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Vigna Clara, il cardinale Zuppi a Santa Chiara

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Galvanica Bruni

Intensa e densa di significati la visita alla parrocchia Santa Chiara, a Vigna Clara, del Cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei.

Dopo l’attesa messa per ricordare Don Gianni Todescato, che di Santa Chara è stato parroco per più di 40 anni, Don Matteo è sceso nell’Auditorium per partecipare ad un incontro organizzato dal Consiglio Italiano per i Rifugiati, dal titolo ‘Fratelli Tutti, migrazioni più umane’.

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L’INCONTRO

Dopo l’enciclica, letta con passione da Monica Guerritore, il neo-parroco Don Andrea Manto, padrone di casa, ha salutato gli ospiti relatori con una interessante provocazione. Liberté, égalité, fraternité.

Di questi tre rivoluzionari concetti – ha detto – i primi due, anche se ancora lontani dall’essere diffusamente attuati, sono entrati a far parte del bagaglio culturale dell’occidente cristiano. Il terzo sembra ancora in sofferenza. Ciò che rende più universale e più vivo l’interesse per la ‘Fratelli Tutti’.

Il presidente del CIR Roberto Zaccaria (che con la moglie Monica Guerritore abita a Piazza Jacini, per il cui riordino si è dato molto da fare) ha presentato gli ospiti ed ha poi ceduto il microfono a Micaela Palmieri, del tg 1, perché li intervistasse.

GLI INTERVENTI

In estrema sintesi, Antonio Padellaro, giornalista, ha sottolineato quanto è cambiato l’atteggiamento degli Italiani rispetto alla fratellanza e si è chiesto cosa sia successo e perché. Il direttore dell’Avvenire, Marco Tarquinio, ha ricordato che i movimenti delle popolazioni ci sono sempre stati e sono stati linfa vitale per la crescita umana, necessaria ancora oggi e che richiederebbe una politica comunitaria dei flussi.

Per Livio Bacci, professore di demografia a Firenze, dove erano colleghi con Zaccaria, il mondo e anche l’Italia dovranno fare i conti con un rinnovamento totale della società. Nel 2050 nel nostro Paese, solo un bambino su quattro sarà nato in una famiglia italiana. Qualcosa di simile è già successo dopo la guerra nel nord Italia, con le migrazioni interne. Si può solo prenderne atto, partendo dalla necessità della forza lavoro e aprendo le porte alla diversità.

Visto il livello dei presenti sul palco e in sala – c’era anche Margherita Cassano, primo presidente donna della Cassazione – all’uscita si avvertiva un po’ di delusione. Ci si aspettava qualcosa di più. Non c’è stato dibattito.

IL PRESIDENTE DELLA CEI

L’incontro si era chiuso con il Cardinale. Che è ripartito dalle quattro parole chiave dell’Enciclica: Accoglienza, Protezione, Promozione e Integrazione. Il naufragio vicino a Crotone ne dimostra tragicamente la necessità.

Quelli che sono affogati – ha affermato – avevano diritto ad essere accolti. Scappavano quasi tutti da una guerra, andavano trattati come rifugiati. Se neghiamo questi diritti tradiamo tutta la consapevolezza che ci ha lasciato la Seconda guerra mondiale.

Ricordando poi l’altra grande strage di Porto Palo, del Natale ’96, Zuppi ha detto di provare un po’ di fastidio quando sente certe frasi. “In alcuni casi – ha concluso – è meglio stare zitti”. Era evidente il riferimento alle parole del ministro Piantedosi sulla disperazione che non dovrebbe giustificare il mettere in pericolo la vita dei propri figli. Parole che tante polemiche hanno suscitato.

LA MESSA

Ma l’accoglienza è stata anche al centro dell’omelia di Don Matteo alla messa per Don Gianni. I banchi di Santa Chiara quasi tutti occupati. Solo alcuni, pochi, in fondo ancora liberi.

Sì, perché – ha detto Zuppi – l’accoglienza era la cifra costante di Don Gianni. Accoglienza, attenzione e interesse per l’uomo e per tutto quello che può aiutare l’uomo a sentire e a comprendere la Parola di Dio.

Stranamente da quei banchi liberi in fondo sembrava di percepire un brusio costante, allegro, divertito, quasi irriverente.

