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Riflessioni su sicurezza e diritti dei cittadini

Galvanica Bruni

email.jpgMentre scrivevamo il precedente articolo sul piccolo Sorin ci è arrivata una mail da un nostro lettore sul tema “sicurezza e diritti dei cittadini”. Che sia un caso od una coincidenza poco importa, quel che interessa è che Vincenzo P.( anzi il prof. Vincenzo P. del quale per rispetto della privacy omettiamo il cognome, starà a lui palesarsi se lo desidera) ci porge delle acute e profonde riflessioni sulle quali è bene riflettere. Eccole qui per voi, ma anche per noi:

Sicurezza e diritti dei cittadini, occorre partire dai fatti; la spassionata ricerca del vero deve essere parte fondante di un corretto impegno politico. Attrezzarsi per affrontare i temi complessi che la realtà ci pone attraverso analisi minuziose e condotte con il massimo scrupolo di esattezza, di onestà scientifica, di lealtà intellettuale, di assenza di ogni preconcetto o partito preso. Da qui rimarcare l’importanza di proteggere alcuni temi (e quello sulla sicurezza è uno di questi) dalle polemiche strumentali di parte; fare in modo che non diventino tentazione di propaganda senza affrontarli con la serietà istituzionale che meritano.

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Come coniugare l’esigenza del rispetto dei diritti costituzionalmente definiti e l’esigenza di sicurezza che sempre con maggior enfasi si pone nella nostra vita quotidiana?
Un sfida importante è quella di definire come tutelare l’incolumità e le libertà individuali garantite dalla nostra Costituzione, e il concretizzare politiche di contrasto alla criminalità comune ed organizzata a livello locale, nazionale e internazionale. Propongo tre tematiche che mi pare possano caratterizzare il tema della sicurezza inquadrandolo in un contesto più vasto :
1.Terrorismo internazionale e problema dei fondamentalismi politico religiosi legando ciò alla necessità di affermare identità forti in cui riconoscersi e su cui fondare la convivenza civile e comunitari.
2. Aumento del senso di precarietà e di insicurezza sociale ed economica di vasta parte della popolazione italiana, soprattutto giovanile e a ciò si legano fenomeni violenti nel mondo del calcio e la strumentalizzazione di ciò da parte di entità che stanno ai confini dell’eversione.
3. Aumento dell’ immigrazione e della paura di non poter controllare il territorio in cui si vive.

Il “Rapporto sulla criminalità in Italia – Analisi, Prevenzione, Contrasto”, elaborato a cura del Ministero degli Interni, con la collaborazione del gruppo di lavoro del professor Marzio Barbagli dell’Università di Bologna, afferma che nel nostro paese diminuiscono gli omicidi, aumentano furti e rapine. In crescita le “violenze familiari”, di pari passo con il consumo di cocaina.
Ripercorrendo l’Italia dal 1968 fino al 2006, il Rapporto analizza l’andamento dei reati violenti e contro il patrimonio nell’arco di 40 anni, misurando i ‘trend’ attraverso uno sguardo di lungo periodo -quantificabile almeno in decenni – in considerazione della tendenziale lentezza con cui mutano i reati. Il numero di omicidi è notevolmente diminuito negli ultimi anni, fino a registrare il minimo storico nel 2005 (601 unità), per poi attestarsi a 621 nel 2006, un livello più basso del 2004 e di tutti gli anni precedenti. Ma, a fronte di andamento calante degli omicidi volontari dal ’90 ad oggi, emerge un preoccupante aumento dei reati “familiari”, a partire dal ’92. Un’emergenza sociale, tanto che si attesta una crescita esponenziale di tutti i tipi di violenza sulle donne, non solo sessuale. Il fenomeno riguarda anche lesioni e maltrattamenti, il 62% dei quali commessi dal partner.

Altro luogo comune da analizzare con maggiore attenzione è il legame straniero – illegalità. Secondo lo studio citato il tasso di criminalità ascrivibile all’immigrazione si attesta alla stessa percentuale dei cittadini italiani. A un 5% di immigrati regolari in Italia corrisponde un 5% di reati, con un rapporto tra le percentuali pari a quello rilevabile per gli italiani. La criminalità collegata ai cittadini stranieri si concentra nel mondo degli irregolari, sia per i reati in violazione della normativa sull’immigrazione, che per i rati predatori, particolarmente frequenti nel Nord Est italiano, per la notevole presenza di flussi migratori clandestini “mordi e fuggi” dall’Est dell’Europa, attirati dalla concentrazione di ricchezza. Soprattutto nel settentrione cresce la percezione di una scarsa sicurezza, dovuta all’incidenza di questi crimini, ed è maggiore il rischio che si diffonda l’equazione “straniero uguale criminale”.

