilita l’assorbimento delle piogge.
Anche la quantità di detriti presenti potrebbe essere non significativa tanto da escludere quel temuto effetto tappo.

E allora VignaClaraBlog.it è andato a vedere qual è la situazione.
Il livello di tutti e tre i fossi attualmente è nella norma anche se le acque sono sporche per la terra e i detriti in sospensione; lungo le rive giacciono una grande quantità di rifiuti a testimonianza di come questi poveri corsi d’acqua subiscano l’inquinamento urbano. A quanto pare non cessa la pessima abitudine di disfarsi di calcinacci e rifiuti utilizzando strade e fossi.

Lungo Via due Ponti sono invece in corso i lavori “di difesa spondale per la messa in sicurezza della zona urbana di Labaro Fosso Cremera e di sistemazione idraulica dei Fossi Acqua Traversa e Crescenza”. Si tratta di una importante opera anche dal punto di vista estetico in grado di restituire dignità a queste martoriate vie d’acqua.

Proprio agli inizi del 2000, prima della realizzazione del nuovo collettore, il fosso dell’Acqua Traversa esondò cambiando letteralmente la geografia della Valle dell’Insugherata: un mare di fango si riversò su Via Panattoni che rimase chiusa per alcuni giorni (su uno degli accessi della locale caserma della Marina fu eretto un alto muro di cemento per scongiurare ulteriori futuri danni).

A distanza di tanti anni è difficile risalire alle cause di quell’evento (forse l’ostruzione della luce di un basso ponte alla fine di Via Panattoni?): ma quali che siano oggi i potenziali rischi una cosa è certa: solo una gestione oculata del territorio e la continua cura e pulizia dei corsi d’acqua possono scongiurare qualsiasi pericolo.

Francesco Gargaglia

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