C’è qualcosa di semplice, commovente e unico in un uomo che a 93 anni frequenta ancora i palchi di tutto il mondo.
Semplice, perché l’uomo in questione ha sempre interpretato il suo mestiere come un artigiano e non come una star; commovente, perché la sua voglia di regalare emozioni non è stata incrinata dall’età e da sette decadi di carriera; unico, perché il signore di cui parliamo tiene ancora la scena come nessun altro.
Monsieur Charles Aznavour
Si sono sprecati fiumi d’inchiostro per parlare di monsieur Charles Aznavour, le sue “statistiche” fanno impressione: oltre 1.200 canzoni e 294 album, milioni di spettatori in 94 paesi, 300 milioni di dischi venduti nel mondo e anche 80 film all’attivo.
Una sua statua e, da qualche settimana, un museo a lui dedicato sorgono ad Erevan, la capitale dell’Armenia, la patria dei suoi genitori, perché l’ultimo grande chansonnier – parigino doc e francese fino al midollo – non ha mai dimenticato di essere figlio di migranti.
Così, il secondogenito di Mischa e Knar Aznavourian, nato per caso nel quinto arrondissiment da genitori in fuga dal genocidio perpetrato contro gli armeni più di un secolo fa, si è presentato domenica sera, 23 luglio, alla Cavea dell’Auditorium Parco della Musica con il suo bagaglio di ricordi, emozioni e nostalgia.
In una serata afosa, davanti ad un pubblico internazionale, accompagnato da una piccola orchestra di otto elementi, ciarliero, concentrato e completamente a suo agio, monsieur Charles ha regalato un concerto intenso e magico, raggiungendo vette interpretative sorprendenti e arrivando al cuore di ognuno dei presenti.
Ventidue canzoni, otto delle quali cantate in italiano, per un totale di novantacinque minuti di show: ripercorriamo insieme, momento per momento, questa splendida esibizione, che era inserita nel cartellone di “Luglio suona bene”, la rassegna dei concerti estivi dell’Auditorium.
Un concerto intenso e magico
Sono le 21.18 quando si spengono le luci e i musicisti prendono posto sul palco. Completo nero e bretelle rosse, portamento diritto e passo sicuro, Charles Aznavour cammina fino al centro della scena e ringrazia con un inchino per l’applauso scrosciante col quale è stato accolto dal pubblico.
Si inizia con Les Émigrants, un toccante omaggio a tutti quelli che (“le tasche vuote, le mani nude“) lasciano la propria terra per salvarsi la vita e per cercare una nuova casa, quelli che “faticano come dannati“, “mescolano il proprio sangue” e “lavorano per domani“, per dare un futuro migliore ai propri figli.
Poi, dopo che la delicata Je n’ai pas vu le temps passer offre la prima pennellata di nostalgia, arriva anche la prima “stoccata” in italiano. Intensa e applauditissima, punteggiata dalle lacrime della fisarmonica, Morir d’Amore penetra l’anima di ciascuno di noi con i suoi versi bellissimi e didascalici (“ma chi mi capirà non mi condannerà”).
“Si sa che la gente dà buoni consigli sentendosi come Gesù nel tempio“: alla sua veneranda età Aznavour è probabilmente uno dei pochissimi che sfugge alla regola impietosa fissata da De André in “Bocca di Rosa”.
Infatti, le parole della successiva La vie est faite de hasard, una bossa nova gradevole e confidenziale, sono pareri scaturiti dall’esperienza di chi ha molto osato, non consigli generici dettati dall’impossibilità di dare il cattivo esempio.
Uno dei momenti migliori della serata si registra, poi, con la bellissima Paris au Mois d’Août, un capolavoro visivo che rappresenta una Parigi svuotata, una città che nel mese di agosto sembra appartenere solo ai due amanti, che si nutrono di “lacrime e risate“, e dove “ogni strada e ogni pietra” paiono fatte solo allo scopo di testimoniare un amore unico e irripetibile.
Si deve mantenere la propria dignità senza voltarsi indietro, nonostante il prezzo che si deve pagare. Si deve affrontare il destino continuando a sorridere e lasciare il tavolo quando l’amore è sfumato. Si deve nascondere la propria pena sotto la maschera della leggerezza.
Le intenzioni sagge e nobili di Devi Sapere, portate avanti per tutta la canzone, tuttavia, si frantumano, si disintegrano in unico, breve verso, l’ultimo: “devi sapere, però io non lo so“. La fragilità umana svelata in sette parole.
L’interpretazione lascia tutti di stucco, gli applausi si sprecano, i versi che Luciano Beretta traspose magistralmente dal francese vorticano negli spazi più profondi dell’anima.
Nella successiva Je Vojage Aznavour duetta con la figlia Katia, che dal 1996 lo accompagna regolarmente in tour come corista.
“Questo è un viaggio nei tuoi rimpianti, nei tuoi rimorsi? È un rifugio, una perdita o un’altra avventura?“, domanda la figlia al padre durante questa canzone dal sapore autobiografico. La risposta arriva alla fine del pezzo, quando i due fondono le proprie voci per dire: “io viaggio, attraverso i sogni e l’insonnia…di miraggio in miraggio, attraverso la memoria e l’amore, io viaggio.”
