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Piazza Ponte Milvio fra amarcord e movida

Galvanica Bruni

pm120.jpgLa piazza è sempre stata il fulcro di un paese, il cuore pulsante in cui confluiscono le correnti di parole, di notizie, di umori, di novità e di vecchi ricordi, in qualsiasi luogo e in qualsiasi tempo. Ogni paese ha la sua piazza e ogni paese vive la piazza in modo diverso, ma in fondo in modo così uguale. Di piazze ce ne sono parecchie a Roma Nord, ma nessuna di queste può raccontare tanta storia in più di quanto lo possa fare Piazzale Ponte Milvio, che si porta dietro le spalle secoli di età ma che negli ultimi decenni ha subìto drastici mutamenti.

Ponte, sul quale si passa il fiume Tevere, due miglia fuori della porta odierna del Popolo; dove si riuniscono le vie Pia a sinistra, Cassia o Claudia in mezzo, e Flaminia a destra. Ora esistendo un ponte in questo luogo fino dall’anno 546 col nome di Molvius non puó in alcun modo derivarsene la etimologia da Aemilius Scaurus, censore che, nel 644 rifece il ponte di pietra, che prima era di legno“.

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È cosi che viene descritto Ponte Milvio in un antico volume del 1848, (“Dintorni di Roma” di A. Nibby). È solo una delle tante cronache che possiamo trovare su questo antico monumento; vi è descritto lo scenario che si estende attorno ad un ponte nelle campagne romane, con poche botteghe ambulanti che fornivano il necessario agli abitanti che vivevano tra le vigne della nobile famiglia Stelluti e gli orti della Farnesina. Di tempo ne è trascorso e di storie ce ne sarebbero da riportare.

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E la piazza s’è mantenuta in una tranquillità e in una pacatezza tipica della romanità campagnola che caratterizzava questo lato del Tevere, il “fuori porta”, fino a qualche decennio fa. Il mercato proponeva a gran voce i suoi prodotti, il fornaio riempiva l’aria di un odore invitante, ogni commerciante apriva la sua bottega di mattina salutando i passanti. Agli occhi dei nostalgici è sempre stata una serena comunità.

“Io ho sempre abitato a via della Farnesina”, ci racconta Tommaso, un anziano signore che quando parla di Ponte Milvio non cela un velo di emozione, “quando avevo sette anni e con mio padre tornavo a casa da Ponte Milvio, sapevo che avremmo impiegato un bel po’ di tempo. Non perché la strada sessanta anni fa fosse più lunga, ma perché in quegli anni ci conoscevamo tutti e chi vedeva mio padre ci invitava a fermarci per fare due chiacchiere o per magari bere un bicchiere di vino e sembrava brutto non accettare l’invito. È vero che da piccolo ho patito la fame, ma in quel clima di tranquillità e amicizia non si soffriva più di tanto”.

Parlando con chi a Ponte Milvio vive da anni ci si sofferma inevitabilmente sul cambiamento che ha subito la zona: da tranquilla piazza della periferia romana a rilevante punto d’incontro per la maggior parte dei giovani di tutta Roma, tanto da identificare in essa la movida romana.

Quale è stata la causa che ha mosso e che muove costantemente centinaia di giovani a soffermarsi in questa piazza con una birra in mano? La maggior parte delle persone a cui lo si chiede risponde d’istinto che la causa è da ricercarsi nell’iconografia “mocciana” ma tuttavia, già da prima, non era questo il motivo che spingeva tanti ragazzi a “beccarsi a Ponte”.

Altri ritengono che sia uno di quegli inspiegabili fenomeni di mutamenti culturali legati alla moda: la piazza come vetrina, o come passerella dove sfilare con cellulari, accessori e abiti griffati da mettere in mostra.

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Qualunque sia la causa, la certezza è che Ponte Milvio, in pochi anni, ha cambiato faccia. Stenta a riconoscerla il settantenne che fino a non molto tempo fa andava a prendersi il pane fresco dal fornaio, perché ora lo stesso fornaio vende prodotti di alta qualità. E chi, tornando all’improvviso, cercasse profumi e bigiotterie non le troverebbe più. Dopo decenni di lavoro, negli stessi locali ora c’è una banca.

