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Pesanti sanzioni al Campidoglio e Ama dal Garante della Privacy

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ArsBiomedica

Non solo i dati sull’interruzione di gravidanza rientrano tra i dati relativi alla salute, di cui è vietata la diffusione, ma la legge 194 del 1978 prevede un rigoroso regime di riservatezza. Per non aver rispettato queste regole il Comune di Roma e AMA – alla quale è affidata la gestione dei cimiteri capitolini – sono stati pesantemente sanzionati dal Garante per la Privacy.

Il Campidoglio dovrà pagare una multa di 176mila euro, l’AMA di 239mila euro. Il motivo, aver diffuso i dati delle donne che avevano affrontato un’interruzione di gravidanza, indicandoli su targhette apposte sulle sepolture dei feti nel Cimitero Flaminio di Prima Porta. L’ASL Roma 1 se l’è invece cavata solo con un ammonimento.

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La vicenda

La vicenda era salita agli onori della cronaca nell’ottobre del 2020 quando una donna, dopo aver subito un’interruzione di gravidanza, scopre per caso di avere una croce con le sue generalità apposta sopra al feto da lei abortito. E dopo di lei tutte le altre, tutte ignare dell’accaduto e tutte con un crocifisso assegnato al campo comune n.108 del Cimitero Flaminio.

All’epoca, Ama prima tenta di archiviare la vicenda definendola una mera “modalità per individuare la sepoltura in caso di assenza di nome del feto”, per poi iniziare un lungo rimpallo di responsabilità con le strutture sanitarie che accusavano appunto l’azienda affidataria dei servizi cimiteriali che a sua volta incolpava la Asl e gli ospedali.

Scattata una denuncia da parte dell’Associazione Differenza Donna, il caso finisce in Tribunale ma il GIP, non rilevando dolo ma solo un comportamento fuori legge da parte degli indagati dipeso, a suo dire, da un contesto poco chiaro a livello di normativa, nel febbraio del 2022 ne dispone l’archiviazione.

A novembre dello stesso anno l’Assemblea capitolina vota poi un documento col quale viene dato il via libera alle modifiche del Regolamento di polizia cimiteriale: i feti che saranno sepolti nei cimiteri capitolini non riporteranno più il nome della madre, ma avranno solo un codice alfanumerico associato a un protocollo. Inoltre, le donne potranno scegliere tra inumazione e cremazione.

L’intervento del Garante per la privacy

Il caso sembrava così chiuso, ma non del tutto. A distanza di più di un anno il Garante per la privacy, dalla cui istruttoria è emerso che la diffusione illecita del nome della madre è stata originata da una comunicazione di dati effettuata in violazione del principio di minimizzazione, fa sentire la sua voce.

Da tale istruttoria, come si legge in una nota del Garante, la Asl RM 1 aveva trasmesso ai servizi cimiteriali la documentazione con i dati identificativi delle donne. Le informazioni erano state poi riportate nei registri cimiteriali (determinando potenzialmente la possibilità di estrarre l’elenco di chi aveva effettuato un‘interruzione di gravidanza in tutte le strutture ospedaliere del territorio) e sulle croci, nonostante la normativa specifica preveda che, per l’apposizione della targhetta sul cippo, le informazioni da indicare siano quelle del defunto; quindi tali informazioni non possono in alcun modo essere assimilate a quelle che riguardano le donne che hanno avuto una interruzione di gravidanza.

Oltre alle due pesanti sanzioni economiche a carico del Campidoglio e di AMA, il Garante ha pertanto ordinato all’ASL di non riportare più le generalità “in chiaro” sulle autorizzazioni al trasporto e alla sepoltura e sui certificati medico legali.

Nel provvedimento l’Autorità ha inoltre indicato all’Azienda Sanitaria alcune misure tecniche e/o organizzative (come l’oscuramento dei dati identificativi delle donne, la pseudonimizzazione o la cifratura dei dati) che garantirebbero la possibilità di individuare con certezza il prodotto del concepimento e il luogo della sua sepoltura, senza consentire – in modo diretto – di risalire all’identità della donna.

Feti sepolti al Cimitero Flaminio, la storia di Elisa

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8 COMMENTI

  1. Una vittoria dell’inutile, del vano, del superfluo, dell’inconcludente….preceduta peraltro da una archiviazione. Ogni giorno centinaia di persone vengono sputtanate su giornali e televisioni dove si raccontano i fatti di presunti indagati, di chi ha ricevuto un avviso di garanzia, di uomini e donne che hanno una certa notorietà, di figli che svergognano padri e madri, di amanti deluse che svergognano i partners, di video che svergognano tutti e senza che il garante faccia una piega. Mi chiedo come una targhetta al Campo n. 108 possa violare la privacy di una persona del tutto ignota….è come se la targhetta di un citofono violasse la privacy di chi abita in quell’immobile. Ma quand’è che in questo paese da barzelletta si penserà alle cose serie?

  2. insensibilità allo stato puro, maschilismo gratuito. glielo spiego io visto che la lettura dell’articolo non è bastata: scrivere in un campo santo dedicato ai feti il nome della donna sulla croce è come dire ai quattro venti “quella donna ha abortito”. se per lei questa è una barzelletta…

    • Le consiglio la lettura del libro “Lettera a un bambino mai nato” di Oriana Fallaci, che non era certamente bigotta,

  3. E’ molto probabile che io sia un maschilista ma mi viene in mente che qualsiasi “vignettaro” (non saprei come altro definirlo) può irridere al Presidente del Consiglio (donna) deridendo la sorella (donna) e la figlia (bambina ma donna) pubblicando una vignetta indecente spacciandola come “satira” senza che nessuno intervenga, nè Garante nè “femministe”….allora mi chiedo se sono io insensibile o lo è questo paese da “barzelletta” ….

  4. Lei non è insensibile, solo che vuole far finta di non capire, il garante si muove nei limiti della legge per la quale è stato chiamato a questo incarico e quindi non poteva non fare quello che ha fatto. La satira non è vietata dalla legge sulla privacy, perchè sarebbe dovuto intervenire ? E perchè le due sorelle non hanno sporto querela ? senta faccia una cosa, si faccia eleggere, faccia approvare una legge contro la satira e poi potrà reclamare una pena anche contro i “vignettari”

  5. A mio parere andrebbe denunciato e licenziato chi ha firmato l’ordinanza che ha permesso l’inserimento dei nomi delle madri sulle tombe.

  6. Non è che faccio finta di non capire…proprio non capisco: per impedire uno scempio devo fare una querela o farmi promotore di una legge perchè la satira non è reato (il vignettaro ha affermato che la satira piu’ “vomitevole” è meglio é…) mentre il garante sanziona un gesto di pietà come un reato.
    Perchè chi ha messo quei nomi non voleva certo spargere un dato ai quattro venti (a che pro poi….?) ma piu’ semplicemente voleva dare un nome a chi non ce l’ha dal momento che non è mai venuto al mondo. Forse più che un paese da barzelletta è un paese da satira (quella vomitevole per intenderci)?

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