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Massimo Lugli, per lui la nera è letteratura, non solo notizia

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Leggenda del giornalismo romano, ex inviato di La Repubblica e autore di numerosi libri di successo, Massimo Lugli scrive di cronaca nera e criminalità romana da più di 40 anni. Noi ce li siamo fatti raccontare.

“Per poter scrivere una storia devi starci dentro, devi sapere di cosa stai parlando, cosa stai descrivendo”. Questa frase racchiude tutto il mondo di Massimo Lugli. Classe ’55, residente da sempre a Collina Fleming, appassionato di arti marziali e profondo esperto del sottobosco di Roma, delle sue ombre violente e malavitose. “Ho imparato a sparare perché dovevo capire cosa significava avere una pistola in mano, oltre a sapere come parla un poliziotto o come agisce un delinquente”.

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La nera

A 19 anni Lugli già si precipitava sul luogo del crimine come volontario-praticante di Paese Sera. Era il 1975, l’anno in cui venne assassinato Pasolini; poi sono arrivati gli anni delle brigate rosse e della banda della Magliana. A 30 entrò nella redazione de La Repubblica come inviato speciale di nera.

“Quando avveniva un attentato – ci spiega – dovevi correre e raccontare cosa vedevi, la mia voce era l’unica fonte che il giornale aveva per poter creare l’articolo. Non c’era tempo per pensare alla paura”.

Un giornalismo di strada, dove la notizia andava cacciata e conquistata. “Dovevi aver il pelo sullo stomaco, – continua Lugli – perché dovevi vedere i morti e descriverli, andare a casa di terroristi e delinquenti; venivi minacciato e rischiavi di prendere botte. Il mio nome fu trovato in un covo delle brigate rosse con la mia scheda descrittiva, come per altri. Sapevi di essere sorvegliato da un commando armato, avevo paura ma non mi sono mai sentito veramente in pericolo. Inoltre, era fondamentale creare un legame di fiducia con le fonti.”.

“Oggi tutto questo è cambiato, non si corre più perché si usano i droni e non si scrive più con penna e macchina da scrivere. Quel che è rimasto uguale è la creatività, la tenacia, la voglia di sentirsi dentro la notizia e la necessaria competizione”.

Per lui la nera è letteratura, non solo notizia. “Devi saper scrivere, perché ogni pezzo che scrivi è intriso di emozione, dalle tue parole escono lacrime e sangue”.

Marco Corvino sono io

Marco Corvino è il protagonista di molti romanzi di Massimo Lugli, nonché il suo alter ego. Lo incontriamo prima come giovane giornalista praticante in “Il Carezzevole”, per poi seguirlo nella sua crescita professionale da “L’Adepto” fino a “Nelmondodimezzo. Il romanzo di Mafia Capitale” – per fare alcuni esempi – e ritrovarlo di nuovo giovane in “Il giallo Pasolini. Il romanzo di un delitto italiano”.

“Marco Corvino sono io, è una catarsi. Ho raccolto gli esordi e tutti i passi che ho fatto come giornalista – e uomo ndr -: il capo cronista carogna, i litigi con i colleghi, le inchieste, gli amori. Tutta la parte emozionale è vera, dalla professione alla passione per le arti marziali e le pistole, finanche alla figura dell’ex moglie che ricorda la mia. Il cambiamento di Marco è il mio cambiamento, ma non so se scriverò di Marco Corvino pensionato”.

Di questo filone, “Il guardiano” è il libro a cui si sente più legato. “Perché è stata l’occasione per raccontare nel dettaglio il mondo delle arti marziali. La trama si basa su una leggenda metropolitana secondo cui una scuola di arti marziali giapponesi diventò una sorta di setta; so che è esistita a Roma per via di alcuni racconti di persone che conosco”.

