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La chiesa sconsacrata di S.Francesco a Torrevecchia

chiesa-sconsacrata torrevecchia
Lettere al direttore

Alla ricerca di posti insoliti e misteriosi questa volta siamo finiti a Torrevecchia per trovare la piccola chiesa sconsacrata di S.Francesco.

In Italia le chiese sconsacrate sono centinaia (il record va a Napoli con 132) ma satanismo e messe nere non c’entrano niente; tantissime chiese sono state chiuse a causa dell’assenza di fedeli o di ministri del culto e con il tempo poi sono state abbandonate o cedute. Oggi, molti di questi luoghi sono sale di lettura, ristoranti, abitazioni e in qualche caso perfino discoteche. Quella di Torrevecchia, in realtà in Via dei Casali di Torrevecchia, è una piccola chiesetta inaugurata nel 1950; raggiungerla è molto facile.

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Si percorre l’interminabile Via di Torrevecchia in direzione  Boccea e quasi alla fine, subito dopo un incrocio con semaforo, si gira a destra; all’inizio la strada è circondata da alti palazzi, poi da basse villette in cortina e poi… dal niente.

Sembra quasi di essere sul set di un film di Hitchcock quando, superata una linea immaginaria, improvvisamente tutto cambia e ci si ritrova in un altro mondo; è proprio quello che succede in Via dei Casali di Torrevecchia dove improvvisamente la città si trasforma in campagna, con vecchi casali, pecore, cavalli e galline, campi coltivati e macchine agricole.

casali torrevecchiaIl mondo della città con il solito traffico impazzito sparisce di colpo e ti ritrovi sotto il naso orti e campi di insalata e a darti il benvenuto è un grosso molosso tigrato.

La chiesetta sconsacrata, con il suo piccolo portico a tre archi, è proprio là e anche se non ha più croce né campane non è affatto diversa da quella vecchia foto del 1950 scattata in occasione della sua inaugurazione. Il portone della chiesa è sbarrato da un grosso catenaccio e tutto intorno le tracce di un gran disordine come se fino ad un istante prima fosse stata abitata.

chiesa-sconsacrata torrevecchia 2Non siamo riusciti a scovare informazioni sulla chiesa e allora diamo il via a quella attività che i militari chiamano “humint” (human-intelligence); il contatto è  il signor Francesco, il proprietario dell’azienda agricola di 600 ettari che sopravvive miracolosamente in questo angolo della città dove la densità abitativa è quasi come quella della “striscia di Gaza”.

Francesco è un calabrese che da 50 anni vive in questa antica azienda dove all’interno di uno dei tanti casali ha ricavato una bottega per vendere i prodotti del suo lavoro (soprattutto ortaggi): ci tiene a dire che ama la natura e gli animali e ci mostra le bestie rinchiuse nei recinti tra cui un puledro con gli occhi dal colore lunare.

puledro casali Chiediamo a lui della chiesa di San Francesco e così veniamo a sapere che venne fatta costruire dopo la fine della guerra da una nobildonna in ricordo del figlio caduto nelle Guerre d’Africa; la chiesa priva del suo ministro non ebbe vita lunga. Chiusa e non più utilizzata fu occupata da una famiglia che vi trascorse alcuni anni e solo recentemente sembra sia stata acquistata da un privato. Questo almeno è quello che ci ha raccontato il signor Francesco.

Ci mostra anche la vecchia torre che avrebbe dato il nome alla strada; in realtà si tratta di un piccolo e malandato casale risalente sembra al 1500 costituito da due parti (in effetti una linea di frattura è ben visibile): la torre del 1300 e una appendice aggiunta successivamente.

Come al solito si finisce a parlare di Roma, di questa grande città con i suoi problemi irrisolti e le grandi contraddizioni, come quegli alti palazzoni colorati di blu e di giallo che giganteggiano sulla chiesetta.

Per raggiungerla siamo stati  incolonnati con l’auto almeno un’ora anche se poi ti viene offerto su un piatto d’argento uno spicchio di arcaica campagna con torri centenarie, casali diruti e una chiesa sconsacrata che evoca il dolore di una madre.

chiesa-sconsacrata torrevecchia 3Lasciamo con una forte stretta di mano il Signor Francesco sotto lo sguardo vigile del molosso tigrato; azzardiamo anche una carezza prima di infilarci di nuovo in quel serpentone di auto.

Francesco Gargaglia

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