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Prima Porta, chiuso il centro per rifugiati sulla Tiberina

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migranti240.jpgChiuso definitivamente sulla Tiberina, a millequattrocento metri da Prima Porta, il centro di prima accoglienza per rifugiati politici sbarcati sulle coste italiane. Era stato aperto a metà aprile e da allora fino a tre settimane fa ha ospitato una quarantina di persone al giorno. Gestito dalla CRI, era stato allestito all’interno del campeggio Tiber.

Ne avevamo parlato a lungo lo scorso mese di aprile (leggi qui), poi su quella struttura era calato giustamente il silenzio anche perchè, questo va detto, non ha dato adito a lamentele o preoccupazioni.

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A distanza di tre settimane dalla chiusura si possono tirare le somme dell’esperienza. A farlo, definendola “più che positiva”, sono due esponenti del XV Municipio: l’Assessore alle Politiche Sociali, Michela Ottavi, e la Presidente della Commissione Politiche Sociali, Agnese Rollo, che così dichiarano in una nota.

“Il centro, individuato dalla Prefettura attraverso avviso pubblico e originariamente organizzato per gestire l’accoglienza di 90 persone, ha ospitato dal 19 aprile una media di 41 rifugiati al giorno, uomini e donne molto giovani, e in alcuni casi famiglie con bambini in tenerissima età, provenienti principalmente dall’Africa (Somalia, Eritrea, Sudan, Nigeria, Zambia, Guinea, Senegal) e dal lontano Bangladesh. Nei cinque giorni di permanenza nell’hub, prima di essere trasferiti in un secondo momento nei centri di accoglienza del Lazio, numerose sono state le attività pensate per loro.”

“Prima di tutto – spiegano Ottavi e Rollo – all’arrivo hanno ricevuto dalla Croce Rossa Italiana un’assistenza medica di primo livello, fondamentale per rimettere in piedi chi ha attraversato addirittura per anni il continente africano a piedi, con mezzi di fortuna, giunto in Italia con barconi stracolmi e in alcuni casi subito torture in mare. Lo screening sanitario ha permesso di non riscontrare alcuna malattia infettiva, a parte problemi di salute dovuti dall’estenuante viaggio, e la presenza poi di pochissime persone con sospetta scabbia, subito isolate e trattate, si scontra con le mendaci notizie di diffuse epidemie, divulgate appositamente per procurare falso allarme tra i cittadini residenti nella zona, che invece hanno dimostrato solidarietà e comprensione e mai manifestato alcuna reazione avversa.”

“L’ascolto, il lavoro di mediazione culturale, la distribuzione dei pasti, l’orientamento, l’organizzazione di attività ludiche e l’apprendimento della lingua italiana, possibile grazie al costante e valido supporto dei volontari della CRI, gli ha permesso di superare la fragilità psicologica iniziale e di credere in un futuro, immaginato principalmente in Nord Europa dove risiedono parenti e amici.”

“L’accoglienza – concludono Agnese Rollo e Michela Ottavi – non è solo un diritto internazionale, ma un valore che dobbiamo esercitare verso chi scappa da guerre disumane e la riuscita di questa esperienza ci fa ben sperare e credere che un cammino, lungo e complesso, verso un municipio solidale, antirazzista in cui nessuno, a prescindere dal colore della sua pelle si senta escluso o solo, sia realizzabile.”

E Silvia Piscitelli, volontaria e Delegata Provinciale CRI per le attività di inclusione sociale, aggiunge: “E’ stato un lavoro svolto con professionalità e passione, integrando il volontariato nelle attività quotidiane del Centro a supporto degli operatori e del personale sanitario. Ognuno ha fatto la sua parte dagli operatori, agli ospiti ai turisti del camping per rendere il progetto un modello di accoglienza: gli ospiti stessi sono stati coinvolti nelle attività del Centro, responsabilizzandoli con qualche piccolo compito e nel dare il benvenuto ai nuovi arrivati. Molti dei ragazzi che sono stati smistati negli altri Centri sono andati via commossi e questi ottimi risultati sono il frutto di un lavoro ben pianificato, focalizzato sulla persona e l’azione umanitaria”.

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