Per la rubrica “letti per voi” vi segnaliamo il libro del giornalista e fotografo Filippo Valoti Alebardi “Vite siberiane” (Ed. Rizzoli, 260 pag., 18 Euro); un libro che piacerà molto a chi ama i viaggi e l’avventura e che invece metterà il gelo addosso a chi ama il sole e le temperature torride.
“Vite siberiane” è la narrazione avvincente di un viaggio in quella che è la regione fredda più grande del pianeta, la Siberia, dove le temperature in inverno raggiungono i meno 60 gradi e l’estate salgono invece a più quaranta; un viaggio alla ricerca di città scomparse e di villaggi perduti nel nulla.
Francesco Valoti, che è stato corrispondente per la TASS, è figlio di un bergamasco che si è trasferito molti anni fa nella ex Unione Sovietica; vive e lavora a Mosca e dopo una serie di reportage sulla Siberia è voluto tornare in quei luoghi per approfondire la sua ricerca e parlare con quelli che sono gli ultimi sopravvissuti di un’era di grande prosperità.
Da questa esperienza molto dura e dal suo appoggio alla spedizione alpinistica di Tommaso Moro e Tamara Lunger è nato “Vite siberiane”, un libro avvincente che racconta di un mondo in via di estinzione.
Il cinema (“Dersu Uzala” di Akira Kurosawa e “Way Back” con Colin Farrel e Ed Harris) e la letteratura (ad esempio “Robinson in Siberia” di Tivadar Soros) si sono spesso occupati di questa inospitale e gelida regione ma il libro di Valoti è una testimonianza drammatica e recente su quelli che sono i “relitti” del grande sfruttamento minerario di questo paese.
Iniziato con l’impiego dei prigionieri politici detenuti nei “gulag” e proseguito con la costruzione di grandi città destinate ad ospitare migliaia di operai impegnati nell’estrazione di materiale radioattivo e dell’oro.
A partire dagli anni ’90 la maggior parte di queste città sono state abbandonate e oggi rimangono in quei luoghi solo sparuti gruppi di sopravvissuti: stradini, “predatori” e allevatori di renne.
Un intero mondo andato in rovina e di cui restano le rovine dei grandi edifici in stile sovietico collegati da autostrade di ghiaccio che corrono sui fiumi gelati.
“Vite siberiane” è la cronaca dolorosa ma avvincente e avventurosa di questa ricerca impossibile condotta in una terra pericolosa con temperature che non salgono mai oltre -30°: un libro che come detto mette il gelo addosso ma che si legge d’un fiato.
Francesco Gargaglia
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