Home CRONACA Cassia, morte Maddalena Urbani: ricostruite le ultime ore

Cassia, morte Maddalena Urbani: ricostruite le ultime ore

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Galvanica Bruni

Svolta nella triste vicenda nata in Via Vibio Mariano a, Tomba di Nerone, quando lo scorso 27 marzo, su richiesta del 118, agenti della Polizia arrivano in un appartamento dove giace il corpo senza vita di una ragazza di 21 anni, il cui decesso  pare riconducibile, probabilmente, a un abuso di oppiacei.

Passa pochissimo tempo e a quella ragazza si riesce a dare un nome: si tratta di Maddalena Urbani, residente a Perugia e figlia del professore Carlo Urbani, medico e microbiologo che per primo identificò e classificò la Sars di cui rimase vittima lui stesso nel 2003.

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L’appartamento, che agli occhi dei poliziotti si presenta in condizioni fatiscenti e con la presenza di numerosi blister di psicofarmaci, è occupato da un uomo di 64 anni, Abdul Aziz Rajab, di origini siriane, che si trova agli arresti domiciliari per spaccio di sostanze stupefacenti.

La ricostruzione degli eventi

Dopo il primo intervento della Sezione Volanti, gli agenti della Squadra mobile e della Scientifica effettuano un accurato  sopralluogo nel corso del quale trovano alcune dosi di eroina, metadone e un mix di psicofarmaci, nonché numerosi frammenti di cellophane utilizzato per confezionare le dosi.

Il tutto a riprova che  l’uomo, nonostante i domiciliari, continua a spacciare. Motivo per cui dai domiciliari passa all’arresto vero e proprio e viene portato dietro le sbarre di Regina Coeli.

Scattano quindi le indagini necessarie per determinare la causa della morte e le circostanze in cui la stessa è avvenuta e dal controllo del telefono della ragazza emergono delle chat con “Zio Cassi”, risultato poi essere il siriano, chat che attestavano una diretta conoscenza fra i due.

Ma non solo, nel corso della perquisizione dell’abitazione salta fuori un’agenda con sopra scritto il nominativo Malia Urbani via Calderini 17 Perugia”, ulteriore conferma che la giovane era una conoscenza intima dell’uomo

Nel frattempo gli investigatori appurano, tramite le testimonianze dei vicini di casa, che da diversi mesi l’appartamento del siriano è frequentato da numerose persone, ma per la Polizia è gioco forza concentrarsi da subito sull’unica testimone diretta, Kaoula El Haozuzi, una ragazza di origini straniere ma nata in Italia, quella che aveva chiamato il “118”.

La testimone, in un primo momento, dice di conoscere Maddalena Urbani da circa un mese, di aver fatto amicizia con lei a Perugia in un locale dove quest’ultima lavorava, e di aver deciso insieme il 26 marzo di venire a Roma. Ai poliziotti la ragazza racconta che poco prima di arrivare alla Stazione Termini sente Maddalena che chiama al cellulare uno “zio” che le fornisce indicazioni per arrivare in zona San Giovanni dove incontrare un ragazzo, probabilmente un pusher.

La ragazza continua il suo racconto dicendo che sempre nel pomeriggio del 26 marzo Maddalena si sente male a causa del troppo alcool ingerito, ma una volta giunta in via Vibio Mariano, nell’abitazione dell’amico 64enne, si riprende leggermente e dorme per tutta la notte sicché, in mattinata, accertatasi delle sue condizioni fisiche, lei esce per andare a fare la spesa. Solo al ritorno, così sostiene, si accorge che Maddalena non respira più e allarmata chiede aiuto al 118. Siamo nel primo pomeriggio del 27 marzo.

Ma le analisi dei tabulati delle utenze in uso al siriano e le dichiarazioni dello stesso dicono altro. Dicono che altre due persone, un rumeno e un italiano, suoi conoscenti, sono stati chiamate nella notte tra il 26 e il 27 marzo per soccorrere Maddalena.

Messa alle strette, l’amica testimone riferisce che effettivamente un uomo, un amico medico del siriano, era venuto nella mattinata del 27 per poi andarsene intorno alle 13 dopo aver fatto a Maddalena un’iniezione di adrenalina aggiungendo poi che quest’ultimo aveva suggerito di riferire ai soccorritori che si trattava di una overdose da oppiacei.