Nelle grandi città, e a Roma e Milano in particolare, il numero degli immigrati condannati per furto, rapina, sfruttamento della prostituzione, produzione e commercio di stupefacenti rappresenta un quarto della popolazione carceraria; tra gli immigrati irregolari si registra un tasso di delittuosità di tre, quattro volte superiore a quello riscontrato tra i regolari: tre volte per gli omicidi, cinque volte per i furti e le rapine.
Il problema della criminalità, dunque, esiste e riguarda in misura significativa gli immigrati. Alcuni dati sono certi : la clandestinità produce illegalità e aumento della criminalità. La clandestinità va combattuta ed eliminata . Particolare attenzione merita anche la questione “zingari”. In Italia, nonostante l’aumento dovuto, negli ultimi 6 anni, alle migrazioni di Rom rumeni, la percentuale totale di Rom e Sinti sul totale della popolazione rimane al di sotto dello 0,3% (di cui circa la metà sono cittadini italiani). Circa 70.000 (dunque tra la metà ed il 60%) sono italiani; e lo sono da secoli.
E’ importante ribadirlo, perché invece vi è la tendenza a considerarli tutti stranieri. Sono presenti in Italia anche circa 40 mila zingari rumeni (perciò comunitari e dunque comunitari) o di altre nazionalità europee. Altri 30.000 sono apolidi provenienti dalla ex Iugoslavia e non riconosciuti più recentemente da nessuno stato. A Roma si parla di circa 12 mila presenze. La maggior parte dei Rom e i Sinti che vivono a Roma non sono nomadi, ma stanziali (sebbene vittime di continui sgomberi) e aspirano ad una soluzione abitativa stabile. Ciò è dimostrato dalle centinaia di famiglie che sono in lista d’attesa nelle graduatorie per l’assegnazione di case popolari. Per giunta 5000 di loro vivono a Roma da più di trenta anni. Gli altri, semi nomadi, vorrebbero campi sosta attrezzati e sicuri in cui vivere per alcuni mesi dell’anno e avere riferimenti certi per mandare i figli a scuola e avere i servizi sociali fondamentali che a loro spettano.
Di fronte a questi dati – contenuti rispetto alla percezione collettiva, ma ugualmente preoccupanti e non da sottovalutare – bisogna guardarsi da letture antropologiche di bassa lega, che tendono ad annullare le responsabilità personali e ad affermare l’esistenza di un inevitabile destino collettivo.
Come affermato più volte dalle associazioni che lavorano direttamente con queste comunità, non si può utilizzare la popolazione Rom, come falso bersaglio, anziché mettere a fuoco i reali problemi delle nostre periferie. La sicurezza e la legalità siano un diritto per tutti; anche per Rom e Sinti. Chi commette reati sia sanzionato secondo le leggi ma non criminalizziamo un intero popolo.
Come ha fatto, per esempio, il presidente di Alleanza Nazionale,Gianfranco Fini, che riferendosi ai Rom, in una intervista ai giornali, dice : «Mi chiedo come sia possibile integrare chi considera pressoché lecito e non immorale il furto, il non lavorare perché devono essere le donne a farlo magari prostituendosi, e non si fa scrupolo di rapire bambini o di generare figli per destinarli all’accattonaggio. Parlare di integrazione per chi ha una “cultura” di questo tipo non ha senso» . Affermazioni del genere servono a diffondere una cultura della paura che può solo produrre conflitti maggiori e più violenti. E’ la storia che lo insegna: oggi i grandi ghetti; e domani? C’è chi ipotizza che la soluzione sia la realizzazione di espulsioni di massa.

