Nell’ultimo libro di Gabriele Barbati, dal titolo “Contro la mia volontà. Aborti impossibili, sepolture di feti e altri scandali”, in uscita il 25 ottobre per Paesi Edizioni, il giornalista, dopo un’accurata analisi, ci restituisce un quadro approfondito, basato su documenti e testimonianze inedite, di quella che è la realtà del post aborto in Italia.
Il libro fa luce su una delle conseguenze meno note della legge 194 del 1978 sull’interruzione di gravidanza, l’esistenza di cimiteri di feti all’insaputa delle donne interessate, e solleva alcuni interrogativi su una questione ancora irrisolta.
Che ne è di un feto, dopo l’aborto? Ci siamo mai posti questa domanda? Non prima del 2020, anno in cui due donne di Roma trovano delle croci di alluminio con il loro nome e cognome, e lo denunciano. Cosa è successo? Una norma di cui nessuno sembra a conoscenza obbliga a seppellire i «prodotti abortivi» oltre i cinque mesi di gravidanza.
Questo libro-inchiesta riparte da quelle croci del cimitero Flaminio – che vanno indietro di decenni e sono migliaia – e fa emergere la realtà delle sepolture di feti in tutta Italia.
Gabriele Barbati ricostruisce la vicenda attraverso documenti e testimonianze dirette delle pazienti che hanno interrotto la gravidanza: una storia collettiva, in cui agiscono anche attiviste contrarie e favorevoli all’aborto, avvocati in cerca di giustizia, ginecologhe in lotta per i diritti, funzionari sanitari e impiegati cimiteriali, medici obiettori e politici conservatori.
Insieme a Flavia Cappellini, Gabriele Barbati è autore del podcast di Domani prodotto con Emons Record, “20 settimane”, in uscita il 31 ottobre 2024. Un’inchiesta sul campo con le testimonianze di chi ha scoperto i propri nomi su quelle croci.
Ndr: La vicenda dei feti al cimitero Flaminio: clicca qui
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Credo che nessun medico o avvocato o altro, soprattutto se uomo, sia in grado di capire che cosa passi per la testa ad una donna che decida di abortire, ignorando tutti gli aiuti e alternative (maternità anonima, sostegni psicologici) esistenti. Tutto questo mi rattrista profondamente: non ne faccio una questione religiosa ma il pensare che sin dal concepimento stia originandosi un essere umano unico ed irripetibile che avrà davanti a se un vita unica, irripetibile.
Approvo totalmente quanto da Lei detto.
Non si può costringere una donna a essere madre, è dunque un imperativo lasciare a lei (pur tra mille incertezze e sofferenze) la scelta finale. E garantendole, in caso di aborto, tutta l’assistenza sanitaria gratuita possibile. Questo fa uno stato civile e maturo.
In uno stato civile e maturo si legalizza l’aborto solo in casi di grave rischio di salute per la donna. In questa nostra povera Italia esiste una legge (volutamente ignorata e/o nascosta e/o dimenticata da tutti/tutte) che permette il parto gratuito, in condizioni di assoluta sicurezza e anonimamente. Mi si permetta una battuta cretina, crudele o altro, decidete voi: i quest’inverno delle nascite non sono risorse sprecate?
In questa nostra “povera” Italia povera solo perché divisa e governata (oppure governata e divisa, è lo stesso!) da opposte correnti che si fanno guerra fra di loro e in conclusione non realizzano nulla. Al massimo se i Guelfi voglio eliminare una cosa i Ghibellini dopo anni di battaglie le cambiano nome.
Una donna che non vuole esser madre non ha interesse a un parto gratuito. Né le si può imporre una visione confessionale (oggigiorno assai di moda) che parli di “vita a partire dal concepimento” perché di questa vita non vuole, al momento, occuparsi. E alla prima occasione tenterà di sbarazzarsi di quella “vita”. Ecco perché è nata la legge 194, per garantire un aborto statale, gratuito e sicuro dal punto di vista medico.