Rintracciatolo, i poliziotti appurano che si tratta di un italiano, chiamato “medico” solo perché ha sostenuto alcuni esami di medicina e ha un passato da tossicodipendente grazie al quale ritiene di essere in grado di intervenire in caso di overdose. Agli agenti della Squadra Mobile, il finto medico ammette di aver effettuato un’iniezione di naloxone, giudicata però ininfluente dal medico legale nelle cause di decesso.

Il cerchio si chiude con la Squadra Mobile che rintraccia il secondo uomo, quello di nazionalità rumena, la cui presenza era stata appurata grazie all’analisi del tabulato telefonico dell’utenza del siriano. Emerge che era stato chiamato nella tarda serata del 26 in quanto Maddalena stava male e che le aveva praticato un massaggio cardiaco suggerendo di chiamare i soccorsi qualora fosse peggiorata. Dopodiché se n’era andato.

L’ordine di arresto

A seguito di questa ricostruzione, su richiesta del PM Paolo Pollidori e del Procuratore Aggiunto Nunzia D’Elia, il GIP Clementina Forleo ha emesso un ordine di arresto a carico di Abdul Aziz Rajab con l’accusa di omicidio con dolo per aver accettato di non chiamare direttamente i soccorsi, facendo invece intervenire persone non qualificate che hanno cercato senza alcun esito di salvare Maddalena Urbani dal mix di droghe e psicofarmaci ingeriti.

Per quanto riguarda la posizione dell’amica, il GIP ha ravvisato un atteggiamento meramente passivo e non ha accolto la richiesta di arresto. La ragazza è comunque  indagata con l’accusa di concorso in omicidio volontario.

L’ordine di arresto per omicidio è stato notificato all’interessato questa mattina all’interno di Regina Coeli dove Abdul Aziz Rajab è detenuto dal 27 marzo scorso, quando era stato arrestato per spaccio di eroina.

Maddalena voleva cambiare vita, era l’ultimo viaggio

Dalle dichiarazioni rilasciate alla stampa la scorsa primavera  dall’imprenditore perugino che aveva assunto Maddalena nel suo locale, il motivo dei continui viaggi a Roma della ragazza era chiaro, ma proprio il giorno prima dell’ultima partenza lei gli aveva promesso che dopo quello non ce ne sarebbero stati più altri.

Una promessa che la giovane voleva mantenere per cambiare vita, per liberarsi dalla droga e da tutti i farmaci che assumeva ogni giorno e realizzare il suo più grande sogno.

Maddalena Urbani avrebbe voluto tornare in Vietnam, terra da cui a tre anni, subito dopo la morte del padre, era dovuta andar via insieme ai suoi due fratelli.

A ottobre voleva andare a vivere in Vietnam, per lei quella era “casa”. Io sapevo che nella Capitale si andava a rifornire di droga, non ne faceva mistero, mi ha detto che si sarebbe portata un’amica, per farmi stare più tranquillo. Non è più tornata” – ha raccontato l’imprenditore alla stampa.

Chi era il papà di Maddalena, prof. Carlo Urbani

Nato nel 1956 in provincia di Ancona e morto a Bangkok nel marzo del 2003, è stato un medico e microbiologo noto per esser stato il primo a identificare e classificare la SARS (Severe Acute Respiratory Syndrome, Sindrome Respiratoria Acuta Grave) o “polmonite atipica”, la malattia al centro dell’epidemia esplosa in Estremo Oriente tra il 2002 e 2003 che provocò 774 vittime accertate, tra cui lui stesso.

Carlo Urbani era sposato ed era padre di 3 figli, Maddalena era la più piccola. Si era laureato in medicina all’università di Ancona e aveva compiuto gli studi di specializzazione lavorando sulla malaria e sulla parassitologia medica. Era un esperto di malattie dovute a parassiti nei bambini in età scolare. E’ stato anche presidente di Medici Senza Frontiere-Italia.

Quando è morto, il 29 marzo del 2003, aveva 46 anni, e dopo aver lavorato in programmi di salute pubblica in Cambogia e Laos, la sua sede di lavoro era ad Hanoi, in Vietnam. Là ha identificato il primo focolaio della Sars in un uomo d’affari americano che era stato ricoverato nell’ospedale cittadino. La sua segnalazione precoce sulla nuova malattia mise in allerta l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Due settimane dopo venne colto da febbre e rimase lui stesso vittima della sua scoperta.

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