Allo stesso modo non si va più a riparare la gomma di un’auto in piazza perché ora al posto del gommista c’è un wine bar, così come al posto dello storico orologiaio all’inizio di via Flaminia c’è un locale di somministrazione. Così molti negozi hanno convertito le loro attività per assecondare le esigenze dei giovani.

“Ci hanno proposto varie volte di mettere al posto del nostro negozio un pub, un locale o una birreria, ma noi rimaniamo fedeli alla nostra attività”, sostiene con dignità e orgoglio la signora Ada, proprietaria del negozio di surgelati, “dovremmo cambiare orari, cambiare tipi di clienti, non vedo perché dovremmo stravolgere le nostre vite per qualche centinaio di euro in più al mese…”

Anche Roberto, proprietario di un negozio di articoli per piante ed animali presente a Ponte Milvio da prima della guerra, tanto antico quanto il nome riportato sull’insegna (Sementi), ritiene che sia ridicolo cambiare.
“E’ vero, le piccole attività come la mia devono fare i conti con i grandi centri commerciali, ma aprendo un bar qui a Ponte Milvio dovrei competere ogni giorno con tutti gli altri accanto a me. Io sono nato qua dentro e non penso di cambiare attività finché ho la mia clientela abituale” afferma con malcelato orgoglio.

Allo stesso modo, le tre persone non “giovanissime” hanno continuato a gestire quel piccolo ma fornitissimo negozietto di elettricità al primo piano del palazzo alle spalle del giornalaio senza farsi trasportare dagli eventi e dai cambiamenti.

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C’è chi invece con un locale ci si è già trovato da molto tempo a Ponte Milvio, e ha iniziato ad avere un gran numero di clienti da quando sono cominciati i concerti estivi allo Stadio Olimpico.

Era il 4 luglio del 2001, quando Vasco Rossi eseguì il primo di una lunga serie di concerti che negli anni a venire si susseguirono al Foro Italico. Per caso quel bar stava chiudendo tardi quando inaspettatamente una fiumana di ragazzi assetati venne in quel locale a prendersi una birra dopo il concerto.
Per la prima volta in un piccolo bar a Ponte Milvio la fila di clienti si allungava sul marciapiede antistante, fino alla strada.

Da allora i proprietari dei locali cambiarono gli orari di chiusura, decidendo di tenere aperto fino a tardi. Da quel giorno iniziavano gli affari veri per chi gestiva un locale, ma iniziavano anche i problemi con i residenti e il vicinato, problemi che fino a quel momento non c’erano mai stati.

Molti ritengono che, proprio da allora, in seguito al grande afflusso di giovani, Ponte Milvio si sia attrezzata alle esigenze della massa e abbiano iniziato ad aprire i vari locali, bar e pub in tutta la piazza.

Emma Pallotta, che con Lola e Giulio ha annunciato di aver ceduto la gestione del rinomato e antichissimo ristorante di Ponte Milvio, ritiene il contrario. Sostiene che siano stati prima i bar a sorgere e poi i giovani a venire, attratti da questi.

Pare, infatti, che in principio, i ragazzi si riunissero intorno a quel chiosco che sta proprio alla base della torretta Valadier. Un chiosco, appartenente alla famiglia Pallotta, gestito da un ragazzo che “ci ha saputo fare”, come afferma anche il farmacista Andrea che, stando lì da veramente tanto tempo, suppone di poter rispondere con certezza alle nostre domande.

Ricorda come quel ragazzo, iniziando a mettere la musica e preparando originali cocktail abbia attratto un po’ di gente e da lì, con un semplice e fortuito passaparola, si sarebbe scatenato il fenomeno di Ponte Milvio.

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Non è dunque chiaro se siano arrivati prima i giovani e poi i bar o viceversa. E’ la perenne storia dell’aristotelico paradosso dell’uovo e della gallina.

