Una donna caparbia, alla costante ricerca della verità. Una donna schietta, pronta a difendere un’idea di partenza, quella di restituire un senso reale alla storia. Una donna, figlia, che ha scartabellato documenti e messo a soqquadro archivi impolverati per raccontare la verità.
Questa donna risponde al nome di Taty Labruna, autrice di “Mio padre, il capitano Labruna”, un Ufficiale dei Carabinieri e Agente segreto il cui nome è stato presente in alcune delle vicende più intricate accadute negli anni ’70 e ’80 nel nostro Paese.
Come e quando nasce l’idea di questo libro?
«Sarebbe troppo semplicistico affermare di aver riposto all’impulso naturale del vincolo consanguineo o a quello profondamente emozionale di ricambiare l’infinita amorevolezza e protezione, mai scontate a causa delle sue traversie professionali, riservatemi da mio padre fin dalla mia nascita.
Se l’amore fosse stato l’unico motore, avrei scritto il libro molto tempo prima, ma sicuramente in modo incompleto.
Sono arrivata alla maturità, anzi, alla piena maturità, mentre assemblavo i pezzi del puzzle che componevano la vita professionale, a dir poco rocambolesca di mio padre, acquistando contemporaneamente la consapevolezza delle complessità sia del contesto storico (anni ‘70-‘80), sia delle contraddizioni di quello contemporaneo anche rispetto a fatti sanguinosi quanto oscuri di quel periodo, ma soprattutto della personale condizione interna che avrei dovuto affrontare nel ripercorrere la vita, professionale ed emotiva di mio padre, con le salite e le discese che ha comportato posso dire per entrambi. Prima sarebbe stato un lavoro parziale.
Il mio progetto ha cominciato a prendere forma con la scoperta, dopo la sua morte improvvisa (la notte del 26 gennaio del 2000), delle memorie scritte di suo pugno e si è ampliato con la conseguente volontà di approfondire, in modo oggettivo e analitico, alcuni dei fatti relativi agli anni Settanta e Ottanta, che definisco “spettri storici”, dolorosamente cruenti, divenuti tristemente sensazionalistici e ipocritamente strumentalizzati, nei quali è stato coinvolto per varie ragioni ben delineate nel libro, senza alcuna omissione.
Mi faccia aggiungere con schiettezza un altro elemento che ha contribuito fortemente a cimentarmi in questa gravoso, anche sentimentalmente, lavoro. Parlo del livello di personale di saturazione raggiunto a causa della perseverante campagna diffamatoria subita da mio padre da parte di una certa stampa a fronte di una eccezionale carriera militare fatta di responsabilità di comando fin da giovanissimo (25 anni), plausi, encomi, medaglie, che non molti in Italia possono vantare. Questo assoluto contrasto non mi quadrava».
La sua affermazione sull’obiettività delle sue ricostruzioni è un po’ azzardata, attesa la valanga di libri, articoli, trasmissioni televisive e radiofoniche che da anni si dedicano ai fatti più eclatanti di quel periodo, collocati su una perenne ribalta anche per la sofferenza causata e per le disattese aspettative di una pacificante risoluzione giuridica che non è mai arrivata…
«Guardi, la ricostruzione degli avvenimenti descritti nel volume è stata faticosa, soprattutto per sfrondarla dalle innumerevoli interpretazioni che pretendono di assurgere a uniche ricostruzioni storiche.
Pertanto a integrazione degli scritti lasciati da mio padre mi sono buttata su un’imponente mole di fonti, che in parte ho riportato integralmente, formata da atti e provvedimenti giudiziari, preziosa documentazione storica che comprende anche Commissioni e atti parlamentari nonché “dossier” e relazioni del “Servizio Informazioni Difesa”, ossia il servizio di sicurezza italiano operante dal 1966 al 1977, per il quale mio padre ha lavorato come agente segreto fino ad essere nominato comandante del “Nod” dal giugno del 1971 fino a marzo del 1976».
Dovizia di particolari e le cosiddette “pezze d’appoggio” in un volume che racconta una parte della storia d’Italia. Qual è stato il riscontro che ha avuto da chi ha già letto il libro?
«Inaspettatamente positivo attesa la spinosa e articolata materia, ma soprattutto a fronte del mio “status” di neofita. Il plauso di alcuni “addetti ai lavori” mi ha gratificato nel riconoscimento della verità che ho affermato ripagandomi del quanto mai laborioso lavoro di ricostruzione storica e di sconvolgimento emotivo nel mettere nero su bianco anche dei ricordi.
C’è stato chi mi ha detto “è un libro che ti prende perché è coinvolgente dal punto di vista storico e da quello umano nella descrizione inedita del Capitano Labruna nella sua duplice veste di padre e di marito”; chi ha detto “questo libro rende giustizia e verità alla storia e a te. Mi sono immedesimato in tuo padre e ho sentito l’orgoglio che ha provato e avrebbe provato se avesse assistito alla sua riabilitazione. Ho viaggiato un po’ nella vostre vita …e sono stato bene”.
