La medicina cardiovascolare è tra le discipline mediche in cui le terapie hanno realizzato progressi da giganti, inimmaginabili fino a qualche anno fa. Sono passati quasi 50 anni da quel fatidico giorno di dicembre del 1967 in cui Christian Barnard realizzò il primo trapianto cardiaco; un cuore malato sostituito con un altro prelevato da un altro essere umano.
Quella che sembrava una barriera biologica invalicabile si realizzò grazie ai progressi della ricerca scientifica e alla collaborazione di tanti uomini e donne che lavoravano tutti insieme per sconfiggere le malattie del cuore. Da allora c’è stato un susseguirsi di successi supportati da tante scoperte scientifiche e progressi tecnologici in campi sempre più specifici richiesti per far fronte alla complessità delle malattie cardiache, vero flagello nei paesi occidentali.
Non tutti sanno che le malattie cardiovascolari come l’infarto del miocardio, l’ictus e l’insufficienza cardiaca sono ai primi posti come causa di mortalità nei paesi occidentali, superando nei numeri il cancro, le malattie infettive e quelle degenerative. E non tutti sanno che, anche quando queste malattie non sono letali, sono la causa di una disabilità e di handicap fisici tali da compromettere la qualità della vita dei pazienti e delle loro famiglie.
Il nostro paese non è differente dagli altri dell’Europa occidentale e, ogni anno, si contano più di 150000 nuovi infarti, 160000 ictus e gli stessi numeri per la diagnosi di scompenso cardiaco. Questa fotografia epidemiologica fa rabbrividire chiunque ma spiega anche quanto sia importante l’investimento della società nella prevenzione e nella cura delle malattie cardiovascolari.
Le spese sanitarie sono negli anni lievitate a causa dei costi rilevanti della ricerca scientifica e oggi siamo confrontati sempre di più dal problema della sostenibilità di una sanità che è e dovrà sempre essere un diritto universale di tutti i cittadini.
Ma chi cura oggi bene il cuore, in quale ambulatorio, che tipo di ospedale, quali dottori e specialisti competenti, dove sono i così detti centri di eccellenza, ma lo sono davvero?
Queste ed altre domande si susseguono nella testa dei pazienti e delle loro famiglie quando ci si trova confrontati con una malattia cardiaca che spesso esordisce improvvisamente, come un fulmine a ciel sereno.
La risposta non è semplice e soprattutto non consiste in un elenco di indirizzi che si possono trovare nella carta stampata o in una semplice ricerca in internet. Molte di queste informazioni risultano purtroppo veicolate da vere strategie di marketing per non dire pubblicitarie e sono spesso autoreferenziali.
La risposta a queste domande e le preziose informazioni su chi e dove possa prendersi cura del nostro cuore malato viene dalla conoscenza del progresso negli ultimi 30 anni nel campo delle cure cardiovascolari.
Le terapie efficaci per curare un difetto cardiaco, sia acquisito che congenito dalla nascita nascono parallelamente alle conoscenze dei meccanismi e delle cause delle malattie. Questa parte della scienza, chiamata fisiopatologia, ha accompagnato il lavoro dei ricercatori durante l’epoca pionieristica della Cardiologia a partire dagli anni ’50. In questo stesso periodo è nata la Cardiochirurgia cosi detta “a cuore aperto” grazie all’invenzione della tecnica della Circolazione Extracorporea. Questa tecnica permette di isolare il cuore e di arrestarlo per poter intervenire, correggendo, le sue strutture malate.
Dal 1953 ad oggi migliaia di malati hanno beneficiato di interventi chirurgici e curato malattie delle valvole e dei difetti strutturali del cuore.
I due decenni che seguirono sono stati marcati da un intenso sviluppo delle tecnologie e tecniche chirurgiche che hanno portato a curare malattie che non avevano fino ad allora speranza come la malattia reumatica valvolare, la malattia aterosclerotica delle arterie coronarie causa dell’infarto e tutte le anomalie dei bambini malati fin dalla nascita con difetti congeniti.
Successivamente e a partire dagli anni ’80 abbiamo assistito grazie al progresso delle tecniche radiologiche, ad una vera e propria rivoluzione con l’avvento della Cardiologia Interventistica; queste terapie hanno permesso attraverso l’uso di cateteri e strumenti miniaturizzati di raggiungere il cuore navigando dentro le arterie e di curare la causa della malattia come la riapertura delle arterie coronarie occluse o la chiusura di difetti delle pareti intracardiache fino alla sostituzione di una valvola degenerata. E’ cosi che senza dover aprire il torace del paziente ne dover fermare il cuore, ne somministrare una profonda anestesia, che molte malattie gravi hanno trovato una cura efficace.
Il racconto di questo immenso progresso non sarebbe però completo senza parlare delle conquiste scientifiche raggiunte grazie alla prevenzione e alla terapia medica delle malattie cardiovascolari.
