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Si spara a Tor di Quinto

Galvanica Bruni

poligono_di_tiro.jpgCos’è quel castello che domina viale Tor di Quinto? Cosa si nasconde dentro quell’edificio austero da dove si sentono spari? Lo abbiamo visitato e, scambiando due chiacchiere con il presidente e i tiratori, abbiamo scoperto l’esistenza di una passione che coinvolge tutte le fasce d’età e che sembra destinata ad aumentare.

Dai primi secondi in cui entri l’atmosfera che ti avvolge è distesa, rilassata, pacifica, in contrasto con quella preoccupante che di solito suscitano le armi. Qualche signore cammina con il classico cappellino da tiratore americano, un gruppo di ragazzi rumoreggia, sono eccitati dalle pistole e vengono ripresi dalle insegnanti.

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Il castello visto dall’interno ha una prospettiva del tutto nuova, elettrizzante. Un grande prato verde e in lontananza rumore di spari. Andiamo in segreteria, abbiamo appuntamento con il presidente. Ci accoglie una gentilissima segretaria che risponde che il presidente ci sta aspettando al piano di sopra.

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Saliamo, ed ecco Carlo Mantegazza, il “boss” del Tsn Roma, il Tiro a segno nazionale di Roma. Sorridente e abbronzato ci accoglie nel suo ufficio e iniziamo a parlare. Ne sappiamo poco del poligono quindi lo facciamo cominciare dall’inizio.

“Allora, noi lavoriamo su due fronti: il primo come ente certificatore, per chi vuole il porto d’armi o per chi svolge lavori con le pistole. Il secondo come società sportiva, che svolge e promuove il tiro a segno come sport. Con ragazzi dai dieci anni in su che iniziano a sparare con armi ad aria compressa. Alcuni di questi giovani atleti vengono poi presi dai gruppi sportivi militari. Inoltre qui si viene anche per sparare come semplice hobby.
E non c’è bisogno di porto d’armi, solo una certificazione medica dello stato psicofisico e una documentazione che escluda precedenti penali”.

E noi che pensavamo che qui venissero solo aspiranti Rambo.
“Non ci sono esaltati. Il tiro a segno pretende concentrazione e pace interiore, chi si esalta a sparare va a fare softair. Qui sei da solo con te stesso, dipende tutto solo da te”.

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E in un mondo di esaltati questo sport d’altri tempi non riesce ad avere un grande seguito.

“Qui abbiamo 100-150 giovani che svolgono attività sportiva, con ragazzi dai 10 anni in poi. 1500 invece svolgono attività ludica”. E il motivo è anche che “esiste una normativa che prevede un poligono per ogni comune, normativa di cui io sono personalmente molto scettico. Si obbliga chi sceglie questa bellissima attività e abita lontano da qui ad andare incontro a molte scomodità. Il nostro bacino d’utenza infatti si limita a Roma Nord. Se prima ospitavamo scolaresche di tutta Roma, adesso le limitiamo solo alla nostra zona”.

E pensare che non è uno sport per niente elitario, il presidente Mantegazza ci parla di una quota di iscrizione di “circa 320 euro per un anno, gli anni successivi 250”.

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Ora abbiamo un’idea molto più chiara di quel castello grigio e marrone che vediamo ogni volta che passiamo per Tor di Quinto, un posto misterioso anche per il presidente.

“Io sono di Roma Nord, il poligono l’ho conosciuto nel ’77 e ho sparato per la prima volta. Per noi della zona è sempre stato un luogo misterioso. Solo entrando si capisce cosa c’è. Uno pensa che vado al poligono e trovo quello con la mimetica esaltato, non è così. C’è gente di tutte le età, dai 10 agli 82 anni. C’è il mondo: lo studente, l’idraulico, il meccanico, il gommista, il notaio, potrei parlare anche di alte cariche dello stato”.

