Home AMBIENTE Juan Carrito e JJ4, due facce della stessa medaglia

Juan Carrito e JJ4, due facce della stessa medaglia

jj4
Galvanica Bruni

Le vicende dell’orso Juan Carrito, orso goloso, burlone e mansueto investito e ucciso da un auto nella zona di Roccaraso a gennaio del 2023, e quelle dell’orso bruno JJ4 responsabile della morte di Andrea Papi, hanno suscitato nell’opinione pubblica molta emozione e pareri discordanti su come gestire il fenomeno “orsi”.

Sebbene la fine drammatica del giovane runner non possa in alcun modo essere accostata alla morte dell’orso marsicano, resta il fatto che si tratta di due vicende che vedono protagonisti orsi definiti “problematici”; il primo per le sue scorribande nei centri abitati, il secondo per aggressioni a cacciatori o escursionisti.

Continua a leggere sotto l‘annuncio

I contatti tra animali selvatici, orsi, lupi e cinghiali e gli uomini, anche se non sempre cruenti, sono ormai più frequenti e sono all’origine di un problema di difficile soluzione che vede tra l’altro schierati su fronti opposti falchi e colombe; i primi sono sostenitori degli abbattimenti al fine di ridurre la presenza di selvatici sul territorio, i secondi, contrari alle uccisioni e per l’adozione di soluzioni più morbide.

La morte di un uomo a causa di un orso, un evento che non ha precedenti (almeno in tempi recenti) nel nostro paese, ha provocato fortissimo  sgomento perché episodi come questo possono verificarsi solo in territori selvaggi come quelli presenti in Canada, in Alaska, in Siberia o in ambienti come la catena dei Monti Appalachi dove la presenza umana è rarefatta.

Pensare di uscire di casa per una passeggiata o una escursione  con l’incognita di fare un incontro al cardiopalma logicamente genera insicurezza e porta ad ipotizzare soluzioni drastiche che non trovano concordi i TAR ma anche parte della popolazione.

La decisione di riportare l’Orso sulle Alpi Orientali è stata presa agli inizi del 2000 – quando l’estinzione degli orsi era oramai prossima – dalla Provincia Autonoma di Trento, dal Parco naturale Adamello-Brenta e dall’Istituto nazionale della fauna selvatica, in accordo con l’Unione Europea che ha finanziato il ripopolamento.

Il Progetto “Life Ursus” ha consentito di immettere nel territorio 10 esemplari (7 femmine e 3 maschi) di orsi sloveni nati in libertà. Si trattava di animali particolarmente robusti che si sono ben adattati e che in pochi anni hanno portato la popolazione ad oscillare tra i 60 e i 100 esemplari (le stime, e a dirlo sono gli esperti, sono difficilissime nonostante le tante tecniche impiegate).

Il progetto ha avuto un successo superiore alle aspettative anche se ha generato alcuni problemi come quello legato all’Orsa KJ2 responsabile di alcune aggressioni e che hanno spinto le Autorità a decidere per l’abbattimento del plantigrado. Decisione adottata anche da Svizzera e Austria per casi simili.

L’abbattimento, arrivati a questo punto, è sembrato  quindi essere la soluzione più logica al problema dei “problematici” (non solo orsi aggressivi ma anche orsi eccessivamente confidenti) anche se questo si è scontrato poi con le finalità dei progetti.

Che senso ha procedere al ripopolamento di lupi e orsi, attività complesse e costose, se poi si deve ricorrere al loro abbattimento perché predano il bestiame o si rendono responsabili, nel caso degli orsi, di aggressioni alle persone?

Anche se l’uomo non costituisce per l’orso una “preda”, non erano prevedibili le aggressioni specie da parte di femmine con i cuccioli? (nelle aggressioni compiute dall’orsa KJ2 erano sempre presenti i suoi 2 cuccioli).