La conoscenza e controllo dei fattori di rischio e l’impiego di farmaci sempre più specifici ed efficaci per curare il diabete, l’ipertensione e altri dismetabolismi, hanno contribuito a ridurre significativamente la mortalità e le conseguenze delle malattie cardiovascolari. E in tutto questo anche gli ospedali ed i percorsi di cura dei pazienti si sono modificati nel tempo. Proprio gli ospedali come luoghi di cura hanno seguito questo progresso e sono stati costruiti sul “sapere”, favorendo lo sviluppo di competenze specifiche, creando dei dipartimenti per la cura delle malattie cardiovascolari con tante sub-specialità; un esempio ne è la frammentazione di quella che originariamente era la Cardiologia in: Elettrofisiologia (disturbi del ritmo cardiaco), Cardiologia interventistica (procedure invasive), UTIC (rianimazione cardiologica), Scompenso (cura dell’insufficienza cardiaca), Servizi Cardiologici (diagnostica non invasiva).
Questa organizzazione con molti reparti iper specializzati, ha portato a costruire quel paradigma secondo il quale l’ospedale “ospita” il paziente facendolo transitare attraverso differenti reparti a seconda delle competenze e del tipo di prestazioni richieste.
Il paziente seguendo questo percorso di cura, sebbene abbia a disposizione delle competenze e delle risorse tecnologiche concentrate ma ben separate nelle specialità, ha perso quella continuità assistenziale, presente agli inizi, quando un’equipe si occupava del malato dalla diagnosi alla terapia.
La progressiva burocratizzazione e articolazione gestionale degli ospedali ha poi accentuato questa frammentazione del percorso di cura impoverendo di quell’umanità il rapporto medico-paziente che ha sempre caratterizzato gli ospedali.
Non è raro oggi osservare che un malato venga considerato un “cliente”, la malattia da curare un “DRG” e il percorso di cura un “ciclo” d’intensità di cura. In questo contesto i medici trasferiscono i pazienti via Fax o tramite protocolli informatizzati codificati dove il paziente e la sua famiglia sono spettatori e non attori del percorso di cura. Ecco che questo paradigma costruito negli anni arriva alla fine del suo ciclo con aspetti di deriva che richiedono un cambiamento.
Cambiare il vecchio paradigma riportando il paziente al centro del percorso di cura è una vera rivoluzione in sanità, ma risulta necessaria per garantire pienamente i diritti del malato e la sostenibilità della copertura universale delle cure mediche.
La centralizzazione del paziente e la sua presa in carico globale risulta quanto mai di attualità anche per la stessa evoluzione del profilo della malattia. L’età media della popolazione adulta si è allungata e la cura delle malattie croniche è diventata sempre più efficace nel contesto di una società in cui l’accesso alle cure è migliorato negli ultimi decenni.
Ne consegue che il paziente cardiologico è oggi una persona sempre più anziana, con numerosi fattori di rischio genetici ed ambientali, spesso fragile se non con un certo grado di disabilità; è spesso affetta da numerose patologie croniche assumendo numerosi farmaci. Ecco che il nostro paziente è un malato difficile da inquadrare nella diagnosi e difficile da seguire nella terapia.
La risposta al problema viene quindi dalla necessità di inserire il malato in un percorso di cura multidisciplinare dove un gruppo di specialisti dell’”area cuore” possa inquadrare la malattia e proporre un percorso diagnostico-terapeutico in grado di rispondere alle complesse problematiche di salute.
L’inquadramento e correzione dei fattori di rischio con la normalizzazione dei metabolismi e una diagnostica mirata con esami specifici realizzati da macchinari con tecnologie recenti, permette di trovare la soluzione ad ogni patologia del cuore e della circolazione.
Il Progetto P.A.C Artemisia
Il Gruppo Artemisia Lab in collaborazione con il Policlinico Universitario Agostino Gemelli ha raccolto la sfida di realizzare un nuovo modello di percorso ambulatoriale dedicato alle malattie cardiovascolari.
Il progetto è stato denominato P.A.C. ARTEMISIA ovvero Percorso Ambulatoriale Cardiologico Artemisia Lab. Un “team del Cuore” rappresentato da Cardiologi Clinici, Ecocardiografisti, Elettrofisiologi, Angiologi, Cardiochirurghi e Chirurghi vascolari, coadiuvati da Internisti e Radiologi, con competenze specifiche, propongono un percorso ambulatoriale capace di inquadrare la diagnosi della malattia e proporre la corretta terapia che sia farmacologica o Interventistica/Chirurgica.
L’accesso a tutto lo spettro di esami cardiologici, il completamento delle informazioni con esami di laboratorio inclusi di uno screening genetico con la condivisione tra gli specialisti delle soluzioni proposte, permette di fornire la risposta al problema cardiologico in tempi molto ridotti rispetto alle prestazioni ambulatoriali presenti nel territorio.
Il progetto P.A.C. ARTEMISIA rappresenta una nuova opportunità per i pazienti che sono accolti e presi in carico da un Team multidisciplinare dedicato capace di curare la malattia del cuore e dell’apparato circolatorio.
Prof. Massimo Massetti, Ordinario di Cardiochirurgia dell’Università Cattolica e Direttore dell’Area Cardiovascolare del Policlinico A. Gemelli di Roma; Coordinatore progetto P.A.C. ARTEMISIA in Artemisia Lab.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Oggetto: Chirurgia cardiotoracica nei bambini
Malattia: ventricolo destro Doppia arteria
Richiesta: mi chiamo Walid dalla Tunisia. Ho un figlio di cinque anni con difetti cardiaci congeniti (il ventricolo destro dell’arteria). Potete aiutarmi ad avere un’operazione sul cuore di mio figlio?