Home ATTUALITÀ Daniele Piervincenzi, da Ponte Milvio all’Ucraina (passando per Ostia)

    Daniele Piervincenzi, da Ponte Milvio all’Ucraina (passando per Ostia)

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    Galvanica Bruni

    Incontriamo a Ponte Milvio Daniele Piervincenzi, giornalista d’inchiesta e reporter di guerra attualmente impegnato in Ucraina. Probabilmente però, molti lo ricordano per l’episodio di cui fu protagonista quando, a Ostia, fu colpito in volto da una testata di Roberto Spada, che finì in prigione.

    Di questo e di altro ci parla nel nostro incontro, ma partiamo innanzitutto dal suo legame con Ponte Milvio.

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    Una storia d’amore

    È quella dei suoi nonni che si è svolta, in parte, proprio sulla piazza di Ponte Milvio più di cinquant’anni fa. Ce la racconta mentre siamo seduti a fianco della cassetta delle posta, protagonista di questa storia.
    Mio nonno Carmine era scampato alla Campagna d’Africa. Quando rientrò, raggiunse suo fratello Francesco che aveva una casetta su quella via polverosa e sterrata che era Corso Francia all’epoca. Dentro 45 mq vivevano Francesco, sua moglie e i due figli ma accolsero Carmine, che nel frattempo si era innamorato di Bruna, una ragazza di Ferrara.

    Una lettera al giorno. Carmine aveva perso la testa per lei e decise che ogni giorno le avrebbe spedito una lettera che andava a imbucare a Ponte Milvio credendo che da lì sarebbero arrivate prima.
    Le scriveva delle esperienze traumatiche vissute in guerra, le inviava foto. Un corteggiamento “asfissiante, durato mesi”, al termine del quale Bruna prese un treno per Roma, incontrò Carmine, si innamorarono, si sposarono e andarono a vivere dal fratello di lui.

    Poco dopo Carmine viene assunto in Atac e risparmiando riesce ad acquistare una casetta a Primavalle, dove nasce la mamma di Daniele e, anni dopo, anche Daniele. Carmine comincia così a fare il nonno anche se, quando usciva dal lavoro, gli piaceva andare a Ponte Mollo a giocare a carte con gli amici al bar Pallotta.

    Negli anni ’80 – racconta Daniele – mi veniva a prendere a scuola ma poi mi portava con sé al bar dove, per tenermi impegnato, mi davano il vassoio per portare le bevande ai giocatori. Dovevo stare vicino ai tavoli di chi giocava a ramino, quindi i vecchietti”. 

    Ma quando il nonno lo riportava a casa, la mamma esclamava: “Senti ‘sto ragazzino come puzza de fumo! Ma ando’ me l’hai portato?!”.

    La testata targata Spada

    Tutto nasce da un’inchiesta che durava da un mese e mezzo; Piervincenzi stava seguendo la tornata elettorale del X Municipio (Ostia) per Nemo, programma di Rai 2.

    Piervincenzi conosceva bene Ostia, ma poco il tessuto sociale. Nel seguire le elezioni per capire quale fosse l’intenzione di voto si accorge che il quartiere è essenzialmente spaccato a metà e che anche la parteperbene” è sotto il controllo di una sola famiglia di stampo mafioso.

    Una mafia accattona, ma che comunque si muoveva come un’organizzazione mafiosa” ci tiene a precisare alla luce delle sue esperienze precedenti, essendosi già occupato della ‘ndrangheta in Calabria e in Lombardia e di camorra altra criminalità più strutturata a Roma.

    Siamo a novembre 2017. Sempre nel corso dell’inchiesta, avvicina Roberto Spada, dell’omonima “famiglia”, a Nuova Ostia, dove Spada ha una palestra. Piervincenzi gli chiede spiegazioni in merito alle sue dichiarazioni a sostegno di un certo partito, insiste, lo incalza, gli domanda se questo suo appoggio a quel partito non possa influenzare le intenzioni di voto delle persone del luogo, come riportato da alcune testate giornalistiche.

