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Livio Berruti, sessant’anni fa l’oro olimpico 

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Galvanica Bruni

Roma, Olimpiade 1960. Gli uccelli in volo mentre la curva dei duecento metri comincia a far intravedere un altro volo, quello di un uomo. Il volo di Livio Berruti, che sta per diventare campione olimpico, qualche secondo ancora ed entrerà nella storia dei Giochi.

Tre settembre 1960, è una delle imprese più importanti dello sport italiano. In uno stadio Olimpico appena nato lui, studente di chimica, giovanotto piemontese che gareggia con gli occhiali scuri, corre quei duecento metri con una maestosità straordinariamente unica e taglia il traguardo per primo.

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Tempo 20 secondi e cinque centesimi, un attimo dopo arriva lo statunitense Les Carney.  Medaglia d’oro e primato del mondo, il secondo record neanche due ore dopo averne stabilito un altro, in semifinale.

Medaglia d’oro nei 200 metri, ovvero il primo europeo, il primo mediterraneo dopo dieci americani e due canadesi, il primo italiano. Dopo di lui, vent’anni più tardi, l’impresa riuscirà a un altro azzurro, Pietro Mennea.

In “Livio Berruti, il romanzo di un campione e del suo tempo” , libro scritto da Claudio Gregori, lo stesso Berruti sintetizza il suo momento di gloria:  “Avevo capito che la mia forza era la curva. La leggerezza e la scioltezza mi permettevano di affrontarla meglio di chiunque altro. Opposto a un atleta di potenza come Norton potevo vincere obbligandolo a seguirmi e facendolo imballare nel tratto iniziale”. Così fece. Così Livio vinse.

Massimiliano Morelli

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