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A Roma un tampone costa quanto una cena a lume di candela

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Galvanica Bruni

Fra i cittadini di Roma Nord cresce di giorno in giorno la protesta per la carenza di drive-in. Nonostante la rapida diffusione dell’ultima variante covid con numeri viepiù preoccupanti, fare un tampone in una struttura pubblica è diventata impresa biblica.

La postazione di Labaro, alla Casa della Salute di via Clauzetto, è stata chiusa da mesi; all’Ospedale San Pietro stop ai tamponi fino al nuovo anno causa mancanza reagenti, al Sant’Andrea impossibile andarci perché non si sa dove lasciare l’auto senza rischiare una multa.

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Di fatto, l’unico drive-in operativo è quello in viale Tor di Quinto, dove in questi giorni le auto sono incolonnate fin dal mattino presto.  Lunghe le file, anche perché a ingrossarle sono i tanti che si mettono in coda senza prenotazione, e lunghe le attese per la risposta, vista la gran mole di dati da trattare.

E’ vero, ci sarebbero le farmacie, alcune delle quali attrezzate addirittura con prenotazioni on line, ma nell’insieme il sistema è in affanno. File ovunque e tamponi di ogni tipologia che cominciano a scarseggiare.

L’ultima spiaggia è rivolgersi ai laboratori privati con costi però che non tutti possono permettersi, soprattutto quando lievitano ben oltre le tariffe calmierate dalla Regione Lazio.

Più di una cena a lume di candela

Tamponi al prezzo di una cena a lume di candela in un ristorante stellato. Forse anche un po’ di più. E’ l’amara realtà con cui in questi giorni tanti romani – ma la situazione è più o meno la stessa in tutto il Paese – stanno facendo i conti.

E’ stato un crescendo, e così nell’ultimo mese, insieme alla curva dei contagi che ha ripreso a crescere a più non posso, a lievitare sono stati anche i prezzi dei tamponi a pagamento.

Dal costo base di 60 euro, tariffa calmierata e stabilita oltre un anno fa con le principali associazioni di settore e Regione Lazio per farmacie e privati che effettuano i molecolari, ora si è arrivati a sfiorare anche il tetto dei 150.

Se va bene, in alcuni casi il costo sale solo fino a 80, altre volte a 100 euro. Ma toccare i 120 e arrivare velocemente ai 140 euro è un attimo.

Così per un test molecolare, assolutamente necessario per uscire dalla quarantena da Covid-19, con referto in poche ore o comunque in giornata, si arriva a cifre da capogiro.

Ora il danno, e anche la beffa, è che in molti casi finire a strisciare una carta di credito per effettuare un tampone diventa quasi inevitabile. Le attese di giorni prima di riuscire ad effettuare un test molecolare presso i drive-in, in sovraccarico di prenotazioni, e la successiva attesa, anche oltre le 48 ore del referto per i laboratori in affanno, costringono molte persone a ricorrere al privato. E ad aprire il portafoglio.

Non è difficile così trovare su Roma strutture private che con un solo clic permettono di prenotare online un “tampone molecolare fast”, con risultato in 4-6 ore e 140 euro in meno nel portafoglio. Sempre che nella stessa famiglia se ne debba effettuare solo uno, perché altrimenti il costo diventa quello di una vacanza.

La difesa delle strutture private

La difesa dei diretti interessati si rifà al servizio d’urgenza e alla tecnologia, per cui il prezzo di un tampone – oltre il doppio rispetto a quanto stabilito – dipenderebbe dai macchinari in grado di elaborare gli esiti in poche ore e dalla velocità del servizio. Come a dire, se lo vuoi in breve tempo, paghi. E anche caro.

A non starci però è proprio l’assessore regionale alla sanità, Alessio D’Amato che addirittura ora invita a segnalare ai Nas i casi. “Speculatori – ha appellato oggi in una dichiarazione rilasciata a La Repubblica le strutture private che effettuano il servizio a caro prezzo – questi laboratori stanno contravvenendo agli accordi” – invitando anche il Ministero della Salute a contenere il fenomeno.

Il NO di D’Amato

Lo stesso D’Amato però ha riconosciuto la difficoltà nell’arginare i privati per il servizio pubblico: le lunghe attese per prenotare, effettuarlo, e ricevere la diagnosi non possono sopperire le esigenze del momento per cui il problema va risolto a monte.

Prevista entro la serata di oggi, giovedì 30 dicembre, una nuova ordinanza che dovrebbe fare chiarezza e migliorare la situazione: “Seguiremo il modello Toscana ed Emilia – Romagna” – ha annunciato D’Amato, che per il Lazio sembrerebbe aver scelto la strada più semplice: “per la fine della quarantena i tamponi antigienici saranno equiparati ai molecolari e così per tornare in comunità basterà un test rapido“.

Una soluzione che allenterebbe del tutto la pressione sulle strutture pubbliche e sui laboratori, in questi giorni sommersi da tamponi molecolari da analizzare.

Massima allerta per il Lazio

Intanto il Lazio si prepara alla “massima allerta”: con 5.248 nuovi positivi solo nella giornata di ieri e le strutture ospedaliere che ora rischiano seriamente di andare di nuovo in affanno, la Regione ha annunciato il passaggio alla “FASE B”, quella di massima allerta nell’emergenza e prevista per evitare il collasso delle strutture ospedaliere.

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3 COMMENTI

  1. Viene da domandarsi quanti di questi tamponi siano richiesti da chi, pur avendo il super green pass, siano costretti a produrlo per particolare situazioni che lo richiedano o, invece da chi preferisce spendere pur si non fare il vaccino…

  2. Il problema è che se il governo « consiglia » di fare il tampone anche ai vaccinati con tre dosi prima di vedere i parenti durante le feste è evidente che la situazione dì complica….
    Non c’è da stupirsi se, chi veramente necessita dì un tampone perché sintomatico o per uscire dalla quarantena non riesca a trovare posto.

    • Sono d’accordo con Lei, conosco svariate persone che, pur essendo green pass, devono fare obbligatoriamente un tampone per alcuni accessi anche di lavoro. Comunque la si veda appare chiaro che fa il tampone anziché il vaccino sia di intralcio e motivo di ritardo per costoro. Circa la quarantena mi sembra di avere capito che chi ha il green pass non sia obbligato a passarla.

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