E ancora: “Ho letto il libro è bello, veramente commovente nell’ultima parte in cui parla di suo padre. Credo che il Capitano Labruna, Generale post mortem, abbia subito molte ingiustizie e questo libro in parte lo ripaga”».
Lei con questo manoscritto rende giustizia e dignità a un uomo dello Stato che in un certo momento della vita è stato “dimenticato” dallo Stato. E’ soddisfatta di questo “rendere giustizia” a suo padre? Intendo di questa sua “opera di redenzione” nei confronti di suo padre…
«Quanto mai altro nella mia vita. Ricordo brevemente che mio padre, attraverso due provvedimenti ministeriali dichiarati illegittimi dalla magistratura amministrativa in seguito all’impugnazione da parte di noi eredi, fu degradato e destituito dai suoi incarichi.
Gli esiti positivi di questi giudizi hanno restituito a lui, seppure post mortem, la propria dignità di “uomo” e di “ufficiale” non solo reintegrandolo nei meritati gradi di Capitano, ma innalzandolo, prima al grado di Colonnello e poi, per anzianità a quello di Generale.
Non ci potevo stare anche a questa ingiustizia: come se non fosse bastato l’assurdo calvario penale, mio padre aveva dovuto subire la rimozione dei gradi, la cessazione del lavoro e la privazione di tutti i suoi legittimi emolumenti; il tutto è avvenuto con un sadico automatismo e in piena violazione dei principi della Costituzione. E la sua famiglia sarebbe dovuta rimanere in assoluto silenzio? Mi sembrava un po’ troppo…
Al fianco di questa riabilitazione professionale i giudizi di rivalutazione storica sulla figura di lui acquistano un valore assoluto per l’eccellenza delle personalità che li hanno espressi, donandomi una gratificazione forse maggiore.
Mi riferisco al magistrato Guido Salvini che, innanzitutto nei suoi provvedimenti giudiziari del 1995 e del 1998 e poi in alcune interviste, ha riabilitato la figura di Antonio Labruna riconoscendogli l’irreprensibilità e l’efficacia del suo operato, al presidente Giovanni Pellegrino, politico di raro equilibrio che, in una recente intervista ha affermato che “Labruna ha subito una damnatio memoriae che va contrastata”; e al direttore Vittorio Feltri, che con un atto di immensa generosità ha impreziosito il libro regalandomi una prefazione di rara profondità, attenzione e autenticità».
Ha in serbo di scrivere altri libri su quegli anni tanto sofferti ma quanto mai importanti per il nostro Paese?
«Mi piacerebbe e sono incoraggiata dalla consapevolezza che, se dovessi cimentarmi in un prossimo libro, non sarebbe così straziante emotivamente».
Leonardo Morelli
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Antonio La Bruna risulta nell’elenco della P2: …o è un omonimo?
Secondo quanto scritto da Wikipedia (che non è ovviamente il Vangelo…) tutti i vertici dei “servizi” facevano parte della P2…la Commissione di inchiesta parlamentare accerto’ che la P2 godeva della protezione dei “servizi” e che addirittura Gelli ne facesse parte….La P2 fu ritenuta una “organizzazione criminale”……
UN PATRIOTA
Credo che, come per tutte le cose, ci fosse del bene e del male nella P2. Ho conosciuto molte persone assolutamente oneste, altruiste e di valore personale, che ne facevano parte e, dopo quanto successo, si sono pentite amaramente di avervi aderito.
Il Capitano La Bruna fu senz’altro un bravo e fedele servitore dello Stato resta però il fatto che non c’è storia “sporca” dell’Italia repubblicana in cui non siano stati coinvolti i servizi segreti, dalle bombe di Milano e Bologna al rapimento Moro. E allora mi chiedo che differenza c’è tra il delitto Matteotti e il delitto Moro o Pecorelli?
Nel delitto Matteotti fu il Governo in carica a farlo eseguire. Il delitto Moro fu ordito da chi avrebbe voluto prendere il Potere, non certo in maniera democratica. Per il caso Pecorelli, sembra tanto una questione “privata” fra due interessi opposti. Si dovrebbe sempre evitare di confondere, mischiare mandanti ed esecutori.
Banale, semplicistica e di parte l’analisi del Sig. Venza che dimentica che i servizi segreti operano su direttive del governo (nel delitto Pecorelli pentiti di mafia parlarono di un coinvolgimento di un notissimo esponente della DC peraltro sottoposto a processo per altri fatti…).
Perciò non vedo differenza alcuna tra Dumini e Moretti…..
Intorno agli anni ’90, è sorta l’ occasione di trascorrere solo poche ore col capitano dei carabinieri La Bruna, peraltro mio corregionale, durante le quali nel mafestarmi la sua sofferenza per le ritenute ingiustizie subite, in particolare da parte dei suoi superiori diretti, mi accennò anche ai fatti di sangue e bombe accaduti in Italia in quegli anni. Nel salutarlo, da giovane maresciallo dei CC, credendo fortemente nell’apparato giudiziario, gli consigliai di essere più collaborativo coi magistrati rivelando loro la realtà dei fatti in cui era stato cmq coinvolto.