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Là dove Tevere e mare sono tutt’uno

fiumicino
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Tevere Nostrum” è un grande volume con oltre 700 fotografie curato da Erasmo De Angelis, Segretario dell’Autorità di Bacino dell’Italia Centrale; il libro è stato recentemente presentato al Circolo Canottieri Tevere Remo dove l’interesse si è concentrato sulla suggestiva proposta di trasformare il bacino del Tevere nel 26° parco naturale italiano.

Una proposta allettante ma che fa il seguito ad un’infinità di proposte e progetti mai andati in porto vuoi per la mancanza di risorse che per una precisa volontà di non occuparsi del terzo fiume d’Italia il cui corso interessa quattro regioni e 56 comuni.

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Peraltro va detto che non sempre i parchi sono la soluzione ai tanti problemi, anzi in assenza di adeguate risorse economiche a volte si trasformano in un complicato meccanismo burocratico che rende difficile l’esistenza a chi vi risiede.

Nel corso della presentazione del libro i responsabili di ACEA hanno comunicato che la qualità delle acque del Tevere negli ultimi anni è assai migliorata e questo grazie ai numerosi interventi, alcuni anche corposi, eseguiti lungo il corso del fiume.

Non abbiamo alcun motivo per dubitare dei dati forniti da ACEA anche se è sufficiente affacciarsi da un qualsiasi ponte di Roma o camminare lungo le sponde per avere una impressione assai diversa circa la qualità delle acque. Non così però se si va alla foce dove le acque, forse per l’assenza di piogge recenti, sembrano più verdi e più pulite.

Il desiderio di ammirare il Tevere alla foce ci è venuto leggendo lo straordinario libro di Marzio MianTevere Controcorrente” (Ed. Neri Pozza, 283 pag., 14,50 Euro); Mian è uno scrittore e giornalista che ama viaggiare lungo i grandi fiumi e che insieme ad altri colleghi ha dato il via al progetto “The river journal”.

“Controcorrente” prende il via  dalla foce del Tevere, il “culo di Roma” come lo chiama Fabio il cuoco del celebre ristorante “Lilly alla fiumara”, per poi risalire verso la sorgente; un lungo racconto fatto di personaggi e soprattutto di storia nello stile erudito quanto impertinente di Mian. I fiumi per Mian sono una metafora dell’esistenza umana: nascono, vivono la loro vita a volte in maniera placida e altre volte in modi travagliato per poi morire, o rinascere, al mare.

Sarà per la bella giornata di sole, per l’assenza di vento o per la rete “acchiappa-plastica”, fatto sta che il Tevere alla foce ci è sembrato bello e finanche pulito come se nascesse proprio dove va a finire.

Abbiamo raggiunto Fiumicino percorrendo il GRA e poi il tratto di superstrada che porta all’aeroporto internazionale; il terreno pianeggiante e le casette basse fanno pensare al nord dell’Italia.

Superata una affollata rotonda ci siamo trovati al canale di Fiumicino, il ramo di fiume che genera l’Isola Sacra; il centro della cittadina è di un ordine incredibile. Pulito, con le aiuole curate e neppure un graffito sui muri. La lunga fila di ristoranti che offrono antipasti di mare e linguine allo scoglio confermano la vocazione turistica di questo piacevole borgo che nella realtà borgo non lo è più.

Sulle banchine del porto-canale i pescatori messi ad asciugare le reti riparano con arte antica gli innumerevoli strappi parlando dialetti sconosciuti; i volti abbronzati e solcati di rughe rendono tutti uguali senza per questo scomodare l’inclusione.

Il mare alla fine del canale, solcato da barchette e yacht, è incredibilmente calmo e fa pensare ad un grande lago. Lasciamo Fiumicino diretti al Ponte della Scafa che ci permetterà di scavalcare la “fiumara grande”.

Lungo la via del Faro raccattiamo un anziano autostoppista che per un breve tratto ci farà da guida; il panorama è deprimente là dove doveva sorgere il nuovo porto su cui la mala aveva posato lo sguardo. Ci ritroviamo in breve in una disordinata borgata fatta di casette, passiamo davanti a “Lilly alla fiumara” e scarichiamo il nostro ospite davanti ad una modesta abitazione. Prima di lasciarci l’anziano, con un misto di orgoglio e di pudore,  ci tiene a precisare che le case sono abusive, non condonate ma regolarmente registrate al catasto.

Passato il ponte seguiamo l’alto argine che nasconde alla vista il fiume e incontriamo prima la Torre Boacciana, vecchio faro, e poi la Torre San Michele, pregiata opera difensiva che indifferente al tempo, possente, se ne sta piantata nel terreno a pochi passi dall’argine. Disegnata da Michelangelo che oltre ad essere artista si intendeva di guerra, oggi dopo essere stata restaurata e “finestrata” sembra sia stata affidata ad una onlus che la impiegherà per le sue attività.

Ora siamo nei pressi del vecchio “idroscalo” dove atterravano e decollavano gli idrovolanti che fecero celebre l’Italia nel mondo mandando soprattutto in brodo di giuggiole gli americani che a Italo Balbo concessero l’onore di sfilare sula 5° Strada; oggi invece delle ali ci sono scafi e vele e una piccola laguna con il monumento a Pier Paolo Pasolini e una oasi faunistica della LIPU.

Avviandoci sul litorale di Ostia la spiaggia si fa più ampia anche se ci sembra non così ampia come nelle immagini in bianco e nero dei tanti film estivi con Maurizio Arena e Franco Interlenghi; d’altra parte il Tevere imbrigliato e prosciugato, come tutti i fiumi posti in cattività, non porta più detriti al mare.

Al margine della spiaggia solo una lunga e ininterrotta catena di stabilimenti, ristoranti, bar e pizzerie che lasciano intravedere a fatica il mare.

In lontananza scorgiamo, prima della pineta, la sagoma del palazzetto dedicato agli sport da combattimento, una specie di grande sombrero di colore verde adagiato sul terreno; siamo alla periferia di Ostia e alla fine del nostro breve viaggio.

Prima di lasciare il litorale e imboccare il viale alberato che ci porterà fuori da Ostia in direzione Roma ci fermiamo un istante per leggere ancora una volta la poesia di T. Eliot che apre il libro di Mian.
Non so gran che degli dei; ma penso che il fiume sia un forte dio bruno-scontroso, indomito e intrattabile, paziente…il dio bruno è pressoché dimenticato dagli abitanti delle città ma sempre tuttavia implacabile conservando le sue stagioni e la sua furia, distruttore ricorda agli uomini ciò che preferiscono dimenticare”.

Francesco Gargaglia

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