Ma lasciando ai filosofi la soluzione, abbiamo chiesto a Paolo Salonia, portavoce del comitato “Abitare Ponte Milvio”, rappresentante degli interessi dei residenti, cosa pensino questi ultimi riguardo la questione.

“Gli abitanti soffrono, specialmente in alcuni mesi dell’anno”. Il disturbo, secondo Salonia, è non solo nel vedere una piazza stravolta nella sua immagine e nella sua naturalezza ma soprattutto nel vedere stravolta la nuova generazione.

“Non è piacevole osservare, sotto il portone di casa, ragazzi di sedici anni trascorrere passivamente la loro serata con una birra o un cocktail in mano. D’altronde quali sono gli esempi che prendono dalla società? Quali sono le conseguenze che vengono tratte? La chiusura forzata di un bar per pochi giorni – continua Salonia – non risolve il problema del consumo di alcol tra i giovanissimi e minorenni. I provvedimenti a questi gravissimi accadimenti non sono mai abbastanza duri. Con Ponte Milvio vedo rappresentata una generazione completamente diversa dalla nostra.
Io ponte Milvio l’ho vissuta – conclude – e ho vissuto anche la semplicità che si viveva in questi luoghi. Negozi che prima vendevano solo il pane, ora si sono attrezzati per aperitivi di gran lusso su tavolini.”

Tutte le attività si sono dunque dovute adattare ad un tipo di clientela che è completamente cambiata nel giro di un decennio o poco più. Per rendere al meglio l’idea di come era Ponte Milvio una volta bastano due ultimi ricordi, neanche tanto lontani nel tempo.
Il cosiddetto “vino e porchetta” che stava sul lato della farmacia, dove in tanti, sino alla fine degli anni ’70, venivano per gustare “il vino della casa” assieme ad un panino casereccio con la porchetta seduti sui tavoli all’aperto e quel pescatore che, direttamente da Fiumicino, veniva col suo banchetto accanto alla fontanella a vendere cozze con una spruzzatina di limone.

Stenta a credere a tutte queste storie chi Ponte Milvio l’ha vista solo negli ultimi anni e stenta a rassegnarsi chi invece ha vissuto veramente queste situazioni e adesso vede intorno a sé una realtà completamente diversa.
Chi si lamenta dell’attuale stato di Ponte Milvio è chi in effetti ci ha vissuto un’infanzia completamente diversa.

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Piazzale Ponte Milvio come un microcosmo dell’odierna società, dove tradizione e innovazione cercano, con difficoltà, di convivere.
In tutto ciò, il Ponte è lì immobile da due millenni: sotto, il Tevere che scorre come sempre e sopra una frenetica e caotica società in continuo cambiamento.

Fabrizio Colica

riproduzione riservata – proprietà EdiWebRoma

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6 COMMENTI

  1. a fabrizè er principale te deve da da piu spazio,complimenti da tutta la carrozzeria ciai riportato indietro de cinquantanni.

  2. Colgo l’occasione dello spazio messo a disposizione per suggerire di fare una visita mattutina ..meglio se pomeridiana al bar sito all’interno dell’Auditorium e scoprire che è’ diventato impossibile sedersi fuori o dentro perché’ tutti i tavolini sono occupati da giovani studenti(sic!) che studiano nella gran confusione e al massimo prendono una bottiglietta di acqua minerale… Ore intere a studiare in gruppi!!! È’ diventata anche questa una moda… Domanda: il gestore del bar così ‘ perde sicuramente clienti ed ha permesso che fosse stravolto l’utilizzo di un locale che dovrebbe essere messo a disposizione di tutti.Personalmente non ho nulla contro gli studenti ma…non mi vengano a dire che riescono a studiare in tale situazione

  3. ” E chi, tornando all’improvviso, cercasse profumi e bigiotterie non le troverebbe più”.
    Ma non troverebbe nemmeno la banca. Che sta chiudendo per lasciare il posto indovinate a che cosa?

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