Si sa che l’orso è un onnivoro e si ciba pure di grossi mammiferi come cervi ma anche pecore, asini e bovini: non erano prevedibili allora gli attacchi alle greggi o a bestie al pascolo brado?

Forse si è peccato di ingenuità nel ritenere che gli orsi se ne sarebbero rimasti confinati nelle alte quote o nelle praterie alpine lontano da paesi, stazzi e sentieri? O forse si è peccato di un altro tipo di ingenuità dimentichi che il nostro paese è quello che brucia in assoluto più territorio a favore di un’antropizzazione incontenibile che nel tempo ha eliminato ogni area “wilderness”?

Non esiste oggi montagna su cui non siano stati eretti tralicci per le seggiovie o boschi in cui non siano stati tracciati sentieri; non esiste catena montuosa dove il reticolo di sentieri non sia arricchito da rifugi, chalet, ostelli, punti di ristoro; non esiste parete che non sia stata chiodata o vetta che non sia stata violata. In questa situazione dove il turismo, estivo o invernale, dilaga a macchia d’olio in ogni ambiente con la sua striscia di appetibili rifiuti, forse si è peccato di ottimismo nel pensare che l’orso se ne sarebbe rimasto rintanato all’interno dei boschi.

Nei territori selvaggi degli USA le aggressioni da parte dei Grizzly a pescatori o escursionisti sono frequenti eppure a nessuno verrebbe in mente di sterminare la popolazione di orsi americani; chi si avventura in territori selvaggi o percorre il lungo sentiero degli Appalachi mette in conto un incontro indesiderato e oltre a sapere come affrontarlo si equipaggia con vari strumenti (dalle sirene ad aria compressa ai grandi spray al peperoncino capaci di mettere KO un orso di 300 kg.).

Forse quello che è mancato nel nostro paese è stato, in contemporanea a grandi e bei progetti di ripopolamento (come ad esempio l’Operazione S. Francesco del 1970 per riportare il lupo sugli Appennini), informare in modo capillare le popolazioni residenti, i pastori e gli allevatori  e poi quelle vacanziere con particolare attenzione a escursionisti, trekkers, alpinisti, cercatori di funghi.

Chi va in montagna e in zone isolate deve sapere, anche sulla base dei dati raccolti dai radiocollari,  quali sono gli incontri indesiderati che può fare e quindi quali opzioni adottare: muovere in gruppo, evitare determinate zone, portare i cani al guinzaglio.

Stesse cautele per i pastori e allevatori: evitare nelle aree frequentate dagli orsi il pascolo brado sorvegliando il bestiame nel periodo del parto e dello svezzamento e poi fornire alle greggi cani da pastore  o addirittura “cani da orso”.

Una accurata informazione e la creazione di zone “santuario” come è stato fatto in alcuni paesi, avrebbe evitato la scomposta reazione di taluni di gridare oggi  “al lupo…al lupo” anzi “all’orso…all’orso”.

Nel volume di Daniele Zovi “Italia selvatica” nel Capitolo dedicato proprio all’orso, c’è in apertura uno scritto apparso il 27 giugno del 1948 sul Corriere della Sera a firma del grande Dino Buzzati; una profezia?

“Ma che importa, dirà qualcuno, se l’orso scomparisse dalle Alpi. E’ un po’ come chiedere perché sarebbe un guaio se il Cenacolo di Leonardo  andasse in polvere. Sarebbe un incanto spezzato senza rimedio, una nuova sconfitta della già mortificatissima natura; perchè quanto più si estende sulla terra vergine il dominio dell’uomo, tanto più diminuiscono le sue possibilità di salvezza, e ad un certo punto egli si troverà prigioniero di se stesso, gli verrà meno il respiro e per un angolo di autentico bosco sarà disposto a dr via tutte le sue diaboliche città”.

Francesco Gargaglia

© RIPRODUZIONE RISERVATA

LASCIA UN COMMENTO

inserisci il tuo commento
inserisci il tuo nome