Il malaffare a Roma Nord

Roma Nord è stata spesso scenario del malaffare e della cosiddetta mafia capitale: dal sequestro, nel 2010, del magazzino di Gennaro Mokbel in via Bevagna, al Fleming, dove era custodito un tesoro in opere d’arte frutto di attività di riciclaggio transazionale, fino al mondo di mezzo di Massimo Carminati con il suo “ufficio” in un benzinaio di corso Francia e il suo salotto nell’elegante bar di Vigna Clara. Massimo Lugli li ha riportati nei suoi articoli e, soprattutto, nei suoi libri.

“Roma Nord è stata il regno di Carminati – ci spiega Massimo Lugli – viveva a Formello, quindi queste zone erano luoghi comodi per lui. Anche se non credo sia corretto chiamarla mafia, la definirei corruzione. A ogni modo, non è una malavita invadente, non viviamo in una realtà dove il boss che vive nel quartiere detta legge. Il fatto che ci sia mafia non vuol dire che influisca sul tessuto socioeconomico, anzi che ci vivano è una garanzia contro la piccola criminalità. I Casamonica, invece, sono invadenti, aggressivi e violenti, la loro presenza si sente”.

“Abbiamo avuto sicuramente una serie di problemi, ma questa è una zona sana e non ci sono evidenze di riciclaggio. Quel che c’è sicuramente è lo spaccio, di erba e di cocaina, come succede un po’ ovunque, e si verificano molti furti, che ci costringono a vivere in una sorta di fortino”.

Nel parlare di questi quartieri, e in particolare del Fleming, Lugli tira le orecchie all’amministrazione capitolina. “Una gestione indignitosa. C’è un fenomeno che si chiama the broken window, per il quale il degrado porta degrado e villania, questo è il problema di questa zona, che ho visto negli anni degradarsi e perdere valore: non ci sono servizi né aree verdi curate, i marciapiedi sono pieni di feci di cani, i cassonetti stracolmi, le macchine stanno sempre in doppia fila e i vigili sono completamente assenti”.

Lo scribacchino e lo sbirro

Sono bastati uno sguardo e una battuta per far diventare amici uno scribacchino e uno sbirro, come si canzonano a vicenda. Lo sbirro è Antonio Del Greco, direttore operativo Italpol ed ex dirigente della sezione Omicidi della squadra mobile di Roma. “Ci siamo conosciuti lavorando e ci siamo stati subito simpatici, raccontando barzellette e prendendoci poco sul serio”, racconta sorridendo Massimo Lugli.

Il giornalista e l’ex poliziotto hanno scritto a quattro mani sei thriller di successo, come “Città a mano armata”, “Inferno Capitale” e “Il Canaro della Magliana”, basato sulla vicenda che ha ispirato anche il famoso e premiato film Dogman di Matteo Garrone .

Storie vere, seguite da vicino tramite le loro inchieste e trasformate in romanzo. “Insieme decidiamo la trama, attraverso lunghe chiacchierate seduti al tavolo di un bar o a quello di casa. Il nostro sguardo è diverso: quello di un poliziotto è spaventosamente legato ai fatti, mentre lo scrittore tende a romanzare. Unisco la sua competenza e fantasia e ci metto una bella cornice letteraria”.

Due libri in cantiere

Uno scrittore ha sempre un libro in cantiere e Lugli ci confessa di averne due: “A breve uscirà “L’ultimo guerriero”, un romanzo distopico, che racconta un futuro in cui la pandemia, l’inquinamento, le disuguaglianze sociali portano a vivere in uno stato in cui si combatte con l’ansia, a eccezione di una piccola parte della società che vive in gradevoli case blindate, e nel mentre c’è una coppia che si ritroverà”.

Il secondo non ha ancora un titolo, ma racconta la vera storia di Antonio D’Inzillo, il killer della Magliana che fu arrestato a 15 anni perché sparò a un passante scambiato per l’avvocato Giorgio Arcangeli.

Un autore dentro la sua storia, un giornalista dentro le sue inchieste, uno scrittore dentro i suoi oltre 25 romanzi, un uomo dentro le sue passioni, con tenacia, disciplina e un po’ di ironia: questo è Massimo Lugli.

Giulia Vincenzi

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