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Insugherata, tutte rotte le gabbie per i cinghiali

gabbia per cinghiali
foto di repertorio
Galvanica Bruni

La gestione dell’emergenza cinghiali a Roma Nord continua a far discutere: tutte le gabbie per i cinghiali del parco dell’Insugherata sono rotte, divelte o scardinate, non solo dagli animali.

Si tratta di un brusco rallentamento per il piano di contenimento, sottoscritto a settembre 2020 da Roma Capitale e la Regione Lazio e che prevede la cattura tramite le gabbie e la macellazione degli esemplari selezionati dalle Asl.  Tale scelta era stata presa nell’ottica di limitare la presenza dei cinghiali per le vie delle città, soprattutto nelle zone limitrofe ai parchi, mettendo a rischio la sicurezza dei cittadini.

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Un piano criticato dall’Organizzazione internazionale protezione animali (Oipa) e che per il momento non ha portato ai risultati aspettati.

Il piano di contenimento

“Per forza di cose abbiamo dovuto scegliere la strada della cattura degli animali con gabbie e recinti, ed il loro conferimento alle industrie di trasformazione della carne (diventando così prosciutti, salami o salsicce). Ma dal punto di vista del benessere animale è sempre meglio che conferirli a riserve faunistico venatorie, dove poi finirebbero cacciati o feriti dai cacciatori”, spiega Maurizio Gubbiotti, presidente di RomaNatura, ente regionale che gestisce diversi parchi e riserve romane fra le quali l’Insugherata.

Le prime gabbie sono state poste nel parco dell’Insugherata a settembre 2020. Terza tappa, dopo le riserve naturali di Decima Malafede e di Marcigliana, del piano di contenimento dei cinghiali.

I risultati, però, sono abbastanza scarsi. A oggi i cinghiali catturati a Roma risultano essere poco meno di 400, ma ne rimangono ancora un migliaio in giro per i parchi e le strade di Roma, 12 mila nel Lazio.

Le difficoltà maggiori per l’attuazione del piano si riscontano soprattutto a Roma Nord. “Primo perché è una zona densamente costruita e popolata, quindi la collocazione delle reti o delle gabbie pone problemi; secondo perché spesso le troviamo rotte, e ci siamo anche chiesti se siano gli animalisti”, aggiunge Gubbiotti.

Le origini del problema

L’emergenza cinghiali si è fatta più netta e urgente negli ultimi tempi, da quando i quadrupedi si sono fatti avanti con maggiore frequenza tra le vie adiacenti ai parchi in cerca di cibo, consapevoli di trovarne a ben donde tra la spazzatura strabordante dai cassonetti per giorni. Durante il lockdown la situazione si è aggravata ancor di più, tanto da spingere i cittadini raccogliere le firme per richiedere un intervento immediato.

Gubbiotti fa, però, un ulteriore passo a ritroso nella storia, ricordando che le precedenti amministrazioni “hanno estinto il “maremmano”, la specie autoctona più piccola e meno prolifica, sostituito per il ripopolamento, da questi, originari dei paesi dell’est, pesanti e corpulenti, con le femmine che vanno in calore due volte l’anno, e fanno 10-15 cinghialetti per volta. Così adesso il problema è molto serio”.

Queste specie, aggiunge Gubbiotti, “mettono a rischio la biodiversità, provocano danni all’agricoltura, per centinaia di migliaia di euro e si spingono nei quartieri abitati” e sottolinea “uno degli elementi più forti per allontanarli sarebbe se il Comune pulisse le strade e vuotasse i cassonetti, perché l’unico vero motivo per cui gli animali selvatici escono dal loro habitat naturale è la ricerca di cibo”.

Giulia Vincenzi

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