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    Bernardo Zannoni, “I miei stupidi intenti”

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    Galvanica Bruni

    Bernardo Zannoni ha venticinque anni e con il suo primo romanzo si è aggiudicato il Premio Campiello 2022, il Premio Bagutta Opera Prima 2022 e il Premio Salerno 2022: un esordio travolgente.

    I miei stupidi intenti” (ed. Sellerio, 243 pag., 16 Euro) è un romanzo dove i protagonisti sono animali: una faina, una volpe, un cane e poi lepri, cinghiali, linci e istrici. Sono però animali che vivono come gli uomini, in case con i letti, mangiano a tavola con le stoviglie, allevano polli e si dedicano al commercio.

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    Si comportano da animali con il loro istinto di sopravvivenza brutale ma ragionano da uomini e si comportano da uomini con la loro furbizia, spregiudicatezza e violenza.

    Archie è una faina che da giovane, in cambio di una gallina, viene venduta dalla madre a Solomon, una vecchia volpe che tiranneggia, con l’aiuto di un grosso cane nero, gli altri animali del bosco e che non esita a farli uccidere se sono in ritardo con i pagamenti.

    La volpe sa leggere e scrivere e questa condizione la fa ritenere vicino a Dio; sarà Solomon a instradare la faina alla conoscenza  e all’esistenza di Dio ma questo non renderà migliore la bestiola che non perderà la sua aggressività anche nei confronti della sua famiglia.

    Il romanzo di Zannoni è un romanzo complicato e crudo  dove, insieme all’amore non manca il sangue e la violenza.

    Nonostante il sapere e la conoscenza di Dio, Archy  non saprà abdicare al suo modo di essere indifferente, cinico, spietato e solitario e si arrenderà soltanto di fronte alla morte (che avverrà ovviamente in maniera violenta).

    “I miei stupidi intenti” , sebbene sia scritto magnificamente come detto è un libro complesso nella sua interpretazione;  la faina Archie, la volpe Solomon,  lo spietato cane Gioele,  sono in realtà l’immagine dell’Uomo che nonostante la conoscenza e la coscienza di Dio non è in grado di abdicare al suo egoismo, al suo desiderio di possesso e alla sua naturale violenza.

    Un libro da leggere (Marco Missiroli dice: “…in stato di grazia”) e sui cui riflettere.

    Francesco Gargaglia

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