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Buon compleanno, caro vecchio Piper

Ricordi personali, ma non troppo, di una stagione che fu

Duca Gioielli

Il 18 febbraio 1965 apriva le sue porte a Roma il Piper, un locale diventato mito e leggenda dei giovani di diverse generazioni. Oggi festeggia il 45mo compleanno di una lunga epoca vissuta, fra alti e bassi, sempre alla grande, rappresentando una pietra miliare della cultura pop e dell’emancipazione giovanile romana.

Questo vecchio cinema vuoto di via Tagliamento doveva essere destinato, da parte di Vittorio Gassman, a sala del Teatro Popolare Italiano. Ed invece, nel febbraio del ’65, per una geniale intuizione di Giancarlo Bornigia ed Alberico Crocetta, viene trasformato nel primo locale espressamente dedicato ai giovanissimi e alla loro voglia di ballo, di aggregazione, di necessità di stare insieme in un locale tutto loro, diverso ma soprattutto lontano dai salotti di casa.

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Quei salotti dove il sabato pomeriggio si andava alla “feste” – chi non le ricorda? – che si svolgevano sotto gli occhi vigili della mamma che scrutava attenta nel buio quando, molto casualmente, all’improvviso andava via la luce nel bel mezzo di un brano.
A metà de Il Mondo di Jimmy Fontana o di Amore scusami di John Foster  era infatti un classico che qualcuno inavvertitamente spegnesse la luce.

Era il periodo del vinile suonato sul giradischi buono di casa, ma già avevano preso piede i mangiadischi di plastica nei quali infilare frettolosamente un 45 giri. Il suono era pessimo ma la praticità enorme.

Per noi, allora sedicenni romani attraversati dai primi brividi propedeutici a quelli del ’68 che cominciavano a lambire le aule dei licei della capitale,  l’apertura del Piper fu un evento esaltante.

Per la prima volta avevamo un locale tutto per noi nel quale, tre pomeriggi a settimana, dalle 16 alle 20, (la sera era dedicata ai maggiorenni, ed allora lo si diventava a 21 anni) era possibile scatenarsi sulle piste od illanguidirsi lontani da occhi indiscreti. Era il periodo del twist, del surf, soprattutto dello shake ma anche del lento, del ballo della mattonella.

Il rito era sempre lo stesso: all’uscita dal liceo le ragazze tornavano a casa per smettere gli abiti “da scuola”  ed indossare, di nascosto dei genitori, minigonne e magliette attillate (piuttosto che cambiarsi direttamente nei bagni del locale) mentre i ragazzi si davano appuntamento al Bowling di viale Regina Margherita, poco distante dal Piper ed aperto fin dalle 10 del mattino (e quindi spesso meta dei “segaioli”). Che ci si andasse alle 10 o subito dopo l’uscita da scuola, un pezzo di pizza bianca, una coca e le sfide servivano a far passare il tempo.

Poi, alle 16 in punto, ragazze e ragazzi, con la musica nel sangue e la voglia di essere liberi nella testa, si accalcavano davanti all’ingresso del locale che li accoglieva con un’enorme sala illuminata da 350 luci multicolori ed un impianto sonoro per quei tempi veramente d’avanguardia grazie allo spiegamento di 85 sistemi d’altoparlanti.

Ma a tutto questo, di tanto in tanto nei primi anni, si aggiungeva un tocco, soprattutto per i ragazzi, a dir poco magico.

Perchè poteva capitare che alle 18 in punto salisse sul palco – sotto il quale ci accalcavamo in virtù delle smaglianti minigonne indossate – una ragazza bionda, trasgressiva, sensuale, dalla voce che suscitava brividi: Nicoletta, poi Patty Pravo, di appena 2 o 3 anni più grande di noi, che magnetizzava l’attenzione dell’intera sala cantando “la bambola” o “ragazzo triste” accompagnata da un complesso nella formazione standard di allora: due chitarre, batteria ed organo elettronico. I nostri occhi e i nostri sensi erano tutti per lei.

Dal punto di vista musicale è certo che al Piper è nata la musica Beat italiana: qui si sono esibiti tutti i gruppi emergenti di quel periodo, da I Rokes  di Shel Shapiro all’Equipe 84 di Maurizio Vandelli, ma vi hanno suonato anche gruppi internazionali quali i Pink Floyd ed i Procol Harum di Gary Brooker, del suo organo Hammond e del suo brano, icona ieri ed oggi della seconda metà degli anni ’60: A whiter shade of pale.
Buon compleanno, caro vecchio Piper.

Claudio Cafasso

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2 COMMENTI

  1. Tra il 1967 e il 1968 al Piper approdarono gruppi che hanno fatto la storia del rock: gli WHO travolgenti degli esordi che avevano “spaccato” con My Generation (26/2/67), i Pink Floyd (due date il 18 e il 19 aprile 1968) che – gia’ con David Gilmour al posto di Syd Barrett, che stava scivolando inesorabilmente verso l’oblio – avevano pubblicato l’anno precedente il loro primo album The Piper at the Gates of Dawn, capolavoro di psichedelia, i BYRDS (autunno 1968) che con il loro folk-rock stavano reinventando Dylan.
    Beato chi c’era, io non ero ancora nato.

  2. Grazie per questi stupendi ricordi che mi hanno fatto fare un tuffo nel mio passato. E’ vero, era esaltante andare al Piper, sempre di nascosto dei miei che no volevano e quindi ogni volta serviva trovare una scusa diversa. Ma che senso di libertà a 17 anni varcare quell’ingresso ! Bei tempi.

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