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Renzo Taddei, il ‘pesciarolo’ di Collina Fleming

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Renzo e Giorgio Taddei. Padre e figlio. La pescheria più vecchia della zona. Era passata  da poco la metà degli anni Sessanta. Siamo a Collina Fleming. Adesso è di fronte alla scuola di via Nitti ma quando è arrivato Renzo, la scuola non c’era. E c’era ben poco.

Renzo, il padre, lo siamo andati a ‘pescare’ in quanto anche lui è un pioniere di Collina Fleming, del ‘Far Nord’…

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“Davanti a noi c’erano le pecore e al di là della Flaminia non c’era quasi niente. La chiesa e poco altro. Era tutta campagna”.

“E tu come ci sei arrivato qui?”
“Avevo finito il militare. In Marina ero diventato radarista. Stavano costruendo l’aeroporto di Fiumicino e mio padre che conosceva qualcuno mi  aveva fatto fare domanda. Poi però mio padre è morto, certe conoscenze sono svanite e io sto aspettando ancora che mi fanno fare la prova attitudinale.”

Renzo ha una bella risata. Romanaccia, contagiosa…
“Intanto, però, lavoravo con mio padre ai mercati generali. Avevamo una ditta di pesce all’ingrosso. Io vengo da generazioni di ‘pesciaroli’. Ma a me del pesce e del mercato, me ne fregava poco o niente. Uno dei più grandi pescivendoli di Roma, stava a Testaccio, aveva aperto per la sorella un negozio in una zona nuova, tutta da costruire. Un bellissimo negozio addirittura con una piccola cascata dentro. Una cosa eccezionale. L’unica cosa che mancava era la gente. Non c’era nessuno. Il quartiere, che poi si chiamerà Collina Fleming, si stava costruendo. E il negozio  naturalmente andava  male”.

“Un giorno, lui si serviva dai miei, parlando con mio padre disse che stava cercando di vendere. Un amico che era vicino sentì il discorso e mi disse.” Renzo, prendiamolo noi”. E io, che allora facevo solo le fatture, lo guardai e gli dissi: ”Noi? Io non so neanche da dove se comincia?”.  “Dai. Ci proviamo…”.

“Glielo pagammo un po’ per volta e cominciammo. I primi anni abbiamo sofferto un po’, ma poi la gente è arrivata. Ed eravamo gli unici.  Anche se all’epoca il pesce si mangiava solo il martedì e il venerdì. Gli altri giorni si vede che  non era buono… Te ne potevi pure andare al mare…”

E ride… “E in Marina come ci eri arrivato?”
“Sempre per via delle amicizie. Un amico aveva fatto domanda e l’avevano accettato”.

“E dove sei stato con la Marina?”
“Un anno indimenticabile. Eravamo a Tokyo per le olimpiadi del ’64. La squadra navale era ufficialmente in rappresentanza dell’Italia. Io ero imbarcato sul ‘Garibaldi’, un cacciatorpediniere costruito da pochissimo che aveva sostituito il vecchio Garibaldi. Ormai abbandonato a La Spezia. Poi siamo andati negli Stati Uniti. Il Garibaldi era un lanciamissili. E poi siamo tornati in Italia. Praticamente abbiamo fatto il giro del mondo”.

“Ma tu quando e dove sei nato?”
“Il 28 marzo del ’43 a Roma, in via della stazione Ostiense”

“Però, nel ’43 alla stazione Ostiense, quindi in mezzo ai bombardamenti…”
“E come, no… Come suonava l’allarme, tutti nei rifugi e mia madre, che non aveva latte al seno, mi raccontava che nella corsa, con la paura, gli altri sei fratelli tutti piccoli, succedeva spesso che la boccetta col latte finiva per terra. Per fortuna c’era sempre anche un’altra signora che di latte invece ce ne aveva pure troppo, diceva, ed allattava anche me”.

“Si sa che durante la guerra venne fuori il meglio e il peggio delle persone…“
“Siamo stati lì fino verso il ’50. Gli Americani avevano occupato la stazione e mia madre mi mandava da loro a prendere la roba da mangiare. Diceva mamma che la davano solo ai bambini perché i grandi – dicevano – erano tutti fascisti. Andavo, facevo la fila e mi riempivano di gallette, gallettoni, cioccolata… di tutto. E io portavo a casa. All’epoca la fame era tanta..”

“Quanti fratelli sono ancora vivi?”
“Siamo rimasti in quattro. La più piccola, Annamaria, pensa che è stata campionessa italiana di calcio con la Lazio. Il calcio femminile era ai primordi. Non ne parlava nessuno e le ragazze che giocavano a pallone, venivano derise, insultate e anche peggio.”

