Home ATTUALITÀ Bobby Solo… e se cantasse alla Torretta Valadier?

    Bobby Solo… e se cantasse alla Torretta Valadier?

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    Ci incontriamo al ristorante Apollo di Carpacco, un paesotto alle porte di Udine. Scrivo paesotto per evitare il laconico e stucchevole “ridente paesino”, termine del quale si abusa sovente a sproposito.

    Ci incontriamo, è inteso Bobby Solo e il sottoscritto, lui ha una serata in ballo, io quella serata la devo condurre. Me lo presentano e la prima cosa che mi dice è “fratello”, quasi a sintetizzare il personaggio di un mondo dello spettacolo spesso lontano dai comuni mortali e che invece cerca di avvicinare due poli opposti.

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    Ci troveremo di li a poco, nessuna domanda concordata, l’intervista sarà amabile, e neanche interviene il suo manager Stefano Nardini per dire cosa chiedere.

    Per la cronaca Nardini ha una pazza idea, sogna di portare Bobby Solo e la sua band alla Torretta Valadier di Ponte Milvio per fare un concerto gratuito, la musica dall’alto e la platea sotto, la qual cosa in periodo di distanziamento sociale neanche è malvagia.

    Bobby, che in realtà si chiama Roberto Satti, tiene banco un’ora e mezza ripercorrendo in musica suoi successi e sinfonie storiche del suo idolo, Elvis Presley. Gli astanti sono rapiti, il pubblico è eterogeneo e i telefonini pronti a riprendere gli uomini sul palco non si contano.

    Lui e io, romani che s’incontrano in Friuli, terra delle sue origini, al cospetto di gente del posto che sorride a quattro ganasce quando parliamo in romanesco. Lui racconta un paio di barzellette, gli faccio da spalla che diamo l’impressione di essere nati per fare qualcosa fra l’altro che neanche abbiamo provato.

    Spiega l’origine del nome, raccontando di una segretaria – fra l’altro diventata sua amica – che capisce al telefono che quel cantante si sarebbe dovuto chiamare “Bobby Solo“, e non “solamente Bobby“. Il pubblico si alza in piedi per ballare le sue suonate, con buona pace dei settantacinque anni che il “nostro” indossa in maniera sontuosa, giusto il capello bianco lo divide dal ricordo dell’eterno ragazzo con la zazzera nera come la pece.

    Ricorda il suo amico Little Tony, e sottolinea come il fratello del suo compianto amico suonasse per lui. “Era un ottimo chitarrista” spiega non prima di aggiungere, in maniera ironica che “suonava per me perchè gli davo il doppio di quanto gli avrebbe dato il fratello“.

    I successi arrivano di fila, come le ciliege, uno tira l’altro, il pubblico gli chiede a gran voce “Zingara“, prima di cantarla sottolinea che la interpretò affiancato “alla voce straordinaria di Iva Zanicchi, e vincemmo il festival di Sanremo“.

    Lo spettacolo è sul palco, verrebbe da pensare, ma poi a fine serata ci si accorge che di spettacolo ce ne sta un altro, ed è quello di chi gli chiede di scattare il classico selfie. Dice sì a tutti e si diverte come un ragazzino, specie con le spettatrici più anziane.

    Quando presenta la sua band, per i ringraziamenti di rito a chi è con lui sul palco a fare musica spiega in maniera ironica che il più grande sacrificio per lui è portato avanti con il suo collaboratore più anziano, che lo segue come un’ombra da un quarto di secolo. Dice “io, romanista, ho lui in squadra, che è laziale“. Il pubblico applaude anche il tastierista biancoceleste, ma qui è diverso, non c’è campanilismo calcistico, chi è in platea vuole ascoltare buona musica dal vivo.

    Fra i ricordi raccontati quello dei RoBo.T., il trio che formò insieme a Little Tony e Rosanna Fratello in piena atmosfera revival. Canzone più applaudita? Difficile dirlo, ma qui c’è da aggiungere che quando ha accennato le prime note di “Domenica d’agosto” si è alzata in piedi perfino una ottuagenaria nonnina per ballare un successo che ancora oggi resta tale.

    Mettetela come vi pare, i tempi sono cambiati, oggi esistono meno refrain e la musica punta sul “trap” e stili all’avanguardia. Ma quando si ascoltano dal vivo “Una lacrima sul viso” o “Marina” ce n’è per nessuno.

    Massimiliano Morelli

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