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    Le Luci della Centrale Elettrica all’Auditorium

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    Galvanica Bruni

    L’amarezza per la fine di un’avventura meravigliosa e la gioia per un nuovo inizio. Duplice è stata la sensazione nell’assistere all’ultimo tour di Vasco Brondi sotto le spoglie de Le Luci Della Centrale Elettrica che venerdì 7 dicembre 2018 ha fatto tappa all’Auditorium per la sua seconda data romana, dopo quella dello scorso 23 novembre.

    Uno spettacolo concepito come chiosa della carriera del cantautore veronese di nascita ma ferrarese d’adozione con l’alias grazie al quale l’abbiamo conosciuto e amato i questi ultimi undici anni.

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    E’ stato bello finchè è durato, ma il futuro ha sicuramente in serbo qualcosa, se è vero che i titoli di coda fatti scendere da Brondi sulla sigla che inventò quasi per caso, pare essere intesa dallo stesso artista solo come una tappa di passaggio nel suo percorso. Un po’ come se uno fosse stanco del suo nome e decidesse di andarselo a cambiare, visto che in realtà la band da lui creata è sempre stata del tipo “one-man”.

    Se il cantautorato italiano è tornato in auge nel nuovo millennio è stato in buona parte grazie a gente come lui e Brunori Sas, che hanno saputo reinterpretare la lezione dei vari Dalla e De Gregori alla luce di un nuovo modo di intendere la materia.

    E se Brunori l’ha fatto con maggiore ossequio alle italiche radici, Brondi ha rappresentato l’anima più global dell’odierna canzone nostrana, quella che guarda ai suoni dal mondo senza la psicosi dell’”altro”, del diverso, ma anzi con la voglia di scoprire e lasciarsi contaminare.

    Nella serata alla Sala Sinopoli abbiamo rivissuto due lustri intensi e bellissimi in cui il progetto made in Brondi ci ha regalato la magia di un songwriting vecchia maniera ma aggiornato all’oggi, con particolare cura alla componente musicale data da scrittura, suoni e arrangiamenti.

    Sono sempre i testi a risaltare ma su un tappeto sonoro attuale, che grazie al sorprendente e per certi versi paradossale – per un genere storicamente roots-oriented caratterizzato da un rigore stilistico che a volte è più zavorra che elemento propulsivo – afflato mondialista che mescola est e ovest, rock e pop, ritmi afro e canti arabi.

    Un repertorio fissato su supporto fisico nell’ultimo album antologico dato alle stampe a settembre dal moniker, “2008/2018, tra la Via Emilia e la Via Lattea”, doppia raccolta contenente sul primo disco una manciata di highlights del catalogo di casa Brondi e sul secondo alcune versioni delle stesse canzoni registrare dal vivo in studio: un po’ l’anticipazione di quello che l’ensemble di sei elementi, tra cui il violinista Rodrigo D’Erasmo (Afterhours, Calibro 35), avrebbe poi presentato nel tour che si concluderà a gennaio.

    Due ore e passa di spettacolo, quello di ieri al Parco della Musica, una carrellata di brani lungo i cinque album in studio dati alle stampe dalla formazione emiliana dal 2007, da  “Macbeth Nella Nebbia” a “Ti Vendi Bene Tu” a “A Forma di Fulmine”, fino al dittico “Stelle Marine”/”Chakra” con tanto di ballerina sul palco.

    Il tutto caratterizzato da frequenti intermezzi in cui il composer ha raccontato aneddoti di una carriera giunta ad un primo bilancio ma soprattutto da alcune letture di poesie. Sì perché altro elemento caratterizzante del nuovo Vasco nazionale è sempre stato il saper mischiare cultura “alta” e “bassa”, in un tripudio di rimandi e riferimenti che spaziano da Bolano a Majakóvskij a Shakespeare fino ai CCCP (dei quali ha anche proposto la cover di “Amandoti”).

    Toccante anche il momento in cui il Nostro ha aperto una copia del booklet della succitata antologia appena pubblicata per leggervi uno stralcio del testo da lui scritto e recante alcuni ricordi dei momenti più belli (finora) della sua parabola in musica.

    Momenti semplici, come il guardare l’orizzonte da una chiatta sul fiume o un rientro in albergo di notte, dopo un concerto, con lui e la band completamente ubriachi. O momenti più illustri, come gli incontri con Battiato, Mina e De Gregori, e i plausi da questi ricevuti per la sua musica.

    E dopo due ore di performance appassionata, il gruppo si è accomiatato da un pubblico invero entusiasta suonando l’ultimo brano, Questo Scontro Tranquillo, a microfoni staccati e con tutti e sei i componenti seduti a bordo palco.

    Una bella fine, ma appunto una fine per modo di dire, il tempo a venire riserva sempre sorprese e non è detto che Vasco Brondi non decida di andare avanti presentandosi da qui in poi soltanto col suo nome invece che celarsi dietro l’accecante bagliore delle luci di una centrale elettrica.
    Non avremo il controllo su quando nasciamo e quando moriamo ma abbiamo il controllo sulle varie fasi della nostra vita, che possiamo – appunto – accendere e spegnere come con un interruttore. On. Off.

    Valerio Di Marco

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