“Un bel salto dall’Ostiense a Collina Fleming. E ti ci sei ritrovato in questo quartiere?”
“Posso essere sincero? Mica tanto. Ho avuto sempre un po’ la sensazione che la gente dove vivevo io, a Testaccio, alla Piramide, fosse più vera. Non ho mai legato veramente con nessuno.”

“Ti ricordi di qualche cliente importante di quegli anni?”
“Famme pensà… ne so’ passati tanti… Sì, uno me lo ricordo, Gazzelloni. Ti ricordi Gazzelloni?

“Come no, grande flauto…
“Beh, flauto d’oro. Grande. Andavamo a prendere il caffè insieme. Era una persona tranquilla. Direi un padre di famiglia. E gli piaceva il pesce, sì, gli piaceva molto. Ma probabilmente di gente importante ce n’è passata parecchio, Ma io pensavo a lavorare. Non è che chiedevo ai clienti chi fossero e cosa facessero.”

“Ti sei sposato prima o dopo l’apertura del negozio?”
“Dopo. I primi anni, per andare avanti, facevo due lavori. Mi alzavo a mezzanotte e mezza, l’una, e andavo ai mercati generali a fare il facchino. Poi alle cinque e mezza, prendevo il pesce e andavo a negozio.”

“E l’hai sempre comprato al mercato?”
“Sempre. Il punto di unione del pesce era il mercato generale. Adesso il pesce arriva da tutta Europa e anche da più lontano. Allora arrivava solo dall’Italia. Arrivava col treno. Scaricavano alla stazione e c’erano ancora i carretti col cavallo. Ne so’ passati d’anni…

“Quanti figli hai avuto?”
“Tre. Uno è ufficiale della Finanza, Giorgio è qui con me e l’altro vive in Spagna. Ha aperto una palestra a Valencia. Ringraziando il cielo stanno in una zona dove non è successo niente di grave, ma si è dato e si sta dando molto da fare per dare una mano per tutto quello che è successo.”

Ci rivolgiamo al figlio. “Allora, Giorgio, tocca a te. Quanti anni avevi quando sei arrivato qua?”
“Avevo appena finito la scuola… 18 anni. Poi sono andato a fare il militare e ormai sono 38 anni che lavoro qua.”

“E com’era stare a Collina Fleming? È cambiato molto?”
“È tutta un’altra cosa. Il quartiere, così, a guardarlo, non è cambiato molto, era già costruito tutto, ma la vita, quella sì, è cambiata tanto”.

“Vero  che l’estate quando chiudeva la scuola, chiudevate anche voi?”
“”Infatti…D’estate qui non c’era più nessuno. Da metà giugno a metà settembre ci trasferivamo a Porto Cervo Marina a gestire un’altra pescheria, e gli operai li portavamo là e facevamo la stagione. Un amico di papà ci aveva offerto di gestire la pescheria di un grande supermercato.”

“E quanto è durata in Sardegna?”
“Una decina d’anni. Poi la vita è cambiata. Qui c’era lavoro anche d’estate. Lì hanno deciso di fare dei lavori… e siamo tornati.”

“E tu hai figli, ti piacerebbe che continuassero l’attività di famiglia?”
“Due, un maschio e una femmina, e saranno loro a scegliere”

“Ma a te farebbe piacere?”
“Beh, sì. A me piace molto. Lavorare col pubblico… la nostra è un’attività che funziona bene.”

Michele Chialvo

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3 COMMENTI

  1. Abito al Fleming, quando si chiamava ancora Tor di Quinto, dal 1962. Renzo, il pescatore, non c’era e non c’era nemmeno il palazzo dove si trova ma solo quello d’angolo con Via Flaminia di fronte alla chiesa, palazzo nel quale sarebbe venuto poi, con gran coraggio, Anzuini. Sull’altro lato della Flaminia, a parte la chiesa, il fabbricato a fianco e l’altro all’angolo fra Via Flaminia e Via Città di Castello, non c’era nulla. Si vedeva il poligono il tiro a volo dei Parioli e… le pecore che pascolavano. Anche io ricordo Severino Gazzelloni, gran signore: lo incontravamo nei negozi e dopo qualche giorno si passava automaticamente e spontaneamente, dal Lei al tu.

  2. Abito a Tor di Quinto da molto tempo prima del Sig. Venza…e quindi come lui conosco Renzo da sempre, appena arrivato. Per noi Renzo è e sarà sempre Renzo pescatore (senza articolo).

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