Home ATTUALITÀ Venerdì 8 ottobre l’astronave degli U2 atterra sul prato dello Stadio Olimpico

Venerdì 8 ottobre l’astronave degli U2 atterra sul prato dello Stadio Olimpico

Derattizzazioni e disinfestazioni a Roma

U2Preceduto dall’esibizione degli Interpol, l’atterraggio dell’astronave degli U2, band stellare originaria del pianeta di smeraldo, è previsto per le ore 19.30 di venerdì 8 ottobre al Foro Italico, sul prato dello Stadio Olimpico di Roma, ultima tappa della seconda tranche europea del tour mondiale che sbarcherà i quattro ambasciatori della musica anche in Australia e Nuova Zelanda, in Messico e Nord America.

Ne sono passati di anni da quel 25 settembre 1976, dal giorno in cui il batterista Larry Mullen Jr. affisse nella bacheca di una scuola di Dublino l’annuncio con cui cercava musicisti per formare una band; ne è trascorso di tempo dai dischi, imperdibili, degli inizi: Boy (1980), October (1981) e War (1983). Dagli esordi in poi, il percorso del gruppo irlandese somiglia ad una marcia trionfale, un’ascesa inarrestabile che è partita dai pub e dai docks, dalle strade sporche e piovose della capitale dell’isola di smeraldo, che fino a due decenni fa conservava ancora le sue godibili caratteristiche di città di provincia prima che il progresso la facesse somigliare inesorabilmente ad una copia mal riuscita di Londra, privandola in parte della sua personalità e di alcuni suoi tratti distintivi.

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Negli anni ottanta, la band ha scavalcato i confini dell’isola, è entrata di diritto nell’olimpo planetario della musica rock grazie al meraviglioso The Unforgettable Fire – il disco del 1984 che contiene, tra le altre, gemme come Pride Bad – e alla sua straordinaria, toccante, performance al Live Aid del 13 luglio 1985, è esplosa a livello mondiale con The Joshua Tree, l’album del 1987 che include un pezzo memorabile dopo l’altro (non riusciamo nemmeno a sceglierne un paio come esempio: ci sembrerebbe di sminuirne in qualche modo gli altri) ed ha conquistato definitivamente gli spettatori nordamericani in una tourneè indimenticabile, immortalata dal film e dal disco Rattle And Hum (1988) in cui i quattro musicisti irlandesi omaggiano le radici profonde del rock, incidendo nei mitici Sun Studios che furono di Elvis e Jerry Lee Lewis, eseguendo insieme a B.B. King la bellissima When Love Comes to Town, cantando in una chiesa di Harlem, accompagnati da un coro gospel, una versione di I Still Haven’t Found What I’m Looking For che lascia di stucco per la sua intensità e registrando il video della travolgente Angel of Harlem nell’Apollo Theatre, il “tempio” di James Brown e della black music.
Mentre la band sfondava i muri e infrangeva le barriere, conquistandosi fans appassionati in ogni angolo del pianeta, il mondo registrava cambiamenti epocali e nuovi drammatici problemi: la caduta del muro di Berlino, l’apartheid (e la sua fine) in Sud Africa, la globalizzazione, i nuovi, precari, equilibri internazionali, la prima guerra in Iraq, le tensioni tra occidente e oriente, gli esperimenti nucleari, la guerra in Jugoslavia, la questione ambientale, il mancato rispetto dei diritti umani, le dittature, i conflitti e le carestie in Africa.

Testimoni dei nostri tempi, Bono Vox (voce) e The Edge (chitarra), Larry Mullen Jr. (batteria) e Adam Clayton (basso), non hanno mancato di includere nella loro produzione queste ed altre tematiche, non hanno mancato di impegnarsi nell’indicare uomini, donne e rotte, obbiettivi e strade da percorrere.
Così, dai palchi americani, nella tourneè di The Joshua Tree, arrivò, nitida e vibrante, la denuncia contro la segregazione razziale contenuta in Silver And Gold, con Bono che sottolineava l’incapacità dei governanti occidentali di porre fine alla vergogna dell’apartheid e che evidenziava la mancanza di un’iniziativa che sostenesse la lotta pacifica di Desmond Tutu, l’arcivescovo anglicano di Città del Capo.
Oppure, come non ricordare che nel bel mezzo dei concerti in Europa del 1993 lo stesso Bono fermava lo show per telefonare ai cittadini di Sarajevo, reporters loro malgrado da un paese in guerra e sotto e assedio?  E ancora: le ferme dichiarazioni conto gli esperimenti nucleari della Francia, le iniziative a fianco di Greenpeace e a sostegno dei diritti umani, la campagna per sconfiggere la fame in Africa, con Bono infaticabile “questuante” a bussare alle porte dei potenti per strappare fondi e politiche finalmente efficaci. E non ci dimentichiamo certo della toccante Walk On, la canzone contenuta in All That You Can’t Leave Behind (2000) e dedicata alla lotta “gandhiana” di Aung San Suu Kyi (leggi qui la presentazione dell’evento che si è svolto lo scorso giugno all’auditorium di Roma in occasione dei 65 anni della coraggiosa leader birmana).

