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Solo Sergio Leone sbancherebbe il botteghino del derby

Roba da non crederci, nella settimana d'avvicinamento al derby stavolta s'è parlato di tutto, tranne che di football

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 C’è la liquefazione del tifo in vista di Lazio-Roma. Da una parte c’è l’avvilimento dei padroni di casa, infastiditi dagli atteggiamenti del gestore Lotito ancor più che dagli sbarramenti intramoenia dell’Olimpico; i tifosi accusano il signor Claudio di malagestione misto menefreghismo, di mancati acquisti e puntano l’indice contro una squadra evaporata sul campo e amorfa nei rapporti umani; “zeru tituli” e zero confessioni da parte dei giocatori, che se un cronista volesse agganciare al suo articolo una frase del tipo “sono contento di essere arrivato uno” dovrebbe sobbarcarsi una trasvolata transoceanica con l’augurio e la speranza che il tesserato laziale convocato con la propria nazionale abbia voglia e coraggio d’aprir bocca.

Dall’altra parte c’è una tribù unica nel suo genere, e praticamente l’atmosfera è da “classico de noantri”: nonostante i risultati positivi degli ultimi due mesi a Trigoria non mancano le polemiche, vedi quella legata al presente (o futuro?) di Francesco Totti, “anema e core” del club, per lo meno nell’ultimo ventennio. O al presidente-latitante, quel mister Pallotta che fa filotto col dubbio della data di nascita del club e con lo stemma di stampo yankee che serviva per vendere il brand ma che s’è tradotto in un flop.

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Roba da non crederci, nella settimana d’avvicinamento al derby stavolta s’è parlato di tutto, tranne che di football.

E pare perfino che giallorossi e biancocelesti neanche si siano guardati in cagnesco negli ultimi giorni, cosa più straordinaria che unica se solo si pensa a qualche stagione fa, quando le ipotesi sull’1X2 della stracittadina erano all’ordine del giorno, fra scommesse perse e pegni da pagare al bar o in pizzeria.

No, stavolta nessuno si tufferà in qualche fontana in caso di successo, né chi perderà pagherà dazio in mutande così come accadde trent’anni fa a due personaggi del mondo dello spettacolo, ancora oggi in auge, con lo sconfitto di turno costretto a un inenarrabile attraversamento di strisce pedonali. Beninteso, senza calzoni, quasi come mamma lo fece.

Non sarà sfida della discordia, i sentimenti di vittoria o sconfitta finiranno nell’oblio molto presto, anche se la squadra di Spalletti deve mantenere la stabilità d’un terzo posto utile per giocarsi i preliminari di Champions league e quella di Pioli, “volesse il cielo” sperano dalle parti di Formello, potrebbe fargli uno sgambetto al momento impensabile anche per gli allibratori.

Perché a due passi dalla Cassia Veientana, quartier generale laziale, c’è più gente in infermeria che uomini da mandare in campo. Così, mentre di qua fanno la conta degli arruolabili, dillà restano i dubbi su Dzeko e De Rossi, per tacer del fatto che Francesco Totti scalderà la panchina pure se un anno fa, sul 2-0 per la Lazio, fu proprio la sua doppietta a togliere le castagne dal fuoco a Rudi Garcia, francese che nella capitale ha ballato troppo poco per i gusti raffinati di chi agognava un proggetto – si, con due “g” – dimenticando che il calcio romano vuole “tutto e subito”, altro che sontuose trame di gioco, verticalizzazioni perfette e calcio spettacolo.

Biglietti venduti? Poca roba, gli spiccioli per qualche caffè. Biglietti omaggio? E che gusto c’è? Meglio – per molti – un megaschermo, che la partita si vede meglio davanti ai monitor che sugli spalti.

Adesso che la Madonnina di Monte Mario non fa più capolino sullo stadio, c’è il rischio che il football non sia più ben visto come una volta. Neanche a Roma, la città del Papa.

Fosse ancora vivo, forse l’unico capace di risollevare Lazio-Roma sarebbe stato Sergio Leone. Un suo “C’era una volta il derby” avrebbe sbancato il botteghino e restituito “pallottole” di passione a chi domenica prossima, ore 15, starà spaparanzato al sole di Ostia per un pugno di sabbia.

Massimiliano Morelli

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