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Quella chiesetta oltre Ponte Milvio ha una storia da raccontare

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oratorio120.jpgAttraversato Ponte Milvio e procedendo verso Via Flaminia sarà capitato a tutti di notare, in un fazzoletto di verde subito dopo l’incrocio, una piccola chiesa: l’Oratorio di S. Andrea. Si tratta di un basso edificio tutto sommato abbastanza anonimo, solitamente circondato da auto in sosta, anche di fronte all’ingresso nonostante il divieto. È stato preso di mira più volte da qualcuno con una bomboletta di vernice spray in mano e del tempo da perdere: nonostante numerosi graffiti siano stati precedentemente coperti, già un altro ne deturpa la facciata.

Nemmeno le condizioni del prato intorno all’edificio sono idilliache, più che altro per la negligenza di alcuni residenti: raccogliere le deiezioni dei propri animali domestici non sembra ancora essere, purtroppo, una prassi consolidata.
Sebbene non giunga ai livelli di degrado e abbandono che caratterizzano altre aree di Roma, fa sempre specie vedere un trattamento simile riservato ad una chiesa del Cinquecento che è, sì, una delle tante, ma che come tante altre testimonia un momento preciso e unico della storia della città.

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Anche se, effettivamente, il momento commemorato è precedente alla costruzione dell’oratorio. Prima ancora di questo piccolo edificio un po’ anonimo, quello che salta all’occhio è la statua, all’interno di un’edicola a quattro colonne di travertino sostituite alle originali nella seconda metà dell’Ottocento, che si erge oltre un basso muro che forma un piccolo perimetro alle spalle della chiesa.

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Sia la statua che l’edicola – disegnata da Francesco del Borgo – si trovano lì da più tempo dell’oratorio stesso: per la precisione dal 1463, dopo essere state commissionate da Papa Pio II per commemorare lo storico incontro proprio in quel luogo col cardinale Bessarione, l’11 aprile dell’anno precedente, in quella che fu una delle cerimonie più solenni del secolo.

L’incontro fu storico non tanto per l’importanza di Bessarione, cardinale e umanista bizantino, quanto per l’importante reliquia che il cardinale portava a Roma: la testa di Sant’Andrea Apostolo. È infatti proprio il santo che la statua ritrae, sebbene paia che nel volto si possano riconoscere le fattezze dello stesso cardinale Bessarione.
Per circa un secolo fu presente solo il tempietto, con l’edicola e la statua del santo; il terreno venne utilizzato a dare sepoltura ai pellegrini morti a Roma, e sono ancora presenti all’interno del basso muro che cinge il tempietto delle lapidi e un ossario.

Fu nel 1566 che il terreno venne ceduto alla confraternita della Trinità dei Pellegrini e l’oratorio di Sant’Andrea – attualmente luogo di culto sussidiario della parrocchia di Santa Croce, in via Flaminia – venne edificato e, ovviamente, dedicato a Sant’Andrea Apostolo.

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E, giusto perché siamo a Ponte Milvio, non può mancare un nome noto: quello di Giuseppe Valadier, che nel 1803, appena due anni prima del restauro di Ponte Milvio e dell’aggiunta della torretta che porta il suo nome, si occupò del restauro del tempietto.

Quella dell’arrivo a Roma della testa di Sant’Andrea Apostolo può sembrare una delle tante cerimonie religiose che si sono susseguite a Roma nel corso dei secoli. In realtà l’acquisizione della testa del Santo si trattò di un’acquisizione importante non solo sul piano della fede, ma anche – e forse soprattutto – sul piano politico.

Dopo l’occupazione da parte dei Crociati del trono imperiale bizantino nel 1204, numerosi dei tesori di Costantinopoli erano stati trasferiti in occidente: tra questi vi era proprio il corpo di di Sant’Andrea, tuttora patrono della chiesa di Costantinopoli. La testa rimase tuttavia nelle mani dei bizantini, in un santuario di Patrasso, per lungo tempo.
Di fatto, il trasporto della reliquia a Roma era un messaggio estremamente forte, il simbolico completamento di un’opera di assimilazione politico-ecclesiastica: tutti ciò che restava dell’apostolo Andrea, patrono della Chiesa di Costantinopoli, si trovava a Roma. Solo secoli dopo, nel 1964, la reliquia sarebbe stata restituita a Patrasso per volere di Paolo VI.

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Per questo, quando si devono schivare deiezioni canine per potersi avvicinare al muro di cinta e guardare all’interno, si deve trovare uno spiraglio tra due macchine parcheggiate per poter raggiungere l’entrata con tanto di divieto di sosta o si osserva con una certa tristezza una nuova scritta sulla facciata comparsa da un giorno all’altro, sorge spontaneo chiedersi: chi passa qui ogni giorno la conosce, questa storia?

Alessandra Pacelli

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