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    I Pink Floyd Legend  trionfano all’Auditorium

    pink floyd legend
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    Quattordici anni di attività, spettacoli e concerti sold-out nelle location più prestigiose d’Italia, quasi centomila spettatori all’attivo: queste le credenziali che hanno esibito ieri sera, giovedì 1 agosto, i Pink Floyd Legend, prima di mettere la propria firma sul tabellone del Roma Summer Fest, giunto per quest’edizione quasi alle sue note finali.

    La band italiana, che si dedica con attenzione e rigore alla carriera musicale dei Pink Floyd, ha proposto al pubblico dell’Auditorium Parco della Musica uno show di due ore e venti minuti (più un breve intervallo) in cui hanno trovato spazio l’esecuzione integrale della lunga suite “Atom Heart Mother” e molti altri brani estrapolati dalla discografia del gruppo britannico.

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    Alfie, il maiale gonfiabile di “Animals”, l’insegnante di “The Wall”, l’aereo che si schianta sul palco, i video proiettati sul grande schermo circolare: dagli strumenti d’epoca al disegno luci, dalla scenografia fino agli effetti laser, tutto ha “congiurato” affinché in Cavea si vivesse un’autentica, suggestiva ed intensa “Pink Floyd Experience”.

    pink floyd legend Lo show

    Prima e dopo l’esecuzione integrale di “Atom Heart Mother”, di cui parleremo fra poco, i Pink Floyd Legend hanno regalato agli spettatori dell’Auditorium un lungo, puntuale ed articolato excursus all’interno della produzione floydiana.

    In scaletta hanno trovato posto pietre angolari (Wish You Were Here, Time, Another Brick in The Wall, Comfortably Numb, solo per citarne alcune) e perle rare come Southampton Dock (da “The Final Cut”, probabilmente l’album più sottovalutato dei Pink Floyd – intensissima l’interpretazione di Fabio Castaldi) e Summer ’68 (uno stupendo omaggio al tastierista Richard Wright, che la compose, e un’eccellente resa da parte del suo omologo Simone Temporali).

    Oltre a capisaldi del calibro di Shine On You Crazy Diamond (impeccabile il chitarrista Alessandro Errichetti), The Great Gig in The Sky (strepitose le tre vocalists Martina Pelosi, Sonia Russino e Giorgia Zaccagni) e Brain Damage (stupefacente!), la band ha declinato più volte le angosciose introspezioni e il progressivo isolamento di “The Wall”, snocciolando nell’arco del concerto pezzi come Mother, Nobody Home, Bring the Boys Back Home e Run Like Hell.

    Più di un greatest hits, la scelta delle canzoni rivela l’intento dei Pink Floyd Legend (d’ora in avanti, solo PFL) di rappresentare al pubblico tutte le tematiche più importanti portate avanti nell’arco di quasi tre lustri dal gruppo britannico: evidenziare l’arroganza del potere e dei potenti, criticare ferocemente il capitalismo, denunciare il carattere distruttivo della guerra, sostenere un radicale antimilitarismo, esplorare le strade oscure che portano all’isolamento e all’autodistruzione.

    pinkfloydlegendAtom Heart Mother

    Punta di diamante dello spettacolo è stata l’esecuzione integrale della suite “Atom Heart Mother”, il poema sinfonico incluso nell’omonimo album pubblicato nel 1970.  Come ebbe modo di dire il compositore Ron Geesin a VignaClaraBlog.it qualche anno fa (leggi qui), si trattò di una vera e propria collaborazione tra lui e i Pink Floyd: “a livello compositivo i ruoli sono stati paritari. Il gruppo mi ha fornito il contesto di base ed io ho scritto e vi ho inserito tutte le melodie e gli arrangiamenti per gli ottoni, il coro e il violoncello” .

    Così, avvalendosi della partitura originale e della benedizione dello stesso Geesin, con centotrenta persone sul palco e l’iconica mucca sullo schermo circolare, ecco le note epiche dal retrogusto western della lunga suite, ecco la sua struttura semplice ed articolata nello stesso tempo, ecco “il dialogo fra stili musicali differenti che talvolta collidono e si contrappongono e talvolta si fondono insieme”, ecco il pregevole connubio fra musica rock e musica classica, un innesto perfettamente riuscito sul disco e potente nella riproposizione live di questa sera.

    In scena, insieme ai PFL, ci sono il Legend Choir, gli Ottonidautore, il Quartetto d’archi (tutto al femminile) Sharereh e il maestro Giovanni Cernicchiaro che, “cresciuto a pane, Ligeti e Pink Floyd”, dirige tutti quanti con precisione, trasporto e fermezza.

    Come disse una volta lo stesso maestro ai nostri microfoni (leggi qui), “la presenza del coro e degli ottoni trasmette fin da subito un messaggio chiaro: ehi, ragazzi, qui succede qualcosa di strano! La nascita dell’universo? Uno strano rituale? La cavalcata dell’eroe? Forse un po’ di tutto questo”. Il momento – che dura più di venti minuti – è magnifico, poderoso, è quasi un mistero svelato, trasmette e moltiplica impulsi in tutte le direzioni.

    Rigore ed attenzione: ecco le ragioni per le quali i PFL sono gli unici ad eseguire questa composizione nella sua interezza (la prima volta avvenne al Teatro Olimpico nel 2012,  leggi qui). Applausi, applausi per tutti.

    pink-floyd-legendUna promessa mantenuta e un nuovo progetto

    Quando lo show finisce e in Cavea si riaccendono le luci, abbiamo  netta la sensazione che una promessa è stata (ancora una volta) mantenuta: “vorrei proiettare il pubblico in un vero show dove si possa pensare di riassaporare gli spettacoli dei Pink Floyd”, ci disse una volta Fabio Castaldi, voce e basso dei PFL.

    Con un’agenda fitta di impegni in tutta la penisola, i PFL torneranno dalle nostre parti a marzo, questa volta al Teatro Olimpico, con “Shine – Pink Floyd Moon” (leggi qui), un nuovo crossover fra rock e musica classica, uno spettacolo che vedrà la band insieme al corpo di ballo della compagnia di Daniele Cipriani per “un viaggio nel mondo della luna”, luogo del senno smarrito e ritrovato in cui scintillano la vita, la poesia e la fantasia.

    Giovanni Berti

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