Prima recitata come una poesia, poi accompagnata solamente dal piano, arriva Sa Jeunesse, una bellissima ode sulla “ricchezza” di “avere vent’anni, i domani pieni di promesse, quando l’amore si china su di noi per offrirci le sue notti insonni”.
Questo momento meraviglioso è seguito da un altro incanto: morbida e carezzevole tocca, infatti, a Lei, una delle dichiarazioni d’amore più belle della storia della musica.
Le emozioni si moltiplicano, gli applausi scrosciano, Aznavour si toglie la giacca, mette in mostra un paio di bretelle rosse e, poi in italiano, dice “andiamo!“.
Dopo l’urlo disperato di un uomo che ha visto fuggire la propria felicità, perché volendo essere l’ombra della propria amata è diventato solo l’ombra di sé stesso (Désormais), arriva L’Istrione, in cui il genio si vede un’altra volta di più. Gioia incontenibile, applausi da spellarsi le mani.
La lucida e amara consapevolezza di Mon Ami, Mon Judas (il mio amico, il mio Giuda), che sottolinea brillantemente l’ipocrisia e la spietatezza di chi, con il sorriso e le maniere affettate, nasconde la propria natura di “profittatore e parassita”, cede il posto alla malinconica Avec un brin de nostalgie, prima che Quel Che Non Si Fa Più, che Aznavour canta un po’ in italiano e un po’ in francese, dispensi ondate di dolcezza.
Un’ispirata ed intensa Ave Maria (“chi ha sofferto viene da Te, Tu che hai tanto sofferto, Tu che comprendi la loro miseria”) apre la strada ai rimpianti di Ieri Sì: “gli amici sono andati, non torneranno più, la mia commedia ormai da solo finirò, ho ancora una canzone ma non la canterò, il gusto della vita non lo ritroverò, è il tempo di pagare gli errori miei di ieri, da giovane”.
Applausi, applausi, applausi.
L’ironica e disincantata Mes Emmerdes (“non dimenticherò mai i miei amici, i miei amori, la mia merda”) prelude alla stupenda interpretazione di …E io tra di voi, storia di un tradimento consumato sotto gli stessi occhi del protagonista che, peraltro, non riusciamo a non associare al meraviglioso sketch con Raimondo Vianello e Sandra Mondaini.
Ribadito il giusto tributo ai suoi eccezionali traduttori italiani (Mogol e i compianti Giorgio Calabrese e Sergio Bardotti), Aznavour presenta i componenti della sua piccola orchestra, prima che tocchi all’incalzante Les Deux Guitares, in cui tutti gli spettatori intervengono col battimani nei punti giusti e in cui monsieur si regala il tradizionale balletto.
Il gran finale
La sublime intensità de La Bohéme sfocia nella desolazione e nella bellezza di Come è Triste Venezia, mentre la chiusura è riservata ad una delle canzoni più belle ed evocative di monsieur Charles.
Con le sue dichiarazioni nette, incisive e poetiche, la travolgente Emmenez-Moi incanta e colpisce dritta al cuore: “fuggo lasciando lì il mio passato, senza alcun rimorso, senza bagaglio e il cuore libero di cantare forte: portami agli estremi confini della terra, portami nel paese delle meraviglie, mi sembra che la miseria sarebbe meno dolorosa sotto la luce del sole…”.
Aznavour si inchina, ringrazia e se ne va
Sono le 22.53 il concerto è finito. Gli spettatori della cavea inferiore si avvicinano al palco, arrivano due mazzi di fiori, Aznavour si inchina, ringrazia e se ne va.
Ha iniziato e finito con una canzone sui migranti, ha dispensato magie, regalato bellezza, ha parlato di tutto quello che conta, ha scavato nel passato e nella nostalgia, ha guardato il presente e scorto i segni del futuro.
Le sue canzoni saranno ancora cantate a lungo, le sue opere gli sopravviveranno. Lui, intanto, continua a lavorare sodo e a presentarsi ai quattro angoli del pianeta.
Ammirazione e rispetto. Chapeau, ancora una volta.
Giovanni Berti
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Il mondo ha molti re e un solo Michelangelo..
Davvero meraviglioso eccezionale fantastico unico grazie grazie grazie
Complimenti all’autore dell’articolo.
Sottoscrivo quanto brillantemente detto, essendo stato spettatore di questo spettacolo.
Ho 20 anni e Aznavour mi ha emozionato come nessun altro contemporaneo saprebbe fare.
Mille pardons. Je m’exprime en français ! Je n’étais pas à Rome dimanche dernier mais je suis un très grand fan d’Aznavour et ce qui me plaît surtout chez cet immense artiste (en autres !), c’est le fait qu’il chante en plusieurs langues. J’ADORE quand il chante en italien car je trouve les sonorités de cette langue tellement belles. Grâce aux chansons d’Aznavour enregistrées en italien, je me familiarise de plus en plus avec l’italien.
Vartan Bozian.