“Essere madre” non vuol dire mettere al mondo un figlio, ma portarlo avanti nella sue vita e nella sua crescita. Mi richiamo a quanto espresso, dettagliatamente, da Rudy 95 nel suo post del 25/10. E poi, se una donna matura, sicura di se vuole vivere la sua vita affettiva in assoluta spensieratezza e libertà non ha che da ricorrere ad uno dei tanti, tantissimi anticoncezionali. L’AIED è nato e dovrebbe servire solo per questo: aiutare a contenere le nascite, ma non eliminando vite appena sbocciato. Le assicuro che in tutto questo la religione non c’entra.
Perché secondo Lei la religione è una scelta di moda?
Ha un modo ben strano di di concepire la vita!
La religione è una scelta personale e non deve assolutamente influenzare lo Stato. Che è laico e non confessionale, come, per esempio, l’Iran. Ergo la religione, qualunque essa sia, non può in alcun modo influenzare il legislatore. Vita o non vita. E comunque, ripeto, NESSUNO può essere costretto a portare avanti una gravidanza: anche se vi è la possibilità di abbandonare il nascituro subito dopo la nascita è più che legittimo, da parte di una donna, non voler portare avanti la gravidanza. Fine.
Fine di che ? Della discussione? Crede così di avere imposto le Sue idee sugli altri. Bella democrazia…ma d’altronde da chi considera L’IRAN “laico e non confessionale” che ci si può aspettare? D’altronde evidentemente Lei non leggi i giornali o guarda la TV, visto che ignora quello che l’IRAN fa in nome della loro religione.
Appunto, l’aggettivo “confessionale” si riferiva all’Iran. Ovviamente.
Hai dimenticato un’altra occasione nella quale legalizzare l’aborto: la violenza conclamata.
Hai dimenticato pure un’altra possibilità di evitarlo: la cosiddette “culle sicure” ove si può lasciare il neonato in assoluta sicurezza ed anonimato. Possibilità questa totalmente ignorata dalle protagoniste di un recente e di un recentissimo (oggi) fatto di cronaca.
Penso che abbiamo perso tutti il filo del discorso: se una donna libera, indipendente, noncurante del giudizi altrui decide autonomamente di interrompere un cammino che avrebbe portato alla nascita di un essere umano (ma non di un’ameba o una plantula) non capisco perché, in quanto tale non debba volere che il suo nome sia di pubblico dominio. Preciso che non sono religioso ma ateo e non agnostico.
Lei dimentica, egregio Massimo Martini, una leggina piccina picciò: quella sulla privacy. Se non vuole che si conosca la sua storia, nessuno potrà mai obbligare una donna che ha abortito a farlo sapere a chicchessia. Lei sarà pure non religioso ma ateo, ma sia però rispettoso del privato del suo prossimo.
Stia bene.
Se faccio qualcosa (… e non entro in merito sulla gravità di questa cosa…) di cui sono convento fino in in fondo e, quindi, non me ne debba vergognare, non c’è nessun motivo a che sia nascosta. Sinceramente, a proposito di leggina piccina picciò, questo vale per qualunque ambito, non solo l’aborto. Ho interesse, solo se ho compiuto qualcosa di riprovevole che non si sappia in giro. Circa la mia fede l’ho precisata solo perché il giudizio sulla gravità dell’’aborto (la vita INCOMINCIA dal concepimento) prescinde dalla religione ma dipende dalla morale di ognuno di noi e della collettività
Mi stia bene lei…
E’ risaputo (le fonti d’informazione ne hanno parlato) che i centri dove si pratichi l’aborto sono in carenza di personale a causa degli obiettori di coscienza. Di questi molti sono non credenti. Non è la religione a motivare le loro decisioni ma scienza (conoscenza del fatto che la vita di un essere umano incomincia dal concepimento) e la morale.
Giusto!