Home ATTUALITÀ “Il manifesto del libero pensiero” di Mastrocola-Ricolfi

    “Il manifesto del libero pensiero” di Mastrocola-Ricolfi

    “Felici i tempi in cui puoi provare i sentimenti che vuoi e ti è lecito dire i sentimenti che provi” (Tacito)

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    C’è oggi nella nostra società una vera e propria “cappa” che grava sul quello che è il modo di esprimersi; è la cappa del “politicamente corretto”.

    A illustrarci questa nuova forma di “dittatura” sono Paola Mastrocola, scrittrice di successo e Luca Ricolfi, sociologo e docente di Analisi dei dati, in “Manifesto del libero pensiero” (Ed. La nave di Teseo, 107 pagine, 8,90 Euro), un piccolo libro ma di straordinario interesse e grande attualità.

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    Quando è nato il “politicamente corretto”? Secondo gli autori questa compressione della libera espressione, questa censura della parola, nasce alla fine degli anni settanta quando le lotte sociali condotte fino ad allora dai movimenti progressisti vengono sostituite dalle lotte per i diritti civili.

    Un cambio di regime imposto dai tempi ma anche dalla incoerenza della politica; è così che si impone una forma di linguaggio e di espressione che coinvolge arte, letteratura, cinema e che “sovrasta ogni nostra parola e pensiero con imposizioni e divieti più o meno velati su che cosa è bene dire e pensare”.

    Un tema ampiamente trattato da P.Brukner in “Un colpevole quasi perfetto” e ripreso dalla coppia Mastrocola-Ricolfi che si concentra però su un aspetto inquietante del “politicamente corretto”: lo spregio per il modo di esprimersi della gente comune e di chi “non fa parte dell’élite che governa il discorso pubblico”.

    Come fatto da Brukner,  gli autori mettono il evidenza la mancanza del senso del ridicolo in questa dittatura dell’espressione che porta a creare un linguaggio e situazioni al limite del grottesco (come la proposta di cambiare la parola patria in “matria” o l’uso della “x” o della “u” al termine di una parola onde evitare sbilanciamenti di “genere”).

    Per gli autori l’imposizione dell’espressione  più che al politicamente corretto fa capo ad un “follemente corretto” che costringe giornalisti, scrittori, artisti e registi ad adeguarsi al pensiero unico pena l’essere discriminati e lasciati in un angolo.

    Il terrore di non essere considerati sufficientemente progressisti e di non apparire i portabandiera della lotta per i diritti civili spinge ad assumere con grande ipocrisia ruoli e atteggiamenti di subalternità con la logica conseguenza che anche l’arte si fa sottoposta al “potere”.

    Nel mondo del politicamente corretto convivono in perenne guerra due schieramenti: quello dei “buoni” ovvero i custodi del Bene (intellettuali e politici di sinistra, movimenti femministi e LGBT, rockstar e rapper multimilionari) e quello dei “cattivi” (quelli che non pensano come i “buoni”) ossia la gente di destra, i conservatori, i tradizionalisti,  gli omofobi se non addirittura i veri e propri “fascisti” (un termine che come scrisse Marco Tarchi viene gettato in faccia alle persone come un vero e proprio insulto).

    A conclusione di questa panoramica Mastrocola e Ricolfi hanno redatto in 26 punti un “Manifesto  dei Libero Parolisti” con le indicazioni per tirarsi fuori da questo opprimente clima;  al punto 2 si legge: “Non ci piace che qualcuno si erga a custode del Bene. Non vogliamo che esista una casta degli Illuminati e rifiutiamo ogni forma di dittatura compresa quella del Bene”.

    Francesco Gargaglia

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