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Paolo Benvegnù, respirando aria pura all’Auditorium

Paolo-Benvegnù
Duca Gioielli

Paolo Benvegnù è un signore della canzone italiana, e probabilmente la sua carriera da solista supera in qualità il pur eccellente repertorio della sua band di provenienza, gli Scisma, che egli stesso fondò e guidò da metà anni Novanta fino alla scissione (verrebbe facile dire…scisma) avvenuta all’inizio dello scorso decennio e comunque ricomposta tre anni fa.

Con all’attivo 5 dischi realizzati in solitaria e una reputazione e un rispetto da parte del pubblico conquistati sul campo, venerdì 9 marzo il cantautore milanese sarà di scena all’Auditorium per presentare lo spettacolo-concerto “H3+“, che prende titolo e mosse dal suo ultimo album d’inediti pubblicato lo scorso anno.

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Lo show teatrale è una sorta di viaggio metafisico in una terra distrutta e rinata sotto forma di pioggia, e riossigenata dalla comparsa del mondo vegetale, raccontato dalla voce narrante dell’ “homo selvaticus”, un ipotetico essere senza volto capace di comparire e scomparire, esistere e morire al tempo stesso, attraversare epoche intere in una sola vita.

Ciò che resta ai posteri sono le sue parole impresse sulle cassette di un vecchio registratore. Ad accompagnare il tutto, le canzoni dell’ultimo LP del cinquantatreenne artista meneghino, episodio finale della cosiddetta trilogia con l’H completata dai precedenti “Earth Hotel” e “Hermann“.

Il verde, l’ossigeno, la dimensione bucolica: si potrebbe vedere la faccenda da un’ottica ecologista, tanto più che in questa campagna elettorale se ne sta parlando poco. Anche se va detto che la politica è sempre interessata poco al Paolo Benvegnù artista, da tempo immerso nel suo buen retiro umbro a Città di Castello. Sebbene una chiacchierata con lui, di politica come di qualsiasi altro tema, possa aprire mondi.

La vena meditativa e ascetica del Nostro, però, non ha mai ceduto il passo all’ermetismo e anzi fare dischi e concerti è stato per lui un ponte con la realtà. Ma allo stesso tempo il mondo gli è sempre stato stretto, tanto che specialmente nei suoi ultimi dischi abbondano le metafore celesti: astri che fluttuano, stelle che brillano, orbite…che orbitano.

La sua è musica pensante, colta, cerebrale, ma se si allena il cervello come fosse un muscolo, reggere certi pesi non è così stancante. Anzi in quella tuta d’astronauta che ci ha confezionato si impara presto a muoversi senza impacci e a farci pure le capriole.

Con lui le cose appaiono da una prospettiva diversa. Dall’alto si osserva meglio. Ma non è un elevarsi per snobismo, quanto un metaforico allontanarsi dall’oggetto osservato per conclamata presbiopia. Tant’è vero che dal vivo, Paolo Benvegnù tutto sembra meno che l’intellettuale che gravita a un palmo da terra. L’empatia che crea col pubblico è anzi immediata, e la gente è quasi per inerzia trasportata con lui sul palco.

La lezione degli Scisma è servita. Se autenticità era il sostantivo dominante – e poi dominato: dai media – che caratterizzava l’alternative-rock nei Novanta, Benvegnù se l’è portato dietro durante tutto il suo percorso.

Prova ne sono le splendide canzoni che ci ha regalato in questi anni ma soprattutto i suoi live ad alto tasso emozionale. Nel 2012 aprì il concerto romano dei Cure, e nonostante in una dimensione per lui sconosciuta e abnorme sembrasse un alieno (ecco che torna lo spazio), trionfò davanti ai 30.000 e passa dell’Ippodromo delle Capannelle che per la gran parte non lo conoscevano.

Il 9 marzo invece, la Sala Petrassi sarà tutta per lui. E noi per una sera torneremo all’essenza della terra, respirando finalmente aria pura, rigenerata. Allegoricamente e non.

Valerio Di Marco

 

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