Storia di una demolizione annunciata e non eseguita: intanto aumentano i rifiuti tra i quali si aggirano ratti grossi come gatti. C’erano dieci bambini tra le quaranta persone che il 18 ottobre scorso sono state fatte sgombrare dallo stabile di Via di Baccanello a Cesano, dove pagavano un regolare affitto. Quello che era il simbolo del degrado che da anni affligge Cesano veniva finalmente sgomberato per essere demolito e dare il via, tramite la destinazione del terreno a uso sociale, a un processo di rinascita che avrebbe avuto riflesso positivi su tutta la zona. Ma a distanza di cinque mesi le cose sono andate diversamente.
Non è un bel biglietto da visita quella palazzina demolita a metà che sorge proprio all’ingresso di Cesano, eppure è la testimonianza più evidente e innegabile del paradosso che stanno vivendo i residenti, i volontari della protezione civile e, perché no, gli stessi sfollati del 18 ottobre: un intervento di lotta al degrado che ha ottenuto lo scopo di peggiorare una situazione di per sé già critica.
Ma facciamo un passo indietro.
Subito dopo lo sgombero di cinque mesi fa (leggi qui), le ruspe sono entrate in azione per procedere alla demolizione dello stabile, affittato nonostante le precarie condizioni igieniche e strutturali. Il tutto a seguito di una vertenza tra il Comune di Roma, che lo ha acquisito nel 2003, e il proprietario che nel corso degli anni ha presentato tre richieste di condono (la prima risalente al 1985) definitivamente rigettate nel luglio 2012.
Iniziata la demolizione, finiti i problemi. Peccato solo che la demolizione della struttura si sia fermata quasi subito, e non sia andata avanti neanche quanto basta per evitare che chi ci abitava prima possa tornare a occuparla.
È vero che per procedere alla demolizione di un manufatto di proprietà comunale occorre l’approvazione del Consiglio con conseguente deliberazione, ma allora perché non fermarsi allo sgombero e avviare la demolizione solo in un secondo momento?
L’intervento della Commissione Stabili Pericolanti Pubblici di Roma Capitale si era infatti limitata a dichiarare l’inagibilità del manufatto e l’imminente stato di pericolo: ragion per cui, nonostante l’affitto regolarmente versato, le famiglie che lo abitavano sono state messe alla porta. Ma di qui a iniziare una demolizione a metà ci passa. Senza contare che è stata proprio questa superficialità a dare il via a una serie di problemi.
Primo: proprio per evitare un’occupazione nottetempo è stato piazzato dal XX Municipio a pochi metri dalla struttura un presidio della Protezione Civile che sorveglia l’area h24. Qui dei volontari prestano gratuitamente il loro servizio monitorando la zona anche con l’aiuto di telecamere e, all’evenienza, prestando soccorso per altre emergenze.
Questo presidio è stato oggetto, il 27 novembre scorso, di un vile gesto intimidatorio, una bottiglia incendiaria gettata nella notte contro una roulotte in cui dormiva un volontario scampato fortunosamente alle fiamme e che ha causato ventimila euro di danni tra mezzi spargisale, un’idrovora, caschi, tute e altri mezzi della Protezione Civile ridotti in cenere (leggi qui).
Qualche giorno prima un’altra struttura, situata a pochi metri dalla palazzina semiabbattuta e anch’essa affittata abusivamente, aveva preso fuoco. Si tratta di un vecchio forno da carrozzeria adibito a camerata per la notte, ma pare che tra questi fatti non ci siano legami. Sul gesto del 27 novembre sta attualmente indagando la magistratura, ma in molti si chiedono se dietro quel fatto non si nasconda una ritorsione.
Secondo: al degrado di una struttura affittata abusivamente ma integra si sostituisce il degrado di una struttura vuota ma ridotta a un rudere, cosicché l’ingresso di Cesano nonché la sua arteria principale ne sono drammaticamente segnati.
Basta infatti affacciarsi dalla strada che costeggia l’area per scorgere rifiuti di ogni genere tra i quali si aggirano grossi ratti e altri animali quale immancabile contorno di una rischiosa emergenza sanitaria.
Terzo: l’italica lentezza burocratica contribuirà certamente a protrarre questa situazione per molto tempo ancora. Al momento il Comune sta passando la pratica al XX Municipio e sarà proprio il Municipio ad approvare i finanziamenti per demolire definitivamente l’edificio. Per cui alla domanda che molti si pongono, e cioè per quanto tempo ancora l’edificio resterà in piedi, nessuno è in grado di dare una risposta.
Un’ultima osservazione sorge spontanea: siamo sicuri che completata la demolizione il problema di fondo, che non è certo quello del decoro pubblico, verrà risolto?
Lo sgombero di Via Ponte degli Incastri (leggi qui) che ha seguito di poco quello di Via di Baccanello è la dimostrazione che il problema è più esteso di quanto si pensi.
Adriano Bonanni
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La situazione incredibile e paradossale è sotto gli occhi di tutti (vorrei sapere ora cosa ha da dire il municipio di una demolizione iniziata con gran fanfara di annunci e poi fermatasi quasi subito)
Vorrei solo approfittarne per ringraziare i volontari della protezione civile che quotidianamente e anonimamente prestano il loro prezioso servizio per il bene di tutta la comunità: grazie!
Nell’associarmi ai ringraziamenti ai volontari della Pretezione Civile – Ass. Naz. Carabinieri, penso che la situazione di degrado resterà tale per molto tempo e semmai quel rudere verrà un giorno abbattuto sono pronto a scommettere che le macerie resteranno abbandonate sul posto per altro tempo. Purtroppo siamo in un paese dove ormai non funziona più nulla, e la politica è la prima responsabile di questo disfacimento. Cosa dicono gli amministratori del Comune / Municipio, che hanno propagandato ad alta voce questo sgombero come il “ritorno alla legalità”?