Preceduti da una lunga pausa di riflessione, gli anni novanta rappresentano per gli U2 un lungo periodo di sperimentazione, durante il quale rimescolano le carte e si rimettono in gioco: i tre dischi che producono in questo decennio che annuncia la chiusura del XX secolo – Achtung, Baby (1991), Zooropa (1993) e Pop (1997) – sconfinano nella disco dance e nell’elettronica, i suoni della chitarra di The Edge sono distorti, gli ammiccamenti al microfono di Bono pronunciati e volutamente esagerati.  I quattro sembrano aver voglia di non prendersi troppo sul serio, di scrollarsi di dosso l’etichetta di rock stars planetarie, lasciando spiazzati e sconcertati alcuni fans di vecchia data, pur continuando la loro ascesa in tutto il mondo con spettacoli dalla scenografia supertecnologica e dagli spalti sempre gremiti. Nel nuovo millennio, la band è cresciuta a tal punto che gli introiti della vendita dei dischi, del merchandising e dei biglietti dei concerti non hanno nulla da invidiare al fatturato di una grande industria.

Negli anni, abbiamo assistito ad eventi sempre più ricchi dal punto di vista scenografico: automobili sospese e sorrette da cavi d’acciaio, palchi mastodontici, schermi giganti, decine di televisori di tutte le dimensioni, strutture complicate e, per quest’ultima tourneè che approderà venerdì allo Stadio Olimpico, ci si parerà davanti “l’astronave” o “il ragno”, ossia una struttura d’acciaio che si innalzerà da terra di oltre 45 metri su un imponente palco dotato di ponti rotanti e che promette un’esperienza a 360 gradi per il pubblico.

Perlappunto, anche il 360° Tour, partito nel 2009 dopo l’uscita di No Line at the Horizon e la cui ultima data è prevista a luglio 2011, sta riscuotendo un successo strepitoso in tutti gli angoli del mondo: folle osannanti, stipate in stadi gremiti all’inverosimile, hanno consacrato ancora una volta gli U2 come star mondiali, scrittori di pagine indimentacabili della storia delle sette note. Certo, gli album del XXI secolo non possiedono la forza dirompente di quelli degli anni ottanta (peraltro, il quartetto di Dublino dovrebbe continuare a riscrivere all’infinito The Unforgettable Fire?) e centinania di date ravvicinate l’una all’altra  fanno sì che la scaletta dello shows (canzoni, movimenti, luci) lasci poco spazio all’improvvisazione e alle sorprese.
Aggiungeteci anche che in un concerto allo stadio si rischia sempre che l’acustica lasci a desiderare. Tuttavia, il filo conduttore della storia che abbiamo tentato di raccontarvi è la musica, che è magica alchimia, ispirazione, poesia e talento. E la musica fa miracoli! Non è solo rock and roll, come cantavano gli Stones. La musica ti prende per mano e ti parla direttamente, anche se sei uno della folla, uno dei cinquantamila cuori o due dei centomila occhi, se sei in piedi sotto il palco o sei seduto nella curva più distante dalla scena.

Così, questa musica potente, romantica ed evocativa, che viene dall’isola di smeraldo e dall’anima di una terra sanguigna e generosa, ospitale ed incantevole, è il file rouge della storia del gruppo di Dublino, che il destino fece incontrare grazie ad un annuncio in una bacheca. Un palco mastodontico? Effetti luminosi sorprendenti? Maxischermi e diavolerie varie? Sì: ci saranno tutte queste cose anche nello show dell’Olimpico! Ma questi ragazzi di Dublino continuano a stupire per la capacità di ridurre lo stadio alla grandezza di una stanza, di ricreare grazie alla magìa della musica un’atmosfera intima, di far arrivare un messaggio a ciascuno degli spettatori, di far ballare e divertire tutti, di “salvare il giorno”. Tolte le sovrastrutture, la polpa rimane ed è ancora gustosa e riconcilia con la vita. Questa tappa romana, nonostante gli elevati prezzi dei tagliandi, è davvero imperdibile.

Giovanni Berti

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2 COMMENTI

  1. Sono una fan degli U2 da quando ero una ragazzina e devo dire, complimenti! avete scritto un grande articolo senza errori macroscopici su di loro! si vede che ne sapete un bel pò!
    🙂

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