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L’eccidio de La Storta il 4 giugno del 1944

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Trucidati perchè diventati un peso. O per far posto al bottino di guerra. O per un ordine arrivato dall’alto. O per chissà quale altro motivo. La verità sulla morte dei 14 prigionieri del carcere di via Tasso che la notte tra il 3 e il 4 giugno 1944 furono caricati su un camion dai soldati nazisti in fuga e il giorno dopo uccisi nei pressi di La Storta non si saprà mai.

Gli storici lo chiamano l’eccidio di La Storta, e si tenne lo stesso giorno della liberazione di Roma da parte delle truppe alleate. La strage, avvenuta al km 14.200 di via Cassia, in aperta campagna, è stata una delle più efferate compiute dai tedeschi sul nostro territorio. Oggi, sul posto c’è una lapide con incisi sopra i nomi delle vittime a ricordarci tutto l’orrore di cui l’uomo è capace.

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I libri di storia ci hanno raccontato per filo e per segno l’entrata a Roma delle avanguardie alleate provenienti da sud per liberare la Capitale. I nazisti, prossimi alla disfatta, fuggirono verso nord, ma prima di andarsene da Roma caricarono su due camion una trentina di prigionieri prelevati dal famigerato carcere di via Tasso, forse per deportarli in Germania oppure – più presumibilmente – per usarli come salvacondotto nel caso, durante la fuga, si fossero imbattuti in qualche presidio alleato.

Ma le cose non andarono così. Intanto perchè uno dei due automezzi ebbe un guasto alla partenza e non potè muoversi. E poi perchè l’altro, un autocarro Fiat 38R al cui comando c’era il sottotenente Hans Kahrau, terminò la sua corsa vicino La Storta dopo essere uscito da Porta del Popolo ed essersi diretto a nord cercando di evitare i bombardamenti alleati.

All’alba di domenica 4 giugno il camion si fermò, forse per un’avaria al motore, e venne nascosto in un casolare per fuggire dalla vista degli aerei. I prigionieri vennero fatti scendere e nascosti in un fienile fino al tardo pomeriggio, quando vennero condotti in un boschetto a trecento metri da lì e uccisi uno per uno con un colpo di pistola alla nuca, esattamente com’era avvenuto alle Fosse Ardeatine.

Tra loro c’erano il noto sindacalista Bruno Buozzi e l’agente segreto Gabor Adler, alias John Armstrong, inviato a Roma dagli inglesi e di cui solo recentemente è stata svelata l’identità, dopo che per oltre 60 anni sui libri e sulla lapide commemorativa si è fatto riferimento a lui come all'”inglese sconosciuto”.

Il motivo, se ha senso parlare di motivi, della strage non è mai stato chiarito. Alcuni sostengono che il mezzo fu sabotato e che quindi i prigionieri fossero diventati un peso inutile; altri sostengono che l’ordine fosse noto ai soldati fin dalla partenza da via Tasso e che la “deportazione” fosse solo una messa in scena; secondo altri, invece, gli ostaggi furono uccisi per far posto al bottino di guerra; ma una delle tesi più accreditate è che l’ordine fosse arrivato sul momento.
Alcune testimonianze di contadini della zona, infatti, riportarono dell’arrivo sul posto di una motocicletta, forse qualcuno incaricato di riferire il comando.

Quale che sia la verità, rimane il fatto che una simile decisione cozzava contro ogni logica, dal momento che durante la fuga dei tedeschi gli ostaggi sarebbero stati molto più utili da vivi che da morti.
Ma soprattutto rimane il fatto che quella di La Storta è una strage che brucia ancora di più perché avvenuta proprio l’ultimo giorno dell’occupazione nazista di Roma.

Dell’episodio, uno dei più tristi di quegli anni, ne abbiamo parlato con Duccio Pedercini, presidente del circolo ANPI del XV Municipio fondato nel 2008 e intitolato proprio all’eccidio in questione.

“Dopo quello delle Fosse Ardeatine, l’eccidio di La Storta è stata la strage più grave compiuta durante l’occupazione nazifascista a Roma. Quello che è interessante a riguardo, al di là di capire i veri motivi della carneficina, è che dall’elenco dei 14 martiri si può capire che cosa è stata l’opposizione al fascismo della Resistenza a Roma.”

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“L’eccidio è frutto dell’avversione dei tedeschi verso tutta la popolazione della città che in qualche modo si opponeva ai nazisti. Spesso – prosegue Pedercini – le figure di Bruno Buozzi e Gabor Adler, hanno monopolizzato l’attenzione degli storici e dei media, ma è interessante scorrere tutto l’elenco delle 14 vittime. Questi martiri non erano tutti combattenti o partigiani. La partecipazione alla Resistenza, a Roma come nel resto d’Italia, non era dovuta soltanto alla Resistenza armata ma anche a tantissime altre figure. Fu un movimento di popolo. Se si legge l’elenco martiri non ci sono solo militari del Fronte della Resistenza ma anche dirigenti d’azienda, impiegati, professori.”

“Insomma – conclude il presidente del circolo ANPI che ha sede a Labaro – se le Fosse Ardeatine fu una specie di “Nazionale italiana degli orrori”, essendo le 335 vittime rappresentanti di tutti gli strati della società e di tutte le categorie professionali, l’eccidio di La Storta non fu da meno. Del resto, a Roma ci voleva poco per essere considerato oppositore: bastava dire cose inopportune e si finiva in prigione. Mio nonno, ad esempio, finì a via Tasso per sbaglio e ne uscì dopo un paio di giorni.” Tanti altri, invece, non furono così fortunati.

Valerio Di Marco

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