Presso l’Unione Rugby Capitolina di via Flaminia 867 il primo progetto di rugby integrato per bimbi down, in collaborazione con l’Aipd.
Martino, Luca, Federico scendono dalle automobili con i borsoni a tracolla, corrono nello spogliatoio, si cambiano. Luca legge sulla maglia il nome della squadra. «Ca…ca-pi-to-li-na… capitolina». Poi esclama felice all’educatore: «Io sono “capitolonia”». Pronti per l’allenamento, come ogni settimana da settembre a giugno, si buttano nella mischia, si lanciano il pallone ovale. Con gli altri bambini della squadra giocano, si emozionano, tutti legati da un invisibile filo fatto di regole, ovali, mete, allenatori, orgoglio, fatica e divertimento. Tutti accolti nella vastità del campo da rugby. Sono alcuni dei bambini con sindrome di down che partecipano a “Una meta per crescere”, il primo progetto strutturato in Italia di rugby integrato. Lo ha ideato e realizzato a Roma Nord l’Unione Rugby Capitolina in collaborazione con la sezione cittadina dell’Associazione italiana persone down (Aipd).
Un’iniziativa che mira all’inserimento dei bambini down nella squadra di mini rugby della società sportiva di via Flaminia 867 (zona Tor di Quinto-Due Ponti) per favorirne la crescita, l’autostima e l’indipendenza, migliorandone la qualità di vita. «Abbiamo iniziato con 3 bambini nel 2006. Dal buon esito dell’inserimento quest’anno ne abbiamo avuti 6 e per il prossimo puntiamo a 10-12, il numero massimo previsto», spiega Francesca Rebecchini, coordinatrice del progetto. Un’efficace sperimentazione di integrazione sociale e sportiva applicata al rugby.
Ogni ragazzo è accompagnato e seguito da un educatore dell’Aipd che collabora con l’allenatore ed è un riferimento per la famiglia. Un coordinatore raccorda genitori, educatore e società sportiva. Se il bambino è seguito da uno psicologo, anche questi collabora. Una vera equipe che affianca il ragazzo, ne valuta i risultati attraverso incontri mensili. «L’educatore, presente prima, durante e dopo l’allenamento – spiegano all’Aidp -, elabora un progetto individuale calibrato sulle reali capacità e potenzialità del bambino. Il suo lavoro permette al ragazzo di conoscere il proprio corpo e di accettare se stesso, le proprie potenzialità, stimolando il senso di realtà e la consapevolezza dei propri limiti».
La comunità sportiva diventa una palestra di autonomia. «Federico ha imparato – racconta il padre – a lavarsi e vestirsi da solo, a gestire le proprie cose, a comunicare i propri bisogni. Sono aumentati i tempi di attenzione. È diventato più sicuro di sé». Un’emozione per Martino le prime trasferte con la squadra: «Lasciare la famiglia è stato molto importante per lui e per i genitori. Si è sentito parte di un gruppo e si è sentito accolto come persona, come Martino». «Al di là di risultati come lo sviluppo cognitivo o del linguaggio dei bambini down, il successo più grande del nostro progetto – sottolinea Rebecchini – è l’aver creato intorno ala disabilità la grande solidarietà di tutta la squadra. È aumentata la sensibilizzazione sul concetto di diversità che creerà una società migliore». E il progetto, nonostante le caratteristiche del rugby nell’integrazione dei disabili, è riproducibile in qualsiasi contesto sportivo. «Sogno di fare una polisportiva – annuncia Rebecchini – per coinvolgere anche le bambini nel modello sperimentato alla Capitolina».
E intanto alla Capitolina partirà a settembre un progetto rivolto ai ragazzi delle case famiglia. Tutte iniziative per le quali si cercano finanziamenti. Per informazioni: Unione Rugby Capitolina (tel. 06.3335047) o Aidp (tel. 06.3700235 info@aipd-roma.it ).
(fonte RomaSette.it, testo di Emanuela Micucci)
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