Don Matteo ha ricordato anche l’amicizia che lo legava a Don Gianni e più volte ha suggerito la necessità di ringraziare il Signore per il dono che ci ha fatto di lui. Del Vangelo di Matteo in cui Gesù ci ha insegnato a pregare consegnandoci il Padre Nostro, ha sottolineato la libertà di figli, che è alla base di ogni valore etico.

Ha poi notato come la messa per il parroco storico di Vigna Clara fosse stata occasione per il ritrovarsi di una comunità che rioccupava la sua casa. Per la cui bellezza Don Gianni si era tanto impegnato e, guardando l’Ultima Cena dell’affresco alle sue spalle, ha rimarcato l’inscindibile legame tra comunità e comunione.

E sempre quel brusio simpatico alle nostre spalle. Se ti giravi a guardare non sentivi e non vedevi niente, ma come tornavi ad ascoltare Don Matteo riprendeva.

DON GIANNI

E il Concilio. Don Gianni – ha ricordato Don Matteo – è diventato prete nel ’51. Il concilio era lontano, molto lontano. Ma quando è arrivato a Roma lo ha vissuto con grande entusiasmo. L’entusiasmo per una Chiesa che diventava o voleva diventare sempre più Comunità. Con Dio al centro. Un Dio che non è lontano, ma ci fa capire che è proprio nella vita di tutti che ci rendiamo conto della Sua presenza.

Quindi, appunto, l’attenzione di Don Gianni al quotidiano dell’uomo. Una cosa piccola – ha detto: la cena con l’associazione dei portieri dei palazzi di Vigna Clara. Un appuntamento mensile che lui non si perdeva. Quello che ascoltava si travasava nella sua predicazione e viceversa.

Così come ascoltava le sue letture. “Molti di voi – guardava i banchi Don Matteo –   lo ricordano camminare avanti e indietro per il parcheggio dietro la chiesa con un libro in mano”.

Don Matteo ha letto poi anche letto qualche rigo del testamento di Don Gianni. Dove chiede di essere sepolto nella sua Gran Tortino, senza fiori e senza canti. Allora il Cardinale ha guardato il maestro Teodori vicino al suo coro, nato e cresciuto a Santa Chiara, proprio per volere di Don Gianni, come a chiedergli scusa. E assicura ai fedeli di Santa Chiara e di sant’Agnese, che, scrive, sono stati la sua seconda famiglia, e ai tanti amici che lo avevano accompagnato nella vita, la sua preghiera dal cielo.

Di nuovo quel brusio.

LA CULTURA

Il Cardinale ci ha anche ricordato che citava spesso, il nostro amato parroco, Cesare Pavese. La sua ricerca di cultura era attenzione per l’uomo. Per il rapporto col mistero, l’attenzione per l’umanità, per la sofferenza, per il desiderio. Il quotidiano che ci aiuta a comprendere la Parola di Dio che è sempre così legata alla parola dell’uomo.

Don Matteo ha concluso ricordando la passione di Don Gianni per la bellezza, di cui cercava le tracce nella musica, nell’arte, nella letteratura, nella filosofia, nella cena dei portieri, nelle conversazioni, nei tanti frammenti della nostra vita.

Aveva reso belli anche gli uffici parrocchiali, che in genere sono anonimi come gli uffici di un Commissariato. “Con tutto il rispetto per il lavoro della polizia”. Amava contornarsi di bellezza. Dall’incredibile lavoro di restauro che è riuscito a fare in pochi anni a Sant’Agnese ai fiori su balcone che curava con amore.

IL BRUSIO

“Il ricordo, la sua memoria, ci aiutino ad essere noi altrettanto attenti, sensibili a tutto ciò che è umano. Don Gianni è qui con noi”

È stato allora che si è capito quel brusio. Quei banchi non erano vuoti. Li aveva riservati Don Andrea. Per lui, Don Gianni, e i suoi amici. Quelli che aveva ritrovato e quelli che lo avevano raggiunto lassù. Tutti sorridenti, allegri, compiutamente sereni.

Si è capito bene quando si è sentita la sua vocina “Certo che ci sono, mica me la potevo perdere. Meno di venti minuti. Bravo Matteo. E…grazie.

Michele Chialvo

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