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Otto anni fa il crollo della palazzina a Ponte Milvio

via della farnesina 5
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Otto anni fa, nella notte fra il 23 e il 24 settembre 2016, crollò una parte della palazzina di via della Farnesina 5, a Ponte Milvio, poi abbattuta definitivamente il 9 gennaio del 2017. Dieci famiglie finirono in strada. Persero tutto. Casa, mobili, effetti personali, ricordi, quotidianità. E denaro. Tanto, perché dovettero pagare di tasca loro i costi della demolizione e della rimozione delle macerie.

Oggi, al posto della palazzina, una grande cratere recintato coperto da folta vegetazione spontanea ricorda la tragedia di quella notte.

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L’allarme

La palazzina crollata era stata fatta evacuare nella sera precedente dai vigili del fuoco che alcune ore prima, intorno alle 12, avevano effettuato un sopralluogo e, dopo aver riscontrato diverse lesioni e fessurazioni non indifferenti, avevano deciso di mettere sotto controllo l’edificio.

Poi, nella serata, la situazione si era aggravata, le lesioni avevano assunto una dimensione veramente preoccupante e da lì l’ordine di evacuazione.

Il crollo

Ordine che viene dato a chi abitava nella parte anteriore del palazzo, quella che invece rimase in piedi e che poi venne successivamente abbattuta.

È notte fonda quando nella parte posteriore del palazzo cominciano invece a sentirsi strani rumori. Scatta l’allarme, i condomini si passano parola, tutti in strada. Pochi minuti dopo quella porzione dell’immobile si accartoccia e viene giù. Per fortuna senza vittime né feriti.

Scatta la solidarietà, si mobilita un intero quartiere. Nell’adiacente parrocchia Gran Madre di Dio il salone accoglie gli sfollati, in tanti ancora in pigiama. Arrivano i Vigili del Fuoco, la Polizia Municipale, i poliziotti del vicino commissariato di Ponte Milvio accolgono persone nei loro locali.

Lasciati soli

Sui giornali per giorni e giorni non si parlerà di altro. Passano i mesi, alle dieci famiglie – oltre a un minimo di assistenza alloggiativa – dalle istituzioni non arriva nulla, nonostante il “non vi lasceremo soli” detto dall’allora sindaco Raggi a poche ore dalla disgrazie.

A gennaio 2017 arriva invece l’ordinanza di abbattimento della parte ancora rimasta in piedi. Le operazioni prendono il via alle prime luci dell’alba di lunedì 9 gennaio. Alle 15.45 la palazzina non c’è più. Al suo posto un enorme cumulo di macerie e di mobili.

Gli sfollati devono affrontare tutto da soli, dando fondo ai loro risparmi per pagare le spese del funesto evento. Oltre ai costi per la demolizione e le parcelle per uno stuolo di ingegneri, geologi, e tecnici vari, devono sobbarcarsi anche le spese per l’affitto di una nuova abitazione.

Le indagini, la chiusa inchiesta

Nel frattempo, entrano nel vivo le indagini della Magistratura. Si prospettano diverse ipotesi sulle cause del crollo, si parla di cedimento strutturale, di modifiche effettuate alle cantine, di mancata manutenzione alle fognature, di terreno friabile. Si parla addirittura della presenza di “un canale di scolo sotterraneo dimenticato” sul quale è stato edificato l’immobile.

A distanza di trenta mesi dal crollo, l’indagine giunge a conclusione e sulla base delle perizie depositate in Tribunale, la Procura della Repubblica di Roma chiede al GIP di archiviare l’inchiesta che era stata aperta nei confronti di una decina di persone, fra cui dei funzionari Acea, per disastro colposo.

Secondo la perizia, non c’è responsabilità di Acea in quanto nessun danno è stato ravvisato alle condutture idriche una cui eventuale perdita avrebbe potuto erodere il sottosuolo, né che la palazzina negli anni ’50 sia stata costruita con materiale scadente.

Per i periti si tratta invece di una costruzione realizzata là dove non doveva essere, in un terreno dove prima c’era l’alveo di un affluente del Tevere, poi riempito con terra e materiale di risulta, poi asfaltato e infine sparito dalle mappe ufficiali. Tombato, come si suol dire.

Secondo la relazione, la cattiva manutenzione potrebbe avere prodotto l’otturazione del canale e il reflusso dell’acqua verso il vecchio alveo del fiume, con conseguente imbibimento del terreno.

La relazione dà quindi ragione a ciò che dicevano i vecchi abitanti della zona che subito dopo il crollo avevano puntato il dito contro la presenza di un antico canale che serviva a far defluire le acque piovane, e non, verso il Tevere. Una voce che VignaClaraBlog.it aveva raccolto e poi documentato reperendo negli archivi una pianta di Roma elaborata nel 1925 dal Touring Club Italiano nella quale si percepisce abbastanza bene la presenza dell’alveo.

Ulteriore dato che emerge dalla perizia è che nel 2001 una geologa espresse delle perplessità sulla stabilità del terreno e le sottopose all’architetto responsabile della redazione del fascicolo di fabbricato. Pare però che il professionista, deceduto mente erano in corso gli accertamenti successivi al crollo, avrebbe sottovalutato il problema non facendone menzione ai proprietari della palazzina.

Vicenda chiusa, ferita aperta

Dal punto di vista giuridico si chiude così la vicenda. Era il marzo del 2019. Si chiude giuridicamente, sì, mentre invece la ferita rimane aperta. Resta aperta nel cuore del quartiere, con quel triste cratere a due passi da Ponte Milvio, e resta aperta nel cuore di chi quella notte perse in un amen non soltanto una casa con tutto ciò che conteneva, ma anche i ricordi, la quotidianità, la serenità.

Nel nostro edificio – scrisse alla nostra testata una vittima del crollo – non alloggiavano ‘i ricchi che abitano a Ponte Milvio’, come alcuni danno ad intendere, ma persone che si guadagnavano da vivere col loro lavoro e che avevano nella propria abitazione, che per quasi tutti era la prima e unica casa, la sola sicurezza in tempi difficili come questi”.

Claudio Cafasso

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1 commento

  1. È una vicenda molto triste e una conclusione ancora più triste. Ma viste le reali cause del crollo gli abitanti delle palazzine contigue vivono sonni tranquilli?

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