La Legge Bossi Fini si basava su questo presupposto, ma la valutazione della sua applicazione ha portato decretarne il fallimento. Non ha fatto diminuire la clandestinità e non ha gestito un fenomeno che è cresciuto come problema ma anche come opportunità.
L’immigrazione è un fenomeno epocale che ha bisogno strategie e di leggi più complesse ed adeguate. L’Italia ha bisogno sempre più di qualificare la permanenza degli immigrati e per questo le regole devono prevedere tempi lunghi di formazione/integrazione e diminuzione della rotazione.
Il mercato del lavoro ha bisogno di una continua immissione di nuovi lavoratori, e le precedenti quote annuali erano inadeguate e i meccanismi di incontro tra domanda e offerta nono funzionavano, per cui si ricreavano continuamente le aree di irregolarità. Quando vedremo la nuova normativa approvata dal parlamento ?
É indispensabile favorire una evoluzione culturale tesa a correggere l’errore di ritenere l’immigrato un estraneo alla “collettività da difendere”, vederlo sempre come “estraneo”, e cristallizzare ciò finendo in tal modo per escludere proprio “ciò” che va “incorporato”.
L’obiettivo supremo di tutela dell’integrità della persona non può cedere a faziose ideologie di esigue minoranze che per vari motivi cercano di imporre timore, paura, strumentalizzazione per fini elettorali.

Si sta dibattendo il cosiddetto pacchetto sicurezza. Alcuni parlano di deriva sicuritaria. E non solo le frange della sinistra antagonista. Gli avvocati hanno fatto una giornata di sciopero in quanto ritengono tale pacchetto anticostituzionale. Il presidente emerito della Corte Costituzionale, Valerio Onida, richiamava il mondo politico e parlamentare a svolgere con maggior prudenza il proprio ruolo nel pieno rispetto dello Stato di Diritto. Provocatoriamente Onida ha affermato che “Bisognerebbe vietare ai politici di fare leggi nelle 96 ore successive a un fatto di cronaca, ormai è come se compito di una legge fosse rispondere a ognuno di fatti ingigantiti dall’affluenza dei mezzi di informazione”.
Coniugare con equilibrio l’esigenza di salvaguardare i diritti costituzionali e l’esigenza della sicurezza non è un compito facile. E’ importante capire ciò e assumere un ruolo di orientamento, di direzione intellettuale e morale, a cui sembra i partiti di oggi hanno abdicato per avere un facile ma illusorio consenso inseguendo i superficiali richiami dei media e di chi grida di più.
E’ più facile denunciare, porsi unicamente in posizioni di antagonismo. Più difficile assumere responsabilità di governo e dare risposte concrete ai problemi.

Come ci ha ricordato il presidente Prodi in una intervista di qualche giorno fa citando un passo del Talmud , libro che raccoglie la tradizione orale dell’ebraismo: “Se il mare fosse inchiostro e le canne fossero penne, le nuvole fossero pergamene e tutti gli uomini fossero scribi, tutto questo non basterebbe per spiegare la difficoltà di governare“.

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1 commento

  1. Abbiamo aspettato alcuni giorni, prima di mettere insieme alcune riflessioni sull’omicidio della stazione di Tor di Quinto.
    Era necessario prendere un po’ di tempo, per ordinare le idee e , soprattutto, essere fuori da quella nuvola mediatica e propagandistica che, in questi casi, ci avvolge fino allo sfinimento.

    Innanzitutto vogliamo porre alla nostra attenzione la grande dignità della famiglia della Sig.ra Reggiani.
    Mentre intorno i media, alcuni politici ed alcuni gruppi di cittadini esprimevano il loro “peggio”, questa famiglia ha espresso valori profondi , manifestati attraverso la stampa e nel funerale della congiunta. Rappresentanza di un paese capace di farsi carico di un peso così terribile perchè ha dentro di sé valori importanti di civiltà, di spiritualità, di razionalità.

