8 marzo 2023. Da un paio di giorni circola in rete una petizione che si chiama “Cut the oppression“. La foto di spalle di una giovane donna dalla lunga treccia, pronta ad essere tagliata. Il gesto simbolo della rivoluzione che dal 16 settembre infiamma l’Iran. O almeno lo ha infiammato.
È promossa dal centro per i diritti umani in Iran ed ha raccolto poco meno di 35mila adesioni. Il Centro tiene alta l’attenzione su quel che accade nella repubblica islamica. E fornisce i numeri della repressione. 500 morti. 77 bambini. Migliaia di internati. 20 condanne a morte emesse. Ed altre 47 persone destinate a salire sul patibolo. È una guerra contro il silenzio quella sostenuta dal Centro.
L’opinione pubblica internazionale distratta da mille emergenze ed altrettanti eventi, accantona la rivoluzione delle ragazze in Iran. Accesa dal sacrificio di Masha Amini il 16 settembre si è nutrita del sacrificio quotidiano di tante adolescenti e giovani donne che hanno affrontato la morte. E le violenze. Sulle piazze e sulle strade e dietro le sbarre.
Il regime bigotto e misogino di Teheran le ha stuprate e rese invalide quando non ha potuto ucciderle. Colpite agli occhi, accecate: era la punizione perfetta inflitta dal sistema alle giovani donne che si sono liberate per strada degli stracci studiati per renderle schiave. L’ultima forma di tortura è l’avvelenamento a scuola.
Centinaia di studentesse sono state ricoverate per aver respirato sostanze tossiche in classe. Il passo successivo la chiusura delle scuole per la bonifica. Ma la chiusura potrebbe prolungarsi. La stessa tecnica fu utilizzata dai talebani nella loro precedente esperienza di governo. Prima di procedere decretando l’epilogo della scuola aperta alle donne.
8 marzo 2023, il Medioevo è dietro l’angolo di casa. La giornata della donna ovunque si celebri e comunque la si intenda festeggiare non può prescindere dall’omaggio alle ragazze iraniane. E alle ragazze afghane. Le sorelle in ombra di questo anniversario 2023.
Rossana Livolsi
Testimonianza recente da twitter
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