    Colto di sorpresa, visibilmente seccato, Spada gli risponde negando il suo interesse per la politica. Poi, all’improvviso, parte con una poderosa testata al giornalista per poi colpire lui e il cameraman con una specie di manganello (clicca qui per il video).
    Roberto Spada viene arrestato e condotto prima a Regina Coeli e quindi nel carcere di massima sicurezza di Tolmezzo accusato e quindi condannato a sei anni per lesioni e minacce aggravate dal metodo mafioso, pena finita di scontare nello scorso ottobre.

    Chiediamo a Piervincenzi se non abbia paura di occuparsi di certe inchieste.
    No, sebbene me ne occupi in una zona di Roma ormai pesantemente infiltrata, come tutto il quadrante di Roma Nord. Ormai non c’è più un quartiere, il confine è estremamente labile, anzi i confini sono diventati grigi. Prima, c’era una separazione netta tra un confine di luce e uno di oscurità. Riconoscevi il quadrante che si stava perdendo, perché vedevi la linea rossa e, varcandola, entravi in questa zona d’ombra. Oggi le zone d’ombra non sono più “mappabili”, quindi viviamo spesso gomito a gomito con alcune realtà; mentre è importante che ci sia una linea di demarcazione fra noi e loro”.

    Se fosse solo, sarebbe certamente tutto più facile: “la paura c’è di rimbalzo, quando hai figli, famiglia”. Le minacce non le ricevi direttamente ma ti arrivano per via indiretta.Ti dicono: “Ma che fai? Lo sai che so’ tutti incazzati?! Parli de’ quello, de Diabolik, degli Spada…ma c’hai figli! Ma non vuoi bene ai tuoi figli?”.

    “Chi te lo fa fare?”, domandiamo. “Spesso me lo chiedo. Per me è stata una sorta di conseguenza, poiché ho sempre amato occuparmi degli ultimi, delle persone di cui nessuno vuole mai parlare e farlo in televisione era sempre una grande sfida perché dicevano di smetterla con queste storie di gente dimenticata. Il nostro compito invece è anche raccontare il mutamento reale della nostra società. Se un giornalista non aderisce al terreno, si perde quello che succede realmente”.

    Il conflitto in Ucraina

    Piervincenzi è stato in Ucraina la prima volta all’inizio del conflitto e altre due a guerra in corso.

    Sono arrivato con un punta di arroganza, di chi già era stato in zone di crisi, che era abituato ad un certo tipo di comportamento. Tuttavia, in Ucraina, mi sono reso conto in tre giorni che lì era tutto un altro mondo: una guerra simile alla seconda guerra mondiale, una vera roulette russa, dove tu giochi un numero e la tua ruota è affidata solo alla fortuna”.

    In certi posti in cui è stato, bombardavano  ovunque senza un’avvisaglia: ci si poteva trovare sotto le bombe da un momento all’altro. All’inizio ha fatto il racconto del fronte, la parte “più pericolosa in assoluto”.

    “Dopo un mese sulla linea zero, ho capito che avevo perso la misura di quello che mi stava succedendo e quindi, sono dovuto rientrare per rimettere in ordine le idee. Primo, perché devi ricordare sempre che sei un giornalista e devi documentare ciò che vedi e, per farlo, non puoi stare così dentro. La seconda motivazione è che è rischioso abituarsi a quel tipo di orrore. Se ti abitui a vedere cadaveri, a sentire le bombe tutta la notte, a dormire due ore e mangiare zuppa per tre giorni di fila, non riesci più a raccontarlo, perché diventa una consuetudine. Quindi, sono tornato”.

    La seconda volta mi sono invece concentrato sulla popolazione civile, sugli effetti psicologici e sociali causati da una guerra massiva sugli “ultimi” ucraini: quelli che vivono nelle zone bombardate.

    E’ stato un viaggio nella periferia dell’animo umano, un imbarbarimento, un ritorno al medioevo. Noi giornalisti siamo riusciti a restituire l’intensità del conflitto, la pericolosità, ma non siamo riusciti a restituire quanto questa guerra abbia scavato nell’animo delle persone. Un trauma che non potrà essere dimenticato, soprattutto dai più piccoli. I padri stanno al fronte per difendere la linea, la famiglia mentre le donne preparano la zuppa ai fornelli. In pochi mesi, cambia drasticamente la tua vita e sei pronto a salutare i tuoi figli e non vederli più”.

    Giuliana Pallotta 

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