    L’omicidio e l’ambiente nel quale esso è avvenuto sono il segnale di un degrado che avvolge alcune zone, soprattutto nelle periferie, delle grandi città. Baracche di cartone, di legno e tende sono sorte da alcuni anni anche nel nostro territorio: ai margini della Flaminia, lungo le rive del Tevere, nei parchi, accanto alle stazioni.
    E’ evidente che nelle politiche per l’immigrazione qualcosa, o forse molto, non funziona.
    Non riusciamo a non far entrare i tanti immigrati in arrivo , né riusciamo , sul territorio, a gestire la loro presenza, con politiche di controllo, di accoglienza, di integrazione, di assistenza.
    Troppe volte sono quasi esclusivamente le parrocchie ed il volontariato cattolico a farsi carico di quanto dovrebbe fare la amministrazione pubblica.
    L’attuale legge che regolamenta la immigrazione ( legge Bossi-Fini) ha puntato più sulla leva ideologica e propagandistica (” solo chi ha lavoro può arrivare in da noi”) che sull’effettiva capacità della norma di regolare e tenere sotto controllo il sistema. Tant’è che oggi gli stessi estensori della legge chiedono nuove e più dure regole per la “espulsione” degli immigrati clandestini , a riprova che queste regole, ad oggi, non ci sono.

    Le tante realtà di degrado delle condizioni del vivere quotidiano, che si trasformano spesso
    in problemi di ordine pubblico, di sicurezza. Ma questo è tema che non riguarda solo gli immigrati clandestini. E’ a questo problema che si dovrà dare risposta in tempi brevi e nessuno si illuda che solo sgomberando campi abusivi o anche rimpatriando pochi o tanti immigrati, il problema possa essere risolto. C’è un problema di micro illegalità diffusa nel nostro paese che “prescinde” dagli immigrati, e che dovrà essere affrontato, innanzitutto, con una seria riforma della giustizia ( tempi certi di giudizio e pene altrettanto certe) e poi con una maggiore disponibilità, sul territorio, delle forze dell’ordine.
    Certo che se si continua a drenare risorse finanziarie dalla sicurezza, come hanno fatto tutte le manovre finanziarie degli ultimi anni, riducendo così mezzi e uomini a disposizione, ben difficilmente si potranno ottenere risultati sul campo.

    Assistiamo al tentativo, ci auguriamo involontario, da parte di diversi soggetti, mass media, politici , studiosi di “tutto”, di convincerci che il nostro paese è ormai sull’orlo di una “crisi di xenofobia”, additando ad esempio atti di squadrismo organizzato, che hanno matrice chiaramente nazi-fascista.
    Ma nei nostri quartieri è esperienza di tutti i giorni la vita in comune con tantissimi immigrati, rumeni soprattutto, che lavorano nelle nostre case, nei cantieri, nelle officine, che quotidianamente frequentano le attività commerciali , che utilizzano i mezzi pubblici, senza nessuna “preclusione ” o “esclusione”. L’impressione è che gli abitanti delle nostre periferie vivano il rapporto con la immigrazione in maniera molto meno conflittuale di quanto si voglia far credere e che il problema non siano ,genericamente,gli “immigrati” ma coloro che “delinquono” .
    Ciò non significa che tutto vada bene, che non ci siano delle tensioni, ma evidenzia come questo sia un fenomeno “gestibile” all’interno dei nostri nuclei sociali se solo non lo si utilizzasse quale strumento di scontro politico e culturale, tentando di accaparrarsi simpatie
    e, magari, voti. Perché il pericolo più grande in questa fase è proprio quello dell’utilizzo “strumentale” delle difficoltà , il soffiare sul fuoco per interesse personale o di parte.
    La “manifestazione”, perchè di questo si è trattato, del Consiglio del XX° Municipio, svoltosi in via straordinaria in piazza Ponte Milvio, in concomitanza con i funerari della Sig.ra Reggiani, ne è esempio estremamente chiaro. Si cerca ,nella rabbia e nelle paure dei cittadini, la giustificazione alle proprie posizioni e questo la dice lunga sulla povertà del confronto politico, tra maggioranza ed opposizione, in atto nel nostro Municipio. I consiglieri del Municipio, senza distinzioni, avrebbero fatto meglio ad accorgersi per tempo delle condizioni della stazione di Tor di Quinto, impraticabile da almeno un decennio, ed adoperarsi alla sua sistemazione o chiusura, in forza della rappresentanza politica che hanno ottenuto dai cittadini.

    Il timore che sentiamo forte, non è quello dei tanti immigrati che vivono, anche “illegalmente” , nel nostro paese e nei nostri quartieri, ma piuttosto la “impotenza” delle classi dirigenti , non solo dei politici, che sembrano paralizzate dalle complessità del fenomeno immigratorio, dalla incapacità di avere progetti per il lungo periodo.

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