In campo pop-rock, una delle voci più belle, imponenti ed emozionanti degli anni ’90 fu quella di Dolores O’Riordan, cantante dei Cranberries.
Chi non la ricorda in “Zombie“, la loro hit più grande e manifesto in musica dell’impegno antimilitarista in quella terra martoriata che è sempre stata l’Irlanda?
Quella voce sarà possibile riascoltarla dal vivo lunedì 26 giugno alla Cavea dell’Auditorium, dove la band di Limerick riproporrà in concerto il suo repertorio storico che include anche altri brani straconosciuti come “I Can’t Be With You“, “Salvation“, “Animal Instinct“, “Just My Imagination” e “Promises“.
Pezzi che all’epoca, quando ancora Internet non s’era divorata il mercato musicale, andavano in heavy-rotation su radio e MTV ed era impossibile non familiarizzarci.
E poi quell’ugola passata alla storia, paradisiaco e penetrante impasto di rabbia, disperazione, dolcezza, lirismo. Pareva impossibile che tanta potenza potesse promanare da una figura così mingherlina. E che brividi regalava!
Negli anni è diventata una delle voci femminili più imitate ad ogni latitudine, nonchè marchio di fabbrica della band, forse anche un tantino abusato allorquando col tempo fu sempre più spesso chiamato a sopperire al calo d’ispirazione in fase di scrittura.
Un calo che portò nel 2003 allo scioglimento, complici anche – se non soprattutto – gli scarsi numeri raggranellati in termini di vendite dall’album “Wake Up And Smell The Coffee“.
Ma anche le mire soliste della leader contribuirono ad accelerare la decisione, anche se poi la carriera in solitaria della O’Riordan tutto è stata meno che indimenticabile: due dischetti appena, che mosci è dire poco.
Tant’è vero che alla prima occasione la band si riunì, e nel 2012 diede alle stampe “Roses“, il quinto lavoro in studio a cui a breve farà seguito l’attesissimo “Something Else“, in uscita a fine aprile. Nuova vita, insomma, per uno dei gruppi simbolo dell’ultimo quarto di secolo.
Dimensione che i tre impararono ben presto a monetizzare. Nei panni di nuovi U2, nel senso di impegno e coscienza civile, non volevano proprio starci, e già dal terzo album “Bury The Hatchet” le sonorità si ammorbidirono virando verso un pop sempre ricercato e godibile, ma sostanzialmente innocuo.
Le asperità fin lì presenti nel loro sound scomparvero a beneficio di melodie orecchiabili e una produzione molto più levigata: insomma, seppellirono l’accetta in tutti i sensi.
E sì che con quell’accetta ne avevano inferti di colpi. A partire dal lavoro d’esordio “Everybody Else Is Doing It, So Why Can’t We?“. Tutti lo facevano, ma loro avevano imparato a farlo meglio.
E la prova erano brani come “Linger” e “Dreams“, destinati a restare negli annali e a codificare per primi quel mix melodrammatico di alternative-rock, post-grunge e musica celtica: all’epoca, un pugno in un occhio. E la cosa era ancora più sorprendente considerando che al rumore, dai Nirvana in giù, le nostre orecchie erano ormai assuefatte in quegli anni.
Ma fu “No Need To Argue“, nel 1994, a regalargli la gloria sempiterna. Era il disco che conteneva la succitata “Zombie” e che gli donò quella fama mondiale della cui luce riflessa ancora oggi la band risplende.
Valerio Di Marco
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Bellissimo articolo. Te lo dico da fan sfegatato dei cranberries. Ho visto ben 6 live loro. È vero che ultimamente sono un pó mosci. Secondo me con qualche pezzo più alla vecchia maniera avrebbero ancora tanto da dire al mercato musicale. Speriamo lo capiscano