Non vediamo l’ora di andare a vedere se c’è qualcuno di questi che sta sparando, anche perché ci è venuta una gran voglia di andare “sul campo”. Salutiamo il presidente, che ci affida al direttore del centro.

Ci avviamo su un sentiero in mezzo al prato ed entriamo nel poligono indoor, ritroviamo la scolaresca che abbiamo incontrata prima, con i ragazzi che non stanno più nella pelle mentre l’istruttore spiega come sparare. Ci sono vari atleti e appassionati, anche due signori in sedia e rotelle che si sfidano in una delle corsie verso l’uscita.

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Il direttore ci accompagna nei due poligoni all’aperto, il primo con un gruppo di patiti di mezza età, il secondo con due gruppi di aspiranti pistoleri, giovani e meno giovani. Seguiti da un istruttore che ci presta le cuffie (indispensabili) mentre ci avviciniamo ai tiratori per scattare qualche foto.

Perché a un venticinquenne viene voglia di sparare?

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Uno dei tiratori, Claudio, ci racconta: “mi sono avvicinato al poligono non ho appena ho avuto la possibilità di avere un po’ di tempo libero. Le armi mi hanno sempre affascinato e alla fine ho sentito il desiderio di unire questo mio interessa con una maggiore consapevolezza e un miglior senso di responsabilità. Le armi sono pericolose, si sa, ma saperle maneggiare con cura permette di migliorare il proprio autocontrollo.
Per non parlare dello stress che dopo 45 minuti di tiro al bersaglio sparisce completamente. Quando sparo devo pensare solo al bersaglio e alla sicurezza dell’arma, tutto il resto me lo dimentico. Ogni volta che vengo qui divento sempre più preciso e questa cosa mi da molta soddisfazione”.

Anche se l’ambientazione delle zone di tiro ci ricorda un po’ un Gta, l’atmosfera che si respira al Tiro a segno di Roma è più pacifica di qualsiasi campo di calcetto o palazzetto di basket.

Uscendo il direttore ci saluta e ci regala un bossolo dorato. Non sappiamo se andremo mai a sparare, ma quel bossolo lo custodiamo con gelosia. Per ricordo di una mattinata in cui abbiamo visitato un posto unico, che ha il fascino del “segreto” anche se segreto non è.

Francesco Cianfarani

riproduzione riservata – proprietà EdiWebRoma

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3 COMMENTI

  1. Prima di leggere questo articolo anche io avevo una conoscenza distorta del “Tiro a segno di Tor di Quinto”. Effettivamente avevo dei pregiudizi ritenendolo un luogo in cui convenivano Rambo esaltati. Grazie, quindi, a Francesco Cianfarani che, oltre ad aver dissipato ombre inquietanti, ci fa conoscere un luogo di Roma di tutto rispetto.

  2. Gli esaltati vanno in curva allo stadio non a rilassarsi al poligono dove la sicurezza è la prima regola , la seconda è il respiro profondo e il rilassamento.

  3. Se si studiano le statistiche degli omicidi e delle lesioni personali si scopre come una minima parte sia commessa con armi da fuoco, la restante con le cosiddette “armi improprie” (coltelli, accette, cacciavite, martelli, spranghe, ecc. ecc. o mani nude). L’arma da fuoco non è ne “buona” ne “cattiva” ma lo sono i sentimenti che può suscitare in una psiche malata. Circa la sicurezza: dopo 40 anni che non frequento più il poligono continuo a riporre gli utensili, che abbiano comunque una forma simile ad un’arma, non prima di averli bloccati ed in posizione tale che possano essere presi con la “mano forte” (nel mio caso la destra). A questo lo faccio automaticamente, senza riflettere.
    La ringrazio Sig. Fabio: seguo da pochissimo VCB e non era riuscito a trovare un articolo sul Poligono di Tor di Quinto; era mia intenzione tirare in ballo l’argomento per evidenti, contingenti, motivi